Centro Sperimentale di Cinema Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Thu, 11 May 2017 14:44:42 +0000 it-IT hourly 1 Non solo Roma: il doc di due allievi del CSC dell’Aquila piace ai festival https://www.fabriqueducinema.it/magazine/documentario/non-solo-roma-il-doc-di-due-allievi-del-csc-dellaquila-piace-ai-festival/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/documentario/non-solo-roma-il-doc-di-due-allievi-del-csc-dellaquila-piace-ai-festival/#respond Wed, 18 Jan 2017 09:34:58 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=3916 Su un monumento funebre del V secolo a.C. ritrovato a Paestum, un atleta è colto nell’atto di tuffarsi in uno specchio d’acqua, allegoria del trapasso ultraterreno. È partendo da questa immagine che Yan Cheng e Federico Francioni, giovani autori entrambi provenienti dal Centro Sperimentale di Cinematografia/Scuola Nazionale di Cinema – Sede Abruzzo, hanno realizzato il […]

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Su un monumento funebre del V secolo a.C. ritrovato a Paestum, un atleta è colto nell’atto di tuffarsi in uno specchio d’acqua, allegoria del trapasso ultraterreno. È partendo da questa immagine che Yan Cheng e Federico Francioni, giovani autori entrambi provenienti dal Centro Sperimentale di Cinematografia/Scuola Nazionale di Cinema – Sede Abruzzo, hanno realizzato il loro documentario creativo Tomba del Tuffatore.

«Il progetto – spiega Francioni – nasce nel 2014 da una collaborazione tra il Centro Sperimentale e il Ravello Film Festival. Parallelamente alle attività di copertura per il festival – concerti, interviste, eventi – agli allievi è stata data la possibilità di realizzare i loro saggi di secondo anno nell’ambito del festival».

Nel doc, il Tuffatore di Paestum (simbolo della cultura greca) compie il suo passaggio dalla vita alla morte, dal mondo fisico al quello metafisico, e nella sua caduta guida lo spettatore in un viaggio poetico e cinematografico alla scoperta dell’architettura, della storia e, soprattutto, del vuoto postmoderno nella Costiera Amalfitana: ai panorami mozzafiato, alle rovine storiche delle splendide ville di Ravello fanno da contraltare le cartiere abbandonate di Amalfi, le immagini della demolizione dell’Ecomostro di Alimuri, il turismo passivo.

«Io e Yan Cheng – prosegue Francioni – conoscevamo già l’immagine del Tuffatore di Paestum. Il tema ci affascinava molto, abbiamo deciso anche noi di “tuffarci” dentro la realtà, e di esplorare quanto più possibile un territorio così contraddittorio e ricco – dalle antiche cartiere abbandonate fino alle gare di tuffi del Fiordo di Furore. Ci siamo messi in “ascolto” della realtà, per catturare i segni autentici e più significativi di questo salto verso l’altrove. Il tentativo era quello di inserirsi tra le pieghe del confronto tra antico e contemporaneo, tra il mondo mitico e quello mercificato del turismo di massa; tra i colori del paesaggio e certe tonalità di arancione fosforescente di scarpe o vestiario che a volte neanche la camera riusciva a captare. Ci è sembrato quasi di tornare al cinema degli albori, alle “sinfonie urbane” di inizio secolo».

Arricchito dalla partecipazione straordinaria di Maria Pia De Vito e del gruppo “Il Pergolese”, Tomba del  Tuffatore è una parabola sul contemporaneo che si chiude lasciando aperta la domanda da cui prende le mosse film: dove precipita, veramente, questo Tuffatore contemporaneo?

Il film è stato presentato in anteprima alla 52° Mostra Internazionale del Film di Pesaro, debuttando «con grande onore da parte nostra – precisa Francioni – in una nuova sezione che credo sarà molto importante nei prossimi anni, Satellite, una sorta di ricognizione “emotiva” del nuovo cinema italiano sperimentale, il più delle volte invisibile o nascosto, dove si può trovare una grande energia per il futuro», approdando poi al Napoli Film Festival, al Linea d’Ombra di Salerno e, recentemente, al MedFilmFest di Roma «accolto sempre molto bene, tanto che  recentemente siamo finiti anche nella Top Ten dei migliori lavori audiovisivi dell’anno de Il Manifesto, curata da Bruno Di Marino».

Una sensibilità e uno sguardo attento sulla realtà quotidiana che riconosce un debito nei confronti della formazione avuta in una delle sedi meno note del Centro Sperimentale di Cinematografia: «A essere sincero la prima reazione dopo essere stato rifiutato dalla sede di Roma e dirottato a L’Aquila, è stata di panico. Il corso, dall’esterno, sembrava declinato in una sorta di reportage televisivo che nessuno voleva fare, e l’idea di andare a vivere in una città terremotata per tre anni non era allettante. Nel giro di qualche settimana abbiamo capito non solo di esserci sbagliati, ma di essere stati toccati dalla fortuna. Il corso – che purtroppo oggi non esiste più e si è trasformato in altro, per totale indifferenza della sede romana – all’epoca era gestito da Stefano Gabrini, Edoardo Dell’Acqua e Giovanni Oppedisano: tre preziosissime persone con una sensibilità verso il cinema veramente rara da trovare, che in tre anni ci hanno veramente trasmesso insegnamenti di vita. In poco tempo il corso si è subito caratterizzato per un’attenzione non soltanto alla realtà, a quel famoso cinema del reale di cui oggi si fa un gran parlare, ma soprattutto verso l’autenticità».

«Questa impostazione, all’apparenza così evanescente, ha portato a risultati molto concreti: per la prima volta un film del Centro, Moj Brate di Nazareno Nicoletti (un lungo! cosa impensabile per gli allievi di regia di Roma) è riuscito ad entrare nel concorso “Cineasti del Presente” a Locarno. Oltre a lui poi, nel giro di due anni, ci sono stati film che hanno partecipato a “Visions du Reel”, a “Docunder 30” e tantissime altre realtà di peso del circuito italiano ed Europeo».

Una cura e un’attenzione che spesso pagano il fio di una sede decentrata, al di fuori del circuito nazionale: «Chi frequenta le sedi regionali del CSC si sente a volte “di serie B” rispetto ai corsi di Roma: ci si sente isolati o trascurati, e difficilmente si riescono a capire alcune scelte (come quella per esempio di sopprimere il nostro corso). L’aspetto positivo però è che si può esercitare una libertà espressiva maggiore, e soprattutto ci si confronta con tutte le fasi della creazione: siamo in grado di montare, girare, usare un microfono a livello professionale, riuscendo a instaurare un dialogo proficuo con i professionisti del settore e a capire dall’interno quali possibilità espressive possa consentire la tecnica».

Tomba del Tuffatore

Idea, Immagine, Suono di
Yan Cheng | Federico Francioni

Con l’amichevole partecipazione di
Giacomo Ricci | Maria Pia De Vito | Anja Lechner | François Couturier | Michele Rabbia

Italia, 2015, 30’ – documentario creativo

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Alessandro Capitani https://www.fabriqueducinema.it/magazine/futures/alessandro-capitani/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/futures/alessandro-capitani/#respond Tue, 28 Apr 2015 09:20:40 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=1341 Alessandro Capitani ha vinto un meritatissimo Premio del Pubblico “Fabrique Du Cinéma” al Roma Creative Contest con un corto che parla di genitori e figli nell’età della chirurgia plastica. Quando l’amore va davvero al di là delle apparenze. Nella chiacchierata con il nostro nuovo “regista del futuro” partiamo proprio da qui, dal premio ricevuto a […]

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Alessandro Capitani ha vinto un meritatissimo Premio del Pubblico “Fabrique Du Cinéma” al Roma Creative Contest con un corto che parla di genitori e figli nell’età della chirurgia plastica. Quando l’amore va davvero al di là delle apparenze.

Nella chiacchierata con il nostro nuovo “regista del futuro” partiamo proprio da qui, dal premio ricevuto a Roma: «Il Roma Creative Contest è uno dei migliori festival in assoluto, perché è organizzato da persone giovani e perché c’è tanto pubblico. Per me era la prima volta, sono rimasto sorpreso, ti senti parte di uno spettacolo e di una comunità: ho parlato con tanti ragazzi davvero interessati al cinema». E questa è solo una tappa di un percorso già ricco di soddisfazioni: «Con La legge di Jennifer ho vinto anche il premio per cortometraggi più importante che potessi ricevere. Mi hanno mandato due settimane in California, agli Universal Studios di Hollywood, ho fatto e visto cose che mai avrei immaginato. Sono andato all’anteprima di Oblivion e avevo Tom Cruise seduto a cinque metri da me». Parliamo del premio Cinemaster Studio Universal 2013, e Alessandro l’ha vinto e consumato quest’anno, con un viaggio nel mondo del cinema industriale (ancora) più grande, ricco e potente del mondo.

Trentatré anni e tanto lavoro alle spalle, fatica e pratica, maniche rimboccate da dieci anni come operatore, assistente e poi aiuto regia. Ma durante e prima anche tanto studio teorico. «Le scuole che potevo fare le ho fatte tutte. Ho cominciato col Dams di Bologna. Interessante, ma forse poco utile per chi ha voglia di fare cinema sul serio. Nel senso che tutto quello che ho studiato lì potevo impararlo leggendo libri e vedendo film a casa mia, senza spostarmi da Orbetello dove sono nato e cresciuto».

Invece hai cominciato lì e poi sei arrivato fino al Centro Sperimentale di Roma.

L’ho frequentato dal 2006 al 2009, tre anni bellissimi in cui ho imparato molto e ho potuto condividere progetti con professionisti che altrimenti non avrei avuto modo di conoscere. Così oggi posso alzare il telefono e chiamare un’attrice richiesta come Laura Chiatti, ad esempio, per chiederle di esaminare un mio soggetto e sperare di poterla avere in un mio lavoro.  Lo stesso vale per i professori con cui ho avuto modo di rapportarmi.

E l’hai fatto? Hai alzato il telefono e chiamato qualcuno di loro per fare qualcosa insieme?

Non sono uno che di solito va a rompere le scatole. Ma sì, l’ho fatto. Per esempio attraverso Caterina D’Amico, che all’epoca era direttrice del Centro Sperimentale e anche amministratore delegato di Rai Cinema, siamo riusciti ad avere un piccolo budget per realizzare il documentario Come prima, più di prima, mi amerò che ho scritto con Stefano Grasso. Semplicemente le ho portato il progetto e le è piaciuto. In quel periodo Rai Cinema stava producendo anche un altro lavoro legato all’universo della chirurgia plastica, il film di Pappi Corsicato Il volto di un’altra, e quindi erano sensibili al tema. Era una strada che potevo percorrere, ho provato, l’idea era buona ed è andata bene.

La chirurgia plastica è infatti anche il tema de La legge di Jennifer. Perché sei tornato su questo argomento?

L’idea del corto, che parla di una bambina di sei anni che ha i genitori rifatti a tal punto da non riconoscersi nei loro tratti somatici, è nata proprio dal racconto vero di Patrizia Bruschi, una delle protagoniste del documentario Come prima, più di prima, mi amerò. La Bruschi è diventata popolare grazie alla presenza fissa in una trasmissione di Piero Chiambretti in cui era presentata come la donna più rifatta d’Italia. Lei, durante le interviste, ci aveva raccontato che sua figlia veniva presa in giro a scuola perché aveva una mamma “di plastica” e aveva dunque un problema identitario. Il tema era così particolare e interessante che abbiamo scritto questo soggetto. Il problema però era trovare una Jennifer. Sapevo che per un soggetto basato sulla storia di un bambino dovevo azzeccare il bambino, altrimenti sarebbe stato un disastro.

Infatti la bambina che interpreta Jennifer (Asia Lupò) è bravissima, come l’hai scovata?

Era l’ultima bambina in lista dopo una serie di casting nella periferia romana. Quasi non ci speravo più. Invece è entrata questa ragazzina e, appena l’ho vista, ho detto “ecco Jennifer”. Abbiamo chiacchierato tanto, ovviamente con i bambini piccoli non si fanno provini di recitazione come con gli attori. Lei era spontanea, intelligentissima. Era… lei.

Fare casting è fondamentale. Come si impara a farlo bene?

Mi ha aiutato lavorare sul campo, vedere come fanno gli altri. Ho imparato tanto come assistente di Daniele Luchetti a La nostra vita e con spot diretti da lui. Ho imparato molto anche come assistente di Carlo Mazzacurati per La passione e su altre produzioni. In generale l’importante è non stare mai fermi. Io lavoro ogni giorno, ogni giorno sto con la camera in mano. Non aspetto di fare il mio lungometraggio. O meglio, ovviamente voglio farlo e ci sto lavorando, ma nel frattempo il tempo passa e faccio anche altro per vivere. Per esempio regie per programmi tv. È tutta esperienza.

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