Coma_Cose Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Mon, 21 Jun 2021 17:16:31 +0000 it-IT hourly 1 I Coma_Cose ci colorano una vita più leggera https://www.fabriqueducinema.it/magazine/musica/i-coma_cose-ci-colorano-una-vita-piu-leggera/ Fri, 03 May 2019 07:04:06 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=12966 “Il problema è che abbiamo paura, basta guardarci.” Paura di un sacco di cose, anche paura che una voce modificata e rielaborata ci elenchi e ci esponga in maniera ineluttabile le nostre paure, mettendocele di fronte. La voce originale era di Fabio De Luigi, estratto di un film, passato un po’ sotto ombra, di Gabriele […]

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“Il problema è che abbiamo paura, basta guardarci.” Paura di un sacco di cose, anche paura che una voce modificata e rielaborata ci elenchi e ci esponga in maniera ineluttabile le nostre paure, mettendocele di fronte. La voce originale era di Fabio De Luigi, estratto di un film, passato un po’ sotto ombra, di Gabriele Salvatores, chiamato Happy Family, una commedia pirandelliana che canta l’amore per Milano (e per Wes Anderson). I Coma_Cose lo camuffano un po’ quel monologo, e ce lo ripropongono a metà concerto, videoclip con papera incappucciata compresa, nello stupefacente macrocosmo artistico che il duo lombardo ci regala ad ogni concerto. “Paura della folla, di fallire, paura di cadere, di rubare, di cantare… Paura della gente, paura degli altri.”

Il nuovo album, il loro primo vero album, visto che le altre tracce erano uscite scaglionate nei mesi, così come erano nate, quasi per caso. A distanza di quasi un anno esce fuori Hype Aura, che a seconda dell’accento ci riporta al tema principale e ci chiede “Hai paura?”, tutto sintetizzato nel pezzo Intro che apre il concerto (e chiude il disco), che anestetizza le ansie della vita e della serata, e ci dice che comunque vada l’inizio, alla fine saremo solo io e te, un modo per esorcizzare quella paura, e di non preoccuparsi, perché veramente, stasera, non ce n’è bisogno.

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L’Atlantico di Roma ci accoglie di nuovo, dopo Franco126 e gli Ex-Otago, e accoglie anche i Coma_Cose, di lunedì, con un palazzetto meno pieno del preventivabile, ma caldo d’entusiasmo e partecipazione. La forza straripante di Fausto e Francesca cresce così come cresce la serata, un pezzo dopo l’altro, un balzello dopo l’altro. Li avevamo conosciuti al Lanificio quando i pezzi a disposizione si contavano sulle dita, adesso lo spettacolo prende corpo e forma, ed ha i tempi giusti che ci fanno arrivare fino alla fine in una catarsi di pura energia, ogni canzone sembra avere il suo posto e la sua giusta connotazione. Ed è la stessa sensazione che si ha con le strofe, i termini, i giochi di parole azzardati, la pioggia di riferimenti, citazioni, omaggi, punzecchiature, sogni e presagi. Ogni frase ha storia a sé, raccolta in una storia più grande, dal cuore milanese che arriva dritta alle gole di Roma, che cantano, saltano insieme alle luci intermittenti che fissano la folla, muovono le mani a tempo, quando dal palco calano le bombe, anzi le granate sui denti.

Dai microfoni esplodono fiumi di paragoni, metafore, doppi sensi, retaggio rap in salsa cantautoriale, tanto materiale fuso insieme come plastica, a dar forma imprevedibile ad un oggetto unico e multicolore. Da Bukowski a Majakovskji, da Dylan Dog a Dylan Bob, da Zack de la Rocha a Bruce Springsteen, da Jodorowsky a Jack Nicholson, dalle Pantere Nere a Garcia Marquez, fino ai Beach Boys, a Battisti, Mogol e Kanye West. Un universo di contaminazioni, di curiosità, di occhi spalancati sul mondo, una voracità di concetti, di concerti, di sperimentazioni, di punzecchiature, di strizzatine d’occhio. Il mondo dei Coma_Cose è colorato, è vivido, ha delle immagini bellissime che ci regalano come fossero normali, scontate, semplicissime. Le notti fredde come gli occhi degli husky, cuori che volano via dalla gabbia toracica, capelli così corti che quasi le si leggono i pensieri, strade che truccano gli occhi alla pianura, per sperare che, in fondo, questa giornata non sia grigia, come quando trovi la sabbia dell’anno prima in fondo alla valigia.

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Hype Aura prosegue un percorso, un tracciato fatto di novità, di identità, di una riconoscibilità invidiabile, ciò che fanno i Coma_Cose è solo ed esclusivamente loro, piaccia o no; da capire, interpretare, tradurre, ma è marchiato a fuoco, dalla splendida voce femminile di Francesca, in arte California, e dall’aria più cupa di Fausto, con le sue carambole lessicali, che in mezzo a mille digressioni ed escursioni poetiche, arriva in Beach Boys distorti a togliersi un sassolino, esternando al mondo che ora che a girare finalmente inizia, ci dice vaffanculo, sì ma in amicizia.

Lo sfogo, anche questo a superare le mille paure del passato, di una gavetta che per lui è stata fin troppo lunga, e che poi ha trovato in un amore di boutique ed in una autenticità musicale il suo compimento. Perché c’è sempre la paura di mezzo, a frenarci, a controllarci, a migliorarci. Quanta paura di essere diversi, ma quanta noia ad essere perfetti.

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Lo show tira dritto fino alla fine, con tutti i pezzi vecchi e nuovi perfettamente integrati, la dolcezza di Anima Lattina, la rabbia di Jugoslavia, le coscienze che fanno paura di Post-Concerto, la dieta di Nudo Integrale, fino alla fine di questa tappa, di un percorso che ci auguriamo abbia ancora molte destinazioni da raggiungere, un viaggio da fare ad occhi chiusi, per mano, e col respiro sospeso, d’altronde i ponti sono fatti per buttarsi, mica per metterci i lucchetti.

L’ultima canzone arriva, annunciata, come secondo bis, ed è Mancarsi, probabilmente la più bella che abbiano composto, quasi sicuramente la più sentita, la più emozionata ed emozionante, quella da cantare senza pensarci, a voce spianata, la canzone che parla di tutti e si confessa, che schifo avere vent’anni, che schifo avere rimpianti, quanto è difficile mancarsi, quanto è difficile dire “mi manchi”, una canzone che mette fine a tutti i preamboli, supera tutti i dubbi, le incertezze, gli sbagli, i drammi e le prese in giro e ci dice quanto sia bello, durante le vite di tutti, avere paura.

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Le fotografie sono una gentile concessione di Fabio Germinario.

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Coma_Cose: quando c’è voglia di cantare in italiano https://www.fabriqueducinema.it/magazine/musica/coma_cose-quando-ce-voglia-di-cantare-in-italiano/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/musica/coma_cose-quando-ce-voglia-di-cantare-in-italiano/#respond Fri, 01 Jun 2018 13:42:27 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=10585 Sono nell’area antecedente al club dove bar, divani e piante fanno da ingresso alla sala. Il concerto è finito da una ventina di minuti abbondanti. Ho una birra in mano mentre parlo con un dj di zona e un’account manager: discutiamo del secondo tragico Calcutta, di Vasco Brondi e del duo che abbiamo appena ascoltato. […]

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Sono nell’area antecedente al club dove bar, divani e piante fanno da ingresso alla sala. Il concerto è finito da una ventina di minuti abbondanti. Ho una birra in mano mentre parlo con un dj di zona e un’account manager: discutiamo del secondo tragico Calcutta, di Vasco Brondi e del duo che abbiamo appena ascoltato. Si parla di nuovi linguaggi, di evoluzione dei testi, di musica che ritorna e canzoni non all’altezza. Ma soprattutto notiamo una cosa che ci fa un gran bene al cuore: c’è voglia di Italia, c’è voglia di cantare in italiano. Questa nuova ondata “indie”, questo nuovo filone di cantanti, gruppi, progetti e featuring ci sta restituendo un piacere quasi antico, quello di cantare nella nostra lingua madre, di sentire, comprendere, vivere ogni parola strillata al vento.

Come in un buco spazio temporale, al quale erano sopravvissuti indenni solo Cesare Cremonini e pochi altri, siamo riemersi dallo tsunami del Brit Pop, del Punk Americano, dell’Indie Rock e giù a discorrere ogni inclinazione possibile. Li abbiamo amati certo, abbiamo studiato l’inglese per loro, abbiamo cantato i loro modi dire e le loro città, ma poi ci sono mancate le nostre. Che ritornano prepotenti. Che si insinuano nelle nostre cuffie. Che fioriscono nelle nostre città. Come funghi. Come lumache dopo la pioggia. Come risvegliarsi da un coma e ritrovare un sacco di cose. Come i Coma_Cose, forse l’ultimo meraviglioso regalo di questo filone “indie” nostrano.

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Due ragazzi, uno ha la barba e il cappellino, l’altra ha labbra morbide, sorriso largo e nuca bionda. Indossano dei giacchetti da metalmeccanici e salgono sul piccolo palco del Lanificio saltellando pieni di carica. Si annunciano con un «Coma_Cose nella casa», che già vuol dire molto, niente «in the house» e niente «Yo», c’è un’anima italiana, che diventa presto una «Anima Lattina», in uno dei pezzi che già spiccano nel loro ristretto campionario. Ed è anche uno dei numerosi riferimenti alla musica cantautoriale italiana che per anni ci è sembrata così distante e inaccessibile. E dopo Battisti la ritroviamo anche quando chiamano in causa Celentano, oppure con la «dolce venere di rime» che ci riporta a De Gregori che, nonostante tutto, è ancora il loro «artista rap preferito».

Le canzoni sono poche, sono giovani e sono fresche come il panorama di cannucce nei bicchieri di plastica. Le canzoni sono poche ma già le conoscono tutti, qualche centinaio di persone che invece di giocherellare con l’ombrellino da cocktail in un tavolino all’aperto hanno preferito venire, in questo sabato di quasi estate, nel caldo di un club compatto e accogliente. Per ascoltare loro, i Coma_Cose, una delle più belle sorprese di questa spumeggiante scena italiana. Fanno parte della scia, ma non assomigliano a nessuno, ammucchiano e si ammucchiano dentro generi e sinfonie, mischiano parole come fossero giocattoli e ci regalano un linguaggio nuovo che ci raggiunge, ci trasforma e ci emoziona ancora una volta.

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Accompagnati da una batteria che si adombra sullo sfondo, Fausto ha il cappellino sulla fronte e fa avanti e indietro sul palco tipo riscaldamento a bordo campo, Francesca agita braccia e testa dorata con movenze alla Eminem d’annata. Un’insegna con una S ed una A sovrasta il centro palco e ci ricorda quel gioiello tutto romano che è lo Spring Attitude degli amici di L-Ektrica, che gentilmente ci regala un’altra serata come questa.

La folla agita le braccia a tempo di musica, i ragazzi sul palco alternano ritmi rap a strofe melodiche, sforzi da romanticismo post-impero e sfogo sociale, senza moralismi, senza sofisticazioni, una Milano già bevuta, una serie di giochi di parole intelligenti senza essere pretenziosi, acrobazie divertenti, tanta Italia in salsa internazionale. E non importa se le canzoni sono veramente poche e si esauriscono prima di esserne soddisfatti, anche loro sul palco ne sembrano dispiaciuti, ma quasi scusandosi ci dicono «abbiamo solo queste, però facciamo ancora qualche altra roba», un breve intervallo con la cover di “Cani Sciolti” dei gloriosi Sangue Misto e poi qualche canzone da ripetere.

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«Post-Concerto» funge già da grande classico di repertorio nonostante abbia appena pochi mesi di vita: tutti ripetono le strofe come un mantra fatto di novità e sorrisi stupiti, per quella pioggia transitiva che ci «temporala», o per la splendida immagine di una «Sarajevo sulle tapparelle che il sole mitraglia di luce», flash mnemonico che nella mente accomuna le camere da letto di qualunque generazione. Fino alle dichiarazioni d’amore di due figli dell’epoca nuova, qualcosa di immaginifico e poetico come «la mia ragazza è bella come David Bowie» per arrivare alla voglia di occupare, e di andare a dormire col cane nella testa dell’altro, come in un gigantesco centro sociale.

Un ragazzo dell’organizzazione dell’evento mi confessa la sua soddisfazione, ma soprattutto la sua felicità nel riconoscere sui volti dei Coma_Cose uno stupore sincero, appassionato, quando vedono così tanti romani cantare a memoria le loro canzoni, una sensazione che gli ricorda il primo Cosmo, passato anche lui tra le sapienti mani dello Spring Attitude qualche anno fa. Non possiamo che augurare ai ragazzi di Milano lo stesso successo del piemontese, e ringraziamo questa nuova Italia musicale, giovane e piena di vita. Che viene da anni di niente, ma vuole tutto. Come i Coma_Cose dal Giambellino.

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Le fotografie sono una gentile concessione di Fabio Germinario e di Spring Attitude.

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