Claudia Marsicano Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Thu, 09 Mar 2023 13:32:16 +0000 it-IT hourly 1 Il rimbalzo del gatto morto: ricominciare dopo la fine di un amore https://www.fabriqueducinema.it/magazine/futures/il-rimbalzo-del-gatto-morto-ricominciare-dopo-la-fine-di-un-amore/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/futures/il-rimbalzo-del-gatto-morto-ricominciare-dopo-la-fine-di-un-amore/#respond Mon, 27 Feb 2023 13:43:28 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18217 Presentato in anteprima all’ultima Alice nella Città, Il rimbalzo del gatto morto (prodotto da Oki Doki Film e Lampo TV) è una storia che trova il suo posto nel “mezzo”: c’è un prima e c’è un dopo, tra il ricordo di un passato felice e il “lutto” e l’incertezza di un futuro tutto da riscrivere. […]

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Presentato in anteprima all’ultima Alice nella Città, Il rimbalzo del gatto morto (prodotto da Oki Doki Film e Lampo TV) è una storia che trova il suo posto nel “mezzo”: c’è un prima e c’è un dopo, tra il ricordo di un passato felice e il “lutto” e l’incertezza di un futuro tutto da riscrivere. Antonino Valvo alla regia del corto, sceneggiato da Luca Jankovic, ci ha raccontato di come la storia di Giulia gli abbia parlato da subito per il suo profondo bisogno di sentirsi amata, un bisogno destinato però a rimanere disatteso.

«Volevo da tempo mettermi alla prova. Non ho metodo e forse neanche la voglia di sceneggiare, sono uno molto più visivo, ma mi piace leggere le sceneggiature, analizzarle e cercare di capire cosa funziona e cosa no. L’idea era di mettermi su un progetto non mio e, leggendo questo, ho trovato subito qualcosa che mi parlava e che spero sia arrivato anche agli altri, ovvero il bisogno e il tormento amoroso del personaggio. Sperare che quella persona risponda con un messaggio che invece non arriva», conclude, «è capitato spesso anche a me».

L’idea nasce da Luca Jankovic, amico e collega, che per il titolo prende in prestito una metafora dal mondo della finanza. Il rimbalzo del gatto morto” infatti è un modo di dire che si riferisce a un crollo finanziario che, prima di piombare giù in picchiata, registra una lieve ripresa, nella flebile speranza di poter ritornare a salire. È ciò che in effetti succede a Giulia che, durante una notte tormentata, ripensa alla sua relazione con Samu conclusa con le riaperture post Covid. Il film mostra come la fine del lockdown può essere stata la fine anche di qualcosa di bello e, se tante persone sono state in grado di tornare alla vita di tutti i giorni, Giulia sembra rimasta bloccata nel tempo e nello spazio – quello del suo appartamento – tra messaggi non inviati e la compagnia di un gatto. «Per lei la quarantena non è ancora finita, perché è rimasta incastrata in quel periodo di felicità», spiega il regista.

In un appartamento con un’estetica decisamente kawaii, tra luci al neon, giochi d’ombra, costumi e scenografia vivaci si riflettono la mente e il cuore di Giulia, interpretata da Claudia Marsicano (Mi chiedo quanto ti mancherò?, Noi) : un personaggio intenso, sicuro quanto fragile. «Una persona che si dispera nella sua camera la immagino in un ambiente buio, molto in controluce. Il tormento del personaggio è molto altalenante, raggiunge picchi di felicità e picchi di depressione, azzarda molto e così anche noi abbiamo deciso di azzardare con l’estetica sotto tutti i punti di vista, per divertirci e fare qualcosa di inconsueto. E per aiutare lo spettatore a capire che, per quanto la messa in scena sia verosimile, non è realistica, suggerendo che si tratta di un luogo della mente, o del cuore».

il rimbalzo del gatto morto

È però nelle mani di Antonino e grazie alla bravura dell’interprete che Giulia riesce a prendere vita: «Il dialogo con gli attori è qualcosa che sto ancora approfondendo e non smetto di studiare. È fondamentale capire come entrare in contatto con il processo creativo degli attori: il regista deve dare delle direzioni e non dire come fare le cose. Ognuno ha la propria idea sul personaggio, ma questa prima di tutto deve arrivare dal testo. E l’ascolto è prioritario con chiunque sul set. Le due costumiste, per esempio, Cristina Maiorano e Valentina Carcupino, hanno preso parte alla costruzione del personaggio collaborando con Claudia per capire la strada giusta». Riguardo alla protagonista, racconta ancora Valvo: «L’idea di Claudia è nata con lo sceneggiatore, io non la conoscevo. Le abbiamo mandato lo script e lei si è da subito riconosciuta. Claudia è un’attrice fenomenale. Il regista è un timoniere che si deve circondare di persone stimolanti, cercando di mettere in scena tutto ciò che di bello nasce dal confronto».

Una menzione speciale a Il rimbalzo del gatto morto va anche per la scelta di aver mostrato un corpo femminile non conforme e soprattutto non aver relegato il personaggio di Giulia ai ritriti temi dell’insicurezza estetica e della salute. Giulia non è il suo corpo, ribadisce il regista, è un personaggio vivo, complesso, di cui il corpo è solo una componente.

Dopo interminabili messaggi e pensieri labirintici tutto si risolve nel momento finale, quando Giulia, assalita nuovamente dallo sconforto e dalla rabbia, prende il gatto tra le mani, decisa a lasciarlo cadere nel vuoto. La speranza si dice sia l’ultima a morire, anche se a volte è necessario perderla per poterne trovare di nuove. Si dice anche che i gatti abbiano sette vite, per fortuna Giulia ha saputo resistere alla tentazione di scoprirlo.

Il film avrà la sua prossima proiezione al Los Angeles Film Fashion and Art Festival che si terrà tra il 5 e l’ 11 marzo 2023. Intanto Antonino sta già lavorando a tanti altri progetti tra cui un lavoro sull’Amleto dove indaga il rapporto con l’attore tra – ci dice lui – l’onirico e il documentaristico, e un nuovo film dal titolo Ossamare ispirato agli spaccapietre.

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Mi chiedo quando ti mancherò, la libertà di essere se stessi https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/mi-chiedo-quando-ti-manchero-la-liberta-di-essere-se-stessi/ Tue, 06 Jul 2021 09:23:25 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=15833 Il concetto di “grassofobia” è una nozione che negli ultimi anni si sta pian piano dilagando nei social, con numerose modelle o attrici o figure di spicco che si oppongono al “body shaming”. Ultime fra queste Kate Winslet che ha accusato l’HBO di “fat shaming” per aver photoshoppato la sua pancia in occasione del poster […]

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Il concetto di “grassofobia” è una nozione che negli ultimi anni si sta pian piano dilagando nei social, con numerose modelle o attrici o figure di spicco che si oppongono al “body shaming”. Ultime fra queste Kate Winslet che ha accusato l’HBO di “fat shaming” per aver photoshoppato la sua pancia in occasione del poster pubblicitario di Mare of Eastown. La lotta contro l’idea che sia necessario avere un corpo sempre perfetto e impeccabile naviga sul web a una velocità impressionante, spesso però perdendo “corporeità” ed è proprio per questo che un film come Mi chiedo quando ti mancherò, uscito in sala il primo luglio, assume ancora più importanza.

Tratto dal romanzo di Amanda Davis, Wonder When You’ll Miss me, e coprodotto con la Slovenia, il secondo lungometraggio di Francesco Fei (che nel frattempo ha dedicato la sua carriera a numerosi videoclip e documentari) vede come protagonista Amanda, una liceale che si ritrova a lottare contro lo stigma di non avere un corpo “magro”. Stigma che non solo la isola (aspetto in effetti già trattato in diversi film statunitensi), ma che la catapulta dentro violenze sempre più gravi, che se per chi si è trovato in una situazione simile a quella della protagonista non hanno nulla di scioccante, allo stesso tempo permettono ai restanti spettatori di comprendere la gravità di un dramma del genere.  

Seguiamo così la giovane protagonista in una fuga, raccontata con numerosi flashback che disvelano a mano a mano cosa le è successo, ma soprattutto come si sente. Amanda, infatti, in seguito a una “sfida” che la vede coinvolta in un episodio molto simile al revenge porn, si spezza, scindendosi in due. Improvvisamente mostra la sua voglia di non stare in silenzio e subire, di non essere semplicemente gentile, ma di essere irriverente, audace e forte. Giunta in un circo, incomincia pian piano a capire cosa voglia davvero e, di conseguenza, cosa debba fare per riunire i pezzi della sua vita e poter andare avanti, sebbene ciò la porti a un necessario addio a una parte di sé (da qui il titolo), ponendo fine a quella scissione tra ciò che si è davvero e ciò che si è secondo il pensiero stereotipato degli altri.

Mi chiedo quando ti mancherò
Claudia Marsicano e Beatrice Grannò in Mi chiedo quando ti mancherò.

La penna di Chiara Barzini, Luca Infascelli e dello stesso Francesco Fei non si limita semplicemente a tracciare la vicenda di Amanda, ma ci porta visivamente dentro questa scissione, senza mai fare ricorso all’uso di una spiegazione verbosa. Ed è proprio per questo, infatti, che il concetto di “body shaming” assume nuovamente tutta la sua forza. Sia a livello di sceneggiatura che di regia, infatti il racconto trova un modo elegante e profondo di entrare nei pensieri di Amanda, nelle sue gestualità, in ogni sua piccola piega, a partire dal battito cardiaco iniziale, fino al modo in cui la macchina da presa si sofferma a presentare la propria protagonista non nella sua totalità, ma attraverso piccoli dettagli.  

Dettagli sia visivi, che narrativi, come per esempio il camion dove appare la scritta “Thelma” (in riferimento proprio a Thelma e Louise, ma, non a caso, senza Louise), la cover del cellulare, o il fatto che decida di chiamarsi “Annabella”, sottolineando come voglia con tutte le sue forze ricominciare una nuova vita per essere semplicemente “bella”. Concetto, quello della bellezza, come quello della diversità, che con sottigliezza e dolcezza percorre tutto il film, ricordando a tratti le famose parole di De Gregori e della sua Donna cannone.

La bellezza di Mi chiedo quando ti mancherò risiede proprio nella semplicità in cui mostra tutto questo, ricorrendo, appunto, a piccole sfumature di stile che giocano più sul visivo che sul parlato (d’altronde Show, don’t tell” diceva un grande maestro del cinema come Hitchcock). Questo aspetto, che si manifesta armoniosamente dalla scrittura, alla regia, alla fotografia (che abilmente gioca con le ombre e le luci sul volto e intorno alla protagonista), insieme alla recitazione intensa di Beatrice Grannò, ma soprattutto di Claudia Marsicano, rende l’opera di Francesco Fei un film che supera le barriere di genere (del classico teen movie). Così, nelle note dolci e amare del finale, voliamo via anche noi, non più solo pensando, ma capendo realmente che cosa significhino la grassofobia, il body shaming e il bullismo, nell’ipocrisia generale e nella forza di chi, rialzandosi a testa alta, si chiede se alla fine le mancherà quella parte vulnerabile di sé che, canticchiando, saltella sotto un ombrello arcobaleno.

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