Carlotta Antonelli Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Thu, 02 Sep 2021 13:20:35 +0000 it-IT hourly 1 Morrison: così Lorenzo Zurzolo vuole essere una rockstar https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/morrison-cosi-lorenzo-zurzolo-vuole-essere-una-rockstar/ Wed, 19 May 2021 09:35:02 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=15575 Partendo dal suo romanzo uscito nel 2017 e scritto assieme a Giacomo Gensini, Dove tutto è metà, Federico Zampaglione re-immagina con Morrison i primi passi di una aspirante rockstar. Ma tra l’affitto da pagare e gli affetti familiari sempre un po’ fumosi, il percorso per diventare una star a volte è molto meno rock di […]

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Partendo dal suo romanzo uscito nel 2017 e scritto assieme a Giacomo Gensini, Dove tutto è metà, Federico Zampaglione re-immagina con Morrison i primi passi di una aspirante rockstar. Ma tra l’affitto da pagare e gli affetti familiari sempre un po’ fumosi, il percorso per diventare una star a volte è molto meno rock di quanto uno possa immaginare.

Lo sa bene Lodo (Lorenzo Zurzolo), che assieme alla sua band, i Mob, si esibisce nel rinomato e storico locale Morrison in attesa di una svolta forse nemmeno troppo cercata. È importante l’amicizia che si instaura, rapidamente e in modo fortuito, con Libero Ferri (Giovanni Calcagno), meteora di un mondo musicale che pare averlo scottato per sempre dopo un importante successo che gli ha dato molto ma molto gli ha anche tolto. E la svolta arriva, è lì a un passo (con il consenso del cameo di un autoironico Ermal Meta), ma le carte in tavola sono troppo ben apparecchiate per non finire ben presto scombinate dagli eventi.

Così come scombinate sembrano essere un po’ anche le intenzioni del film di Zampaglione, che dice di pensare al suo Morrison come a una canzone dei Tiromancino ma che nella realtà delle cose non imprime né ritmo né scossa vitale. Manca quella vibrazione che una composizione musicale ben riuscita si porta dentro, nelle corde, così come manca quella forza che il Ferri di Calcagno dice al giovane Lodo di dover scaricare a terra per farla arrivare più intensamente al pubblico che incita il suo nome.

In questo racconto che parte dalla musica in fin dei conti di musica ce n’è davvero poca. Ed è un problema, perché il film parte con una canzone scritta e performata da Zurzolo che promette e fa sperare bene per ciò che seguirà. Poi però al ragazzo, che è una delle migliori prospettive del cinema italiano per doti e appeal, tutto questo spazio per far risuonare la musica dei Mob non viene dato. Riecheggia anche il brano Cerotti dei Tiromancino, già pronto a diventare tormentone e costruito ad hoc sul film che in quest’ottica assume funzione quasi da musicarello, ma non è abbastanza.

Un peccato che ci venga concesso così poco delle dinamiche interne alla band, chiaramente ben assortita e affiatata. Il focus non è su di loro ed è qui la maggiore carenza di Morrison, che lascia a metà un potenziale pronto a brillare ma rimasto inesploso. Ci si perde a volte in un bicchier d’acqua, in questioni di carattere emotivo e relazionale che fungono da motore alla narrazione ma paiono stridere e rallentare quando magari sarebbe necessario un riff di chitarra o un assolo di batteria. Molto infatti è sul rapporto che Lodo tesse con Giulia (Carlotta Antonelli), mentre all’altro capo c’è il matrimonio traballante di Libero con Luna (Giglia Marra). Nel mezzo i punti di incontro a volte sono troppo repentini, casuali e di comodo, e il mordente di quello che è un atipico racconto di caduta e ascesa finisce per perdersi. Atipico perché funziona e piace il modo in cui ascesa non sia necessariamente da associare a successo, in un percorso di scoperta individuale che in fin dei conti lascia un sapore agrodolce in bocca.

Insomma, non a tutti il destino riserva di diventare i nuovi Måneskin e anzi molti vengono consumati da quel tritacarne che si chiama spettacolo. Zampaglione prova a dire la sua con Morrison, portando su schermo anche un pizzico di esperienza personale e che funziona davvero nei momenti più spensierati, sopra o dietro al palco e con gli strumenti in mano.

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Onolulo, il sogno di due ragazze in fuga https://www.fabriqueducinema.it/magazine/futures/onolulo-il-sogno-di-due-ragazze-in-fuga/ Sat, 02 Jan 2021 14:45:22 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=14670 Quello della violenza di genere è un tema importante e finalmente presente nel dibattito pubblico almeno dai tempi del #metoo: il giovane regista Iacopo Zanon ha scelto questo tema per il suo cortometraggio Onolulo (prodotto da Zerosix Productions e Pinup Filmaking, distribuzione Elenfant), candidato finalista ai Fabrique Awards 2020.  Onolulo parla di due giovani donne […]

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Quello della violenza di genere è un tema importante e finalmente presente nel dibattito pubblico almeno dai tempi del #metoo: il giovane regista Iacopo Zanon ha scelto questo tema per il suo cortometraggio Onolulo (prodotto da Zerosix Productions e Pinup Filmaking, distribuzione Elenfant), candidato finalista ai Fabrique Awards 2020

Onolulo parla di due giovani donne che in modi diversi sono vittime di violenza di genere.

La scrittura del corto è partita dall’immagine di una ragazza che scappa da una brutta situazione e si infila nella macchina di un’amica per salvarsi. Sono due donne che non navigano nell’oro e che hanno bisogno di lavorare per sopravvivere. Una, interpretata da Michela De Rossi, si guadagna da vivere esibendosi su siti pornografici, l’altra, Carlotta Antonelli, fa la cameriera. Le conosciamo in un momento in cui Carla subisce un’avance esplicita e aggressiva da parte di un cliente sul lavoro, mentre Giulia riceve una proposta da parte di un utente del sito di fare l’amore a pagamento: due universi che si intrecciano e che alla fine si aiuteranno a vicenda.

Perché hai scelto questo tema per il tuo cortometraggio?

Ho iniziato a riflettere su questo problema prima del caso Weinstein (2017). Penso che il genere maschile debba decostruire una mentalità che va avanti da secoli e che è stata edificata su una serie di pregiudizi e di falsi miti. Ora, per fortuna, abbiamo negli Stati Uniti una vicepresidente donna, Kamala Harris, e spero che questo sia un segnale importante per ridurre lo squilibrio di genere. Purtroppo durante la pandemia abbiamo visto come la violenza di genere sia aumentata: è evidente che quello che stiamo vivendo, oltre a farci soffrire tutti umanamente, ha anche portato parecchi uomini a infliggere sofferenze alle loro conviventi.

Nella scena dell’incubo che fa una delle due protagoniste durante la notte in fuga c’è un messaggio importante: vuoi spiegarci meglio il suo valore simbolico?

Qualsiasi tipo di violenza lascia un segno su di noi. Anche un’avance, un corteggiamento aggressivo come appunto nel caso di Carla, causa delle conseguenze psicologiche che possono riemergere nei sogni, o meglio negli incubi. Mi interessa molto questo aspetto perché viviamo in una società nella quale quando si parla di violenza sulle donne si dà particolare importanza ai danni fisici e meno a quelli psicologici, che invece sono altrettanto dolorosi. Nel corto, durante la scena del sogno, mi sono rifatto a un’estetica alla Nightmare di Wes Craven e al film horror di autore, prendendo spunto anche da Stephen King. Mi interessava che l’uomo dell’incubo non fosse troppo connotato fisicamente, perché deve rappresentare tutto il mondo maschile.

Onolulo finisce con un’alba. Che significato ha per la storia?

Quella dell’alba è una citazione di un film di Gianni Amelio a cui sono molto legato, Il ladro di bambini. Ho voluto raccontare come, alla fine di questo viaggio dove le ragazze hanno parlato di loro e si sono capite meglio, si arrivi a un nuovo inizio pieno di nuove possibilità. Nella vita ognuno di noi ha delle opportunità per ricominciare, fare la cosa giusta, risolvere gli errori commessi e ripartire migliore di prima.

Carlotta Antonelli
Carlotta Antonelli

Honolulu è la capitale delle Hawaii dove le due protagoniste vorrebbero scappare. C’è un motivo per cui hai scelto questa isola?

L’idea viene da un vecchio film Disney, La spada nella roccia, in cui a un certo punto Merlino fa uno dei suoi incantesimi e parte come un razzo per andare proprio ad Honolulu. Questo luogo è un po’ come se fosse la metafora dell’isola felice, uno spazio immaginario in cui ci sono le palme, fa sempre caldo e c’è il mare, una sorta di terra promessa. Le protagoniste del corto vivono delle situazioni complicate e si trovano talmente schiacciate dalla realtà che credono che l’unico posto dove vivere felici possa essere questo luogo magnifico. Mi ha divertito il fatto che in realtà non sanno nemmeno pronunciare il nome di quest’isola, per loro non è “Honolulu” ma “Onolulo”, una versione storpiata che sta a rappresentare un mondo totalmente immaginario rispetto a ciò che realmente cercano.

Le protagoniste sono due attrici in ascesa, Carlotta Antonelli e Michela De Rossi.

L’incontro con loro è stato bellissimo, Carlotta e Michela sono due ottime professioniste, con tante “note” dentro di loro e una meravigliosa sensibilità. Il loro essere giovani e sotto alcuni punti di vista “fuori fuoco” è proprio quello che cercavo: l’umanità di due donne alla ricerca di loro stesse, non ancora completamente individuate. Le ho conosciute grazie a Gabriella Giannattasio, casting director con cui collaboro da anni. Girare con loro è stato molto divertente e intenso: Carlotta e Michela si sono dedicate con tanto amore a questa storia, interpretandola con unicità e rispetto.

Nuovi progetti in cantiere?

In questo momento sto scrivendo due serie che mi sono state chieste da case di produzione che hanno visto proprio Onolulo. Contemporaneamente continuo a coltivare il mio sogno di andare in sala. Ho davanti a me due fogli, uno per la televisione e l’altro per il cinema. Sono molto curioso di vedere che cosa succederà al grande schermo dopo questa pandemia. Già prima del Covid molto del lavoro si stava spostando sulle grandi piattaforme streaming. Oggi credo che un autore, quando progetta un nuovo lavoro, debba chiedersi: lo scrivo per la TV o per il cinema?

Faccio questa domanda alla fine di tutte le mie interviste: se dopo di me potessi prendere un caffè con una persona per te importante, con chi lo prenderesti?

Sicuramente con Ernest Hemingway. In lui ho sempre visto una sorta di secondo padre, quindi mi piacerebbe chiedergli tante cose, non solo di letteratura, ma anche di caccia e pesca!

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Carlotta Antonelli. Lasciarsi andare https://www.fabriqueducinema.it/magazine/cover/carlotta-antonelli-lasciarsi-andare/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/cover/carlotta-antonelli-lasciarsi-andare/#respond Mon, 01 Apr 2019 12:29:25 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=12786 Con una serie Netflix alle spalle, Carlotta è finalmente pronta per il grande schermo. Impaurita? Certo, ma ormai ha scoperto un trucco: basta solo lasciarsi andare. Due stagioni della fiction Solo, altrettante della produzione Netflix Suburra, una svolta leggera con Immaturi e una sfida importante, quella combattuta sul grande schermo, grazie all’imminente Bangla: in appena […]

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Con una serie Netflix alle spalle, Carlotta è finalmente pronta per il grande schermo. Impaurita? Certo, ma ormai ha scoperto un trucco: basta solo lasciarsi andare.

Due stagioni della fiction Solo, altrettante della produzione Netflix Suburra, una svolta leggera con Immaturi e una sfida importante, quella combattuta sul grande schermo, grazie all’imminente Bangla: in appena quattro anni, Carlotta Antonelli si è dimostrata un’attrice caparbia e versatile, capace di incarnare figure femminili tra loro diversissime. Se per il format Mediaset è stata una ragazza oppressa da una famiglia di malavitosi calabresi, per il colosso dello streaming ha incarnato una sensuale gitana romana, preparandosi poi a diventare una travolgente anticonformista nel prossimo lungometraggio targato TimVision. Nonostante una carriera in ascesa, la giovane promessa non sembrava però destinata a esser parte di questo mondo: «La mia carriera nella televisione e nel cinema è nata per caso e inizialmente non ero davvero sicura che fosse la strada giusta per me. Oggi è tutto diverso, sono passati quattro anni e mi sono resa conto che non vorrei fare nient’altro nella vita. Non saprei dire cosa mi abbia fatto innamorare di questo mestiere, so solo è che è successo.»

[questionIcon] Un’attrice per caso che è diventata un’attrice per passione, quindi…

[answerIcon] Esatto! Quando mi sono resa conto che la recitazione sarebbe stata il mio futuro, ho deciso anche di studiare: la passione è importantissima, ma per quanto mi riguarda non credo fosse sufficiente. Ho cominciato ad affidarmi a una coach che mi aiutasse a esprimere il meglio di me. Sono convinta che ognuno di noi debba trovare l’ispirazione in se stesso, anche per riuscire a trasmettere qualcosa di diverso e di personale. La difficoltà nel fare l’attrice sta proprio in questo, tirare fuori qualche cosa di unico e soprattutto di autentico.

[questionIcon] Hai esordito in Solo, una grossa produzione Mediaset. Come è stata la tua prima esperienza sul set? 

[answerIcon] Quando mi hanno comunicato che avrei interpretato Agata non ero esattamente felice, anzi… Ero terrorizzata! Più ci pensavo, più avevo paura e non volevo farlo. Quando sono arrivata sul set, mi sono tranquillizzata e la preoccupazione si è trasformata in felicità. Ero la più piccola e mi sono subito resa conto di poter far affidamento sulla troupe e su tutti i miei colleghi, che mi hanno rassicurata nei momenti di difficoltà. Solo è un’esperienza che porto ancora oggi nel cuore, proprio perché da lì è iniziato tutto.

[questionIcon] Il personaggio di Agata in Solo e quello di Angelica in Suburra, serie a cui hai preso parte poco dopo, sono due figure a tratti simili. Come ti sei preparata a interpretare questi personaggi?

[answerIcon] Agata e Angelica sono entrambe ragazze che fanno parte della criminalità, ma hanno atteggiamenti opposti a riguardo. Agata vuole fuggire della malavita e soprattutto dalle restrizioni che i suoi genitori impongono. Al contrario, Angelica è un personaggio che vuole conquistare il potere. Tra le due, ho trovato più difficoltà a interpretare la seconda: se con Agata mi sono affidata totalmente al regista, con Angelica ho fatto una preparazione emotiva e fisica non sempre facile, lavorando sulla teatralità dei gesti ma anche sul confronto con gli altri personaggi.

[questionIcon] Suburra è stata la prima serie Netflix prodotta in Italia ed è stata distribuita in circa 190 paesi. Come è stato essere parte di una realtà così internazionale?

[answerIcon] Terrificante! Io ho fatto otto provini, ma quando mi hanno detto di aver ottenuto la parte, ero di nuovo terrorizzata all’idea! La troupe di Netflix è poi completamente diversa dalle altre, perché è formata da tantissime persone e a volte mi sono sentita piccola tra tutte loro. Passata la paura iniziale, il set si è però rivelato ancora più magico, perché ero realmente parte di qualcosa di davvero grande e importante. Certo, l’insicurezza non è mai scomparsa del tutto, quando credevo di sbagliare qualcosa mi affliggevo per giorni, ma questa esperienza mi ha insegnato a fidarmi di chi ho intorno e a non preoccuparmi troppo.

[questionIcon] E ora arriviamo invece al grande salto: Bangla, il tuo primo lungometraggio. Cosa puoi dirci del personaggio che interpreterai?

[answerIcon] Io interpreto Asia, una ragazza di circa 19 anni totalmente anticonvenzionale, senza regole, anarchica, che ama la vita e non ha paura di nulla. Il film racconta la sua storia d’amore con Phaim, che invece proviene da una famiglia mussulmana molto tradizionalista e che quindi non ha nulla in comune con il mio personaggio. Personalmente, mi sono innamorata immediatamente di Asia e di questo progetto, è una storia importante di cui in questo momento abbiamo assolutamente bisogno.

[questionIcon] Phaim Bhuiyan, il regista e protagonista del film, ha appena 22 anni. Come è stato rapportarsi con un ragazzo così giovane?

[answerIcon] Inizialmente ho avuto paura perché, essendo un regista e un attore alle prime armi, non sapevo realmente cosa aspettarmi. Quando l’ho guardato per la prima volta negli occhi, mi sono tuttavia resa conto che le mie preoccupazioni erano totalmente infondate: già dal primo provino si è creato un rapporto paritario e naturale tra noi due, che ci ha permesso di aiutarci a vicenda sul set, anche se lui ha sempre avuto perfettamente chiaro cosa aspettarsi dal film.

[questionIcon] La tua strada sembra tutta in discesa, cosa consiglieresti a un giovane attore che vuole seguire le tue orme?

[answerIcon] L’unico consiglio che mi sento di dare è quello di imparare a lasciarsi andare. La determinazione è importante, ma per fare questo mestiere ci si deve veramente abbandonare, imparando a spogliarsi delle proprie paure e preoccupazioni. Tutti tendono spesso a guardarsi eccessivamente, forse anche nella convinzione che sia l’apparenza a contare davvero. Al contrario, credo che la bellezza sia solo relativamente importante, la recitazione è ben altro, è qualcosa che nasce da dentro e che deve appunto essere liberata.

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