Claudio Cupellini Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Fri, 12 May 2017 15:14:12 +0000 it-IT hourly 1 “Pericle il nero”: un film che parla due lingue https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/pericle-il-nero-un-film-che-parla-due-lingue/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/recensioni/pericle-il-nero-un-film-che-parla-due-lingue/#respond Tue, 17 May 2016 07:27:00 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=3164 Pericle (Riccardo Scamarcio) è una persona che per mestiere umilia le sue vittime, sodomizzandole, per conto della Camorra. È un uomo solo, a cui Scamarcio soprattutto nella prima parte dona uno sguardo rassegnato, perso, quello di un individuo che ha accettato quel tipo di vita perché non l’ha neppure scelta, ci si è trovato dentro, […]

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Pericle (Riccardo Scamarcio) è una persona che per mestiere umilia le sue vittime, sodomizzandole, per conto della Camorra. È un uomo solo, a cui Scamarcio soprattutto nella prima parte dona uno sguardo rassegnato, perso, quello di un individuo che ha accettato quel tipo di vita perché non l’ha neppure scelta, ci si è trovato dentro, cresciuto in un ambiente che l’ha formato in quel modo (guarda il trailer).

Con questo adattamento dell’omonimo romanzo di Giuseppe Ferrandino, Stefano Mordini, alla sua terza prova nel lungometraggio, ci vuol dire che gran parte della nostra vita è già – ingiustamente – decisa alla nostra nascita, e che da quell’origine è difficile fuggire. C’è però una possibilità di salvezza, di cambiamento: un incontro, come quello con una donna matura e altrettanto sola, che sembra uscito da un film di Rohmer.

Pericle il nero è infatti un film dal respiro europeo, non propriamente italiano. A partire dalla freddezza dei luoghi, intelligentemente utilizzati all’interno di una messa in scena calcolata e funzionale, si inserisce in quel filone di noir intimisti ambientati in aree dell’Europa (il Belgio e il nord della Francia, in questo caso) che si fanno esternazione di uno stato esistenziale: qui, la solitudine. Per tutto il corso dell’opera si avverte la pesantezza di una vita soffocante, triste, da cui non sembra esserci via di fuga. Non è però detta l’ultima parola. Una finestra si apre nel momento in cui, proprio grazie al suddetto incontro, questo film italiano comincia a parlare un’altra lingua, il francese, diventando per buona parte della sua durata una pellicola bilingue. E se guardiamo indietro, ricordiamo di aver già visto qualcosa del genere nella parte iniziale di Alaska di Claudio Cupellini (ambientato a sua volta in Francia, appunto), che per certi versi si avvicina a Pericle il nero in quanto racconto di solitudini che si incontrano e si incrociano.

Il genere, cioè il noir, è nel film di Mordini uno sfondo, una parete scura su cui sono proiettate le ombre di persone e personaggi che vagano coi loro fardelli, col peso delle loro insoddisfacenti vite sulle spalle, in una stasi che il regista accoglie dandole forma, per prendere gli spettatori in sala e trasportarli per un paio di ore in un universo in cui nessuno sembra aver trovato la felicità, se non nella possibilità di un finale, di un’agognata boccata d’aria, di un’ultima speranzosa partenza.

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L’accordo perfetto https://www.fabriqueducinema.it/magazine/musica/laccordo-perfetto/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/musica/laccordo-perfetto/#respond Wed, 05 Aug 2015 14:25:34 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=1793 Cercavamo il nome giusto per inaugurare la nuova rubrica di Fabrique dedicata alla musica per il cinema, e abbiamo incontrato l’energia e la passione di Marco Fasolo, leader dei Jennifer Gentle, la prima rockband italiana messa sotto contratto dall’americana Sub pop (Nirvana, Soundgarden, Mudhoney). Marco ha concluso da poco  la realizzazione della colonna sonora di […]

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Cercavamo il nome giusto per inaugurare la nuova rubrica di Fabrique dedicata alla musica per il cinema, e abbiamo incontrato l’energia e la passione di Marco Fasolo, leader dei Jennifer Gentle, la prima rockband italiana messa sotto contratto dall’americana Sub pop (Nirvana, Soundgarden, Mudhoney).

Marco ha concluso da poco  la realizzazione della colonna sonora di Alaska, il prossimo film in uscita di Claudio Cupellini, con il quale aveva già più volte lavorato.

Com’è nata questa collaborazione?

È nata molto tempo fa dall’amicizia di Claudio con Alessio Gastaldello, il batterista storico della band. Nel periodo in cui Claudio frequentava ancora il Centro Sperimentale abbiamo musicato il suo cortometraggio Come tu mi vuoi. In seguito ho lavorato sulla musica del corto Chi ci ferma più, e da quel momento siamo rimasti in contatto. Tempo dopo ho composto un brano per Una vita tranquilla (Little Carol), e per Alaska invece mi sono occupato di circa metà delle musiche del film, un lavoro molto più intenso e complesso.

Cosa ti ha chiesto per Alaska?

Dovevo creare attraverso la musica l’identità del locale “Alaska”, dando un carattere forte ad alcune scene che avvenivano al suo interno. Sono andato ad approfondire paesaggi e sonorità musicali molto poco comuni per quello che è il mio fare musica. Evidentemente Claudio mi ha coinvolto proprio perché, al di là di quello che faccio solitamente, era certo che con me avrebbe potuto creare qualcosa di caratterizzante. Inoltre, essendo un grande conoscitore di musica, sapeva bene come indirizzarmi per ottenere il risultato che voleva.

A proposito di questo, quanto è difficile trasporre in musica ciò che si vede e come cambia il modo di comporre relazionandosi a un film?

Il passo più impegnativo è quello di capire esattamente il film: per quanto banale possa sembrare è essenziale capire dove il regista vuole arrivare. Per Alaska ho dovuto metabolizzare la storia, l’estetica e soprattutto i personaggi riconducendo una sonorità specifica a ognuno di essi. Mi è sempre venuto spontaneo ragionare in termini di immagini quando faccio musica. Ogni canzone che scrivo nella mia testa è un film; quindi, quando si è trattato di comporre davvero musica per un film, non dico che sia stato facile, però sicuramente sentivo di avere la scintilla necessaria. In ogni caso è molto diverso dal fare un disco, anche per il confronto diretto che c’è con il regista e la produzione: è frutto della cooperazione di molte persone.

Quale valore aggiunto ritieni che la musica porti a un film?

Secondo me dipende molto dal film: alcuni sono ipermusicati, altri presentano l’errore opposto. In un film ben musicato, il valore aggiunto è notevole. Di rado si può sperimentare qualcosa di più potente ed evocativo della simbiosi tra immagini e musica. Chi fa musica per film deve preoccuparsi di non essere troppo invadente oppure, se richiesto come nel mio caso, esserlo molto. Non c’è una regola.  È un lavoro molto complesso, soprattutto se ti proponi di fare qualcosa che abbia spessore e capacità di arrivare dove vuole il film; altrimenti succede che la pellicola rema in una direzione e la musica in un’altra, e brani magari anche buoni semplicemente non sono giusti su quella scena.

Un esempio di questa sinergia?

Credo che uno dei vertici maggiori tra la musica e il cinema sia l’unione Fellini-Rota. Non voglio dire che in ogni film ci debba essere quel tipo di immaginario, però in quel caso l’abbinamento tra immagine e musica è stato azzeccato in maniera perfetta e maestria inarrivabile. Stesso discorso vale su cose più crude e selvagge come l’incontro Argento-Goblin. Adoro anche il gusto che aveva Kubrick di scegliere musiche già esistenti e ridare loro un nuovo senso. La capacità di costruire questo valore aggiunto la riconosco anche in Claudio. Penso che chi faccia arte debba misurarsi con i grandi maestri. Sono i classici: sarà scontato, ma sono le cose che secondo me veramente funzionano.

Parlando dei Jennifer Gentle, di cui sei autore, arrangiatore e produttore, quanto è cambiata la band dagli esordi?

Mi pare che sia molto cresciuta nel corso degli anni. Ho lavorato con molti gruppi come produttore tra cui i Verdena. Ho imparato molto con il confronto e col duro lavoro in studio: con il tempo sono cambiati sia il sound sia la scrittura, lasciando intatto lo spirito un po’ punk già presente. Anche dove ricerco la raffinatezza lo faccio con un po’ di goliardia: mi piace definirmi un “cazzone raffinato”. Ci vuole sempre una buona dose di maleducazione, di follia e d’incoscienza. Si deve spegnere la parte cosciente in una chiave quasi lynchiana, dove l’elemento del sogno diventa fondamentale.

Credo molto in questa che non è una via di mezzo, è un equilibrio: c’è tanto dell’una e dell’altra cosa, il risultato è quello che vorrei essere, mi piace l’idea di creare un giorno qualcosa di totalmente comprensibile a tutti ma anche totalmente personale. È per questo che amo i classici, perché hanno questo ingrediente, la totale personalità senza alcun compromesso e la totale fruibilità da parte di chiunque.

Che consigli daresti ai giovani che vogliono percorrere la carriera di musicisti per musiche da film?

L’unico consiglio che posso dare vale per tutti, anche per chi vuole fare il calzolaio: fate quello che vi piace nel migliore dei modi possibile, anche se non avete né un soldo né un posto dove stare né qualcuno che vi appoggia.

Tanta gente anche di talento si nasconde dietro alla mancanza di condizioni ideali, io però non ritengo che dobbiamo essere serviti e riveriti, ma che dobbiamo metterci a totale disposizione della vocazione del nostro io interiore.

Amare il proprio lavoro, questa è la chiave di lettura.

Vorresti comporre altre colonne sonore? Con quale altro regista ti piacerebbe collaborare?

Assolutamente sì. Vorrei fare musica per altri film interessanti con un regista determinato che voglia comunicare qualcosa come è stato con Claudio, qualunque progetto con una bella storia. Adoro i progetti che hanno alle spalle una o più persone, e forti delle proprie idee le portano avanti con determinazione anche andando in barba al mondo!

(Ringraziamo per la collaborazione DNA Concerti)

 

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