cinema italiano Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Fri, 18 Mar 2022 09:43:03 +0000 it-IT hourly 1 Il legionario, esce al cinema l’opera prima di Hleb Papou https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/al-cinema-il-legionario-di-hleb-papou/ Wed, 23 Feb 2022 14:25:52 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16843 Fortemente attratto da un cinema di genere capace di riflettere sui problemi della società, l’appena trentenne Hleb Papou firma la promettente opera prima Il legionario, in uscita il 24 febbraio nei cinema. Il film racconta senza retorica l’Italia multiculturale di oggi e la questione dell’emergenza abitativa romana, con un obiettivo ambizioso: rinnovare lo sguardo del […]

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Fortemente attratto da un cinema di genere capace di riflettere sui problemi della società, l’appena trentenne Hleb Papou firma la promettente opera prima Il legionario, in uscita il 24 febbraio nei cinema. Il film racconta senza retorica l’Italia multiculturale di oggi e la questione dell’emergenza abitativa romana, con un obiettivo ambizioso: rinnovare lo sguardo del cinema italiano sull’attualità.

Classe 1991, bielorusso naturalizzato italiano, Hleb Papou si è trasferito con la madre da Minsk a Lecco nel 2003, spostandosi poi a Roma per inseguire il sogno del cinema che coltivava fin da piccolo. Dopo gli studi al DAMS è entrato al corso di regia del Centro Sperimentale, dove ha realizzato come saggio di diploma il cortometraggio Il legionario, presentato nel 2017 alla Settimana della Critica del Festival di Venezia e da cui ha tratto l’omonimo esordio nel lungometraggio.

Mostrata in anteprima all’ultima edizione del Festival di Locarno (Pardo per il miglior regista emergente nella sezione Cineasti del presente), la versione lunga de Il legionario vede protagonista Daniel, un agente di origini africane del reparto mobile della Polizia costretto a sgomberare il palazzo occupato in cui è cresciuto e dove vivono la madre e il fratello. Osservando occupanti e poliziotti senza giudicarli, l’opera prima ha il merito di proporre uno spaccato della società italiana che raramente trova spazio sul grande schermo. 

Da dove parte l’idea alla base prima del corto e poi del lungometraggio?

Tutto ha avuto origine da un’immagine che mi è venuta in mente diversi anni fa: quella di un poliziotto di colore, nato e cresciuto in Italia, che indossa la divisa da celerino. E in più, in generale, dalla volontà di smuovere un po’ le acque mostrando l’Italia di oggi in modo diverso dal solito, in maniera fresca e al passo con i tempi, senza seguire le mode del momento ed evitando il buonismo, il politicamente corretto. Non eravamo interessati all’ennesimo racconto della periferia romana disagiata e infatti lo stabile occupato al centro del film si trova in centro, nel quartiere Esquilino. È da qui che siamo partiti con Giuseppe Brigante ed Emanuele Mochi, i co-autori del soggetto e della sceneggiatura, per costruire le vicende che ruotano attorno a Daniel, uno dei sempre più numerosi italiani di nuova generazione, e alla sua famiglia.

Maurizio Bousso in "Il legionario" di Hleb Papou
Maurizio Bousso in “Il legionario” di Hleb Papou.

Cosa vi ha spinto ad ampliare la storia del corto in un lungometraggio e come vi siete preparati alla fase di scrittura?

Già per il cortometraggio avevamo fatto molte ricerche sul campo. Abbiamo conosciuto un poliziotto della Celere, che ci ha introdotto nel mondo dei reparti mobili della Polizia, e frequentato per diverso tempo lo stabile occupato di Via di Santa Croce in Gerusalemme dove è ambientato il film, incontrando le persone che ci abitavano ben prima che se ne iniziasse a parlare così tanto sui giornali per la questione della luce staccata. Raccogliendo le storie di poliziotti ed occupanti, approfondendo i loro punti di vista, ci siamo resi conto che le cose da dire erano molte, mentre il tempo a nostra disposizione per raccontarle poco. Farne un lungometraggio è stato dunque un passaggio naturale. In generale, tanto per il corto quanto per il lungo, il modus operandi è stato lo stesso: approfondire la realtà che volevamo raccontare per poi restituirla al meglio delle nostre possibilità attraverso il linguaggio cinematografico. Senza assumere posizioni ideologiche o proporre soluzioni che non conosciamo.

Inserendo poi il tutto nel contesto di un cinema di genere…

Fin da piccolissimo sono sempre stato appassionato di film di genere. Quando ancora vivevo in Bielorussia, negli anni Novanta, sono cresciuto guardando film d’azione come Die Hard, Arma letale, Rambo o Robocop, che mi ricordo con i compagni di asilo giocavamo ad imitare facendo finta di spararci a vicenda. Più avanti poi ho iniziato ad apprezzare il cinema di genere impegnato, in grado di raccontare in maniera diretta, cruda e dinamica la società. Da questo punto di vista ad esempio ammiro molto i film di Denis Villeneuve, in particolare Sicario, e Jacques Audiard, soprattutto Il profeta. Una delle mie pellicole preferite in assoluto, che reputo un capolavoro, è Tropa de Elite del brasiliano José Padilha, vincitrice dell’Orso d’oro al Festival di Berlino nel 2008. Il cinema che parte dal racconto dell’attualità usando il genere per far riflettere sulla realtà che ci circonda mi affascina particolarmente. Tanto che mi muoverò in questa direzione anche in futuro.

C’è nel panorama italiano un regista che senti vicino a questa tua idea di cinema?

Mi piace molto lo studio di genere dietro la regia di Stefano Sollima, che mi sembra sia l’unico oggi in Italia a fare un cinema di qualità di questo tipo. Non a caso, è stato chiamato per la prima volta ad Hollywood proprio per dirigere il seguito di Sicario di Villeneuve, Soldado. Anche se questa strada in Italia oggi non è particolarmente battuta, è interessante notare come in passato, a partire dagli anni sessanta e fino ai primi anni ottanta, sia stata esplorata dal filone del poliziottesco, che a suo modo raccontava problemi sociali, crimine e corruzione attraverso una chiave di genere sempre attenta al grande pubblico.

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“Il cinema è una religione e la sala è la sua chiesa”. Come può sopravvivere la sala cinematografica? https://www.fabriqueducinema.it/focus/come-puo-sopravvivere-oggi-la-sala-cinematografica/ https://www.fabriqueducinema.it/focus/come-puo-sopravvivere-oggi-la-sala-cinematografica/#respond Tue, 22 Feb 2022 13:36:53 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16825 Il 18 febbraio scorso si è tenuta a Roma la conferenza stampa La sopravvivenza della sala cinematografica, organizzata dall’Associazione Nazionale Esercenti Cinema (ANEC), insieme alle rappresentanze dell’esercizio cinematografico ACEC e FICE. Una data simbolica, due anni esatti dalle prime chiusure in Lombardia a causa della pandemia, e un termine forte: sopravvivenza, scelto proprio per sottolineare […]

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Il 18 febbraio scorso si è tenuta a Roma la conferenza stampa La sopravvivenza della sala cinematografica, organizzata dallAssociazione Nazionale Esercenti Cinema (ANEC), insieme alle rappresentanze dell’esercizio cinematografico ACEC e FICE.

Una data simbolica, due anni esatti dalle prime chiusure in Lombardia a causa della pandemia, e un termine forte: sopravvivenza, scelto proprio per sottolineare la drammatica situazione in cui versa il settore.

Per tutti coloro che sono cresciuti senza l’ampia scelta delle piattaforme streaming, andare al cinema è un rito a tutti gli effetti. La sala buia, il grande schermo, le risate e le lacrime dei vicini, il profumo dei popcorn: è quasi impossibile immaginare un luogo migliore per vedere un film.  Per questo, Gianluca Bernardini, Presidente ACEC (Associazione Cattolica Esercenti Cinema) azzarda il paragone tra cinema e messa, identificando nella sala il suo luogo di culto.

Tuttavia, nonostante la rilevanza che gli è riconosciuta, la sala fatica a riprendersi la sua fetta di pubblico. Eppure, alla fine del 2019, numeri e risultati erano promettenti e sembravano descrivere un mercato finalmente maturo. La pandemia, però, ha interrotto questo progresso e catapultato in un processo di continua perdita le sale cinematografiche, che ancora oggi stentano a rialzarsi, nonostante nel resto d’Europa il 2021 si sia chiuso con una crescita per il settore.

Conferenza stampa ANEC "La sopravvivenza della sala cinematografica"
“La sopravvivenza della sala cinematografica” conferenza stampa organizzata da ANEC in collaborazione con FICE e ACEC.

Le misure restrittive ancora pesanti, per un luogo considerato tra i più sicuri, certamente non aiutano la ripresa. Dal 10 marzo sarà finalmente possibile tornare a consumare cibi e bevande in sala, ma Mario Lorini, il Presidente di ANEC, sottolinea l’urgenza di una “road map”, un calendario che indichi con precisione la graduale eliminazione delle restrizioni, come già fatto in molti Paesi europei.

La Francia è forse uno dei Paesi più citati in conferenza stampa, non solo per l’allentamento delle restrizioni già in atto, ma per il sistema di tutela dei titoli in uscita in sala: le piattaforme streaming, infatti, devono aspettare minimo 6 mesi dall’uscita in sala prima di poter proporre ai loro abbonati la visione di un nuovo titolo.

Il tema delle finestre di tempo tra sala e streaming è, per Luigi Lonigro, Presidente Nazionale Distributori ANICA, fondamentale. Per quale motivo uscire per andare a vedere un film al cinema, se dopo pochissimo tempo si ha già la possibilità di averlo in streaming, incluso nel proprio abbonamento mensile? L’esclusività è centrale per le piattaforme, che proprio con serie e titoli in esclusiva riescono ad attrarre grandi quantità di spettatori e farsi concorrenza tra loro. Non si può non tenerne conto ed è necessario un intervento istituzionale che protegga il mercato permettendo alle sale di competere alla pari, proponendo titoli disponibili solo al cinema per un determinato periodo di tempo.

Domenico Dinoia presidente FICE (Federazione Italiana Cinema d’Essai), propone un’altra importante riflessione. La produzione in Italia è aumentata, i progetti in corso di realizzazione sono numerosi, eppure solo il 30% viene ideato, concepito e realizzato per la sala cinematografica. Molti prodotti, infatti, sono già confezionati per il piccolo schermo e il pubblico questo lo avverte. C’è bisogno, secondo il presidente Fice, di nuovi autori capaci di scrivere un cinema che guardi, in tutte le fasi, alla fruizione in sala.  È necessario inoltre, garantire più offerta, varietà e dinamismo investendo in multiprogrammazione e miglioramento degli schermi.

Ciò che però emerge con forza da questa conferenza è la necessità di ripensare la sala cinematografica. Un tema molto sentito da diversi anni, diventato però più urgente con la pandemia e con l’onnipotenza delle piattaforme streaming. Tanti hanno ribadito l’importanza di creare un evento sociale attorno alla proiezione di un film, ma c’è bisogno di molto di più. Secondo Fabrizio Gifuni, rappresentate di UNITA (Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo), l’esperienza della sala è un rito collettivo. Le sale devono continuare a essere presidi culturali, piazze aperte sulla città e non possono essere considerati solo degli esercizi commerciali. Bisogna fare in modo che la cittadinanza torni in questi luoghi. Il teatro è unico e irripetibile per statuto, perché avviene tra corpi vivi, per la sala cinematografica invece il problema è diverso e per questo è necessario uno sforzo di immaginazione per ripensarla. L’obbiettivo di regolamentazione è sicuramente fondamentale e va perseguito ma, secondo l’attore romano, questi luoghi vanni rivisti e modificati per le nuove generazioni, affinché li facciano propri. La proiezione non basta più, serve la presenza fisica con incontri, dibattiti e attività parallele.

Non è facile, non si cambia dall’oggi al domani ma, in una prospettiva futura, le sale vanno trasformate, devono trovare una dimensione nuova che le renda ancora uniche, irripetibili, indispensabili.

Infine un appello alla politica e all’opinione pubblica affinché si agisca in fretta per salvare un settore, stremato e provato da due anni di pandemia, che ancora fatica a vedere un ritorno alla normalità.

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