Canon Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Thu, 20 May 2021 07:36:44 +0000 it-IT hourly 1 Fotografi di scena/6: Antonello&Montesi https://www.fabriqueducinema.it/magazine/macro/fotografi-di-scena-6-antonellomontesi/ Fri, 14 May 2021 08:25:14 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=15554 Antonello&Montesi (Philippe Antonello e Stefano Montesi) sono senza ombra di dubbio il duo più prolifico e affascinante fra i fotografi ora in circolazione in Italia. Dal ritratto al posato e alle foto sul set, i loro scatti sono inconfondibili per ricchezza creativa e qualità artistica. Con due storie completamente diverse alle spalle e con due […]

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Antonello&Montesi (Philippe Antonello e Stefano Montesi) sono senza ombra di dubbio il duo più prolifico e affascinante fra i fotografi ora in circolazione in Italia. Dal ritratto al posato e alle foto sul set, i loro scatti sono inconfondibili per ricchezza creativa e qualità artistica. Con due storie completamente diverse alle spalle e con due stili molto differenti tra loro, sono riusciti a trovare una miscela esplosiva di visione fotografica. I migliori scatti e i migliori poster di film italiani e stranieri provengono dalla loro officina creative: George Clooney, Woody Allen, Jude Law, Jeremy Irons e tante altre star di Hollywood sono state immortalate da loro. L’estro e la passione spingono Antonello&Montesi a studiare sempre e a evolversi, sperimentando nell’arte della fotografia 3D ed esponendo le loro opere in Italia e all’estero; tra le loro collaborazioni più proficue e longeve c’è sicuramente quella con lo studio di grafica BigJellyFish.

Qual è stata la vostra prima macchina fotografica?

Philippe. La mia prima macchina fotografica copiava il marchio Nikon ed era una Top Con, degli anni ’70. Apparteneva a mio padre, che mi aveva vietato di usarla. Avevo 12 o 13 anni quando mi sono incuriosito e l’ho presa di nascosto per fotografare. Posso dire che è iniziato tutto come una trasgressione del divieto di papà. Sia io che Stefano apparteniamo all’era dell’analogico: erano altri tempi, fotograficamente parlando. Come diceva Giovanni Gastel, parlando della differenza tra analogico e digitale, nel caso del digitale lo scatto è la fase iniziale del processo. Sono due modalità diverse.

Stefano. Una Yashica FX2, ci sono voluti due anni per decidermi tra quelle che erano alla portata del mio portafoglio. Ricordo che un’alternativa all’epoca era la Praktica B200, un vero e proprio mattoncino… Comprai la mia prima reflex dopo aver sfogliato decine e decine di riviste fotografiche dove i test degli apparecchi erano all’ordine del giorno. Alle medie avevo fatto un corso di fotografia e camera oscura, ma sinceramente non era la mia passione, non avrei mai pensato di farne una professione.

Qual è stato il vostro primo film? Potete raccontarci qualche aneddoto?

Philippe. Il mio primissimo film è stato Un’anima divisa in due di Silvio Soldini, conosciuto tramite l’Istituto Europeo di Design: alla fine dell’anno, avevano visionato il portfolio di vari studenti e avevano scelto il mio di street photography in bianco e nero su Milano. Silvio lo aveva visto su una rivista e mi propose di andare sul set del suo lungometraggio con Fabrizio Bentivoglio. Ho iniziato con criteri molto basici, usavo la Leica o la Canon. Mi son ritrovato a lavorare con il colore. Allora, a fine anni ’90, si lavorava con le diapositive. È stata un’esperienza molto difficile, ma anche formativa. L’esperienza sul campo cambia inevitabilmente le tue coordinate, ti ritrovi a fare cose differenti da ciò che ti eri prefissato. D’altronde, è proprio questo il bello dei set cinematografici e devo dire che preferisco l’esperienza alla preparazione scolastica. In genere, poi, il mestiere del fotografo è considerato indipendente e solitario; invece il nostro è un lavoro di squadra a tutti gli effetti. Per quanto riguarda la post-produzione, ad esempio, ho dovuto imparare alcuni aspetti prettamente tecnici dai ragazzi più bravi al PC rispetto al fotografare. 

Stefano. La prima volta su un set fu un piccolo special che realizzai su Ama il tuo nemico di Damiano Damiani: mi presentai sprovvisto della necessaria esperienza e, alla prima scena girata di notte in un interno troppo buio per me, tirai fuori il flash e scattai… Non aggiungo altro. Il primo vero film fu L’odore della notte di Claudio Caligari. All’epoca lavoravo con le macchine analogiche, due Nikon F90X utilizzando il Sound Blimp per non fare rumore.  Il produttore voleva cacciarmi dal set perché le foto erano spesso mosse, per me era difficilissimo seguire il direttore della fotografia Maurizio Calvesi nelle sue peripezie, non esisteva il digitale e io usavo gli spezzoni di pellicola cinematografica ribobinata nei rullini vuoti, che mi facevo dare dai laboratori di sviluppo e stampa da un’ora. Era la 500 Asa della Fuji, che tiravo di uno stop, ma la poca luce sul set e le azioni rapide richieste agli attori non mi consentivano di fare le foto nitide. Così chiesi agli attori (Mastandrea, Giallini, Tirabassi) di posare per me facendo finta di recitare come si faceva in passato. Ne uscii vivo.

Antonello&Montesi
Antonello&Montesi, “Freaks out.”

Curate voi la post-produzione delle vostre foto? Per color e il fotoritocco siete autonomi o preferite affidarvi a collaboratori esterni?

Philippe + Stefano. Per quanto riguarda l’aspetto visivo delle immagini che produciamo durante il set, ce ne occupiamo noi: pasta, grana, contrasto, profili cromatici. La vera capacità durante la post-produzione è quella di adattarsi: il risultato finale deve essere la somma di tanti punti di vista, a partire ovviamente dal tuo. Per quanto riguarda gli scatti per i poster cinematografici, a volte abbiamo delle indicazioni da seguire: ci facciamo sempre una bella chiacchierata col grafico, col dipartimento marketing, con la produzione e il regista. Anche la locandina può cambiare. Proprio per questo motivo, saper coinvolgere quanta più gente possibile è un aspetto essenziale nel nostro lavoro.

Che macchina fotografica usate ora e perché è la più adatta?

Philippe + Stefano. Abbiamo scelto Fujifilm per i set. Le mirrorless ci hanno permesso di non utilizzare più il Sound Blimp per attutire il rumore dello scatto, con la funzione otturatore elettronico sono diventate macchine completamente silenziose. Usiamo anche Canon 5Dsr per quanto riguarda i posati in studio e il medio formato. Oggi si sceglie una macchina per il sensore; prima, invece, si valutavano le sue ottiche o la maneggevolezza. Negli anni, abbiamo notato che il sensore di Fujifilm soddisfa meglio il nostro gusto. Il suo risultato è molto analogico. 

Gli obbiettivi: quali lenti preferite nel vostro lavoro sul set o per i posati in studio?

Philippe + Stefano. Per quanto riguarda le ottiche sul set, usiamo quelle fisse in condizione di scarsa luminosità: dal 23 mm f.1,4 al 56mm f.1,2. In studio usiamo quasi sempre invece lo zoom EF 70-200 mm f / 2.8L IS II USM della Canon. Sui set non possiamo muoverci troppo. Il fotografo, davanti al set, è l’unica figura che non contribuisce a fare il film, partecipa alle riprese come spettatore passivo. L’aiuto attrezzista, ad esempio, sposta delle cose che poi appariranno nel film. Il fotografo invece deve essere discreto e il meno visibile possibile. Nello studio, per i posati, è il contrario: il fotografo è il protagonista assoluto in quanto deve dirigere gli attori.  Insomma, c’è una sorta di schizofrenia in questo mestiere…

Preferite lavorare solo con la luce naturale o con diverse luci artificiali?

Philippe. Il fotografo deve essere capace di maneggiare tanto la luce naturale quanto quella artificiale, soprattutto nel cinema. Per quanto riguarda le attività commerciali, al 99% si lavora con luce artificiale. Quando siamo sul set, dobbiamo adeguarci alle luci di un altro professionista, ossia il direttore della fotografia. Lavoriamo dunque in base alla sua attività. Di solito, il regista e il suo operatore hanno concordato la luce in base al tipo di immagini che si vuole ottenere. Bisogna sposare la scelta del direttore della fotografia. Noi non possiamo assolutamente avere le stesse angolazioni della macchina da presa: la luce va dunque interpretata. Il punto di vista è per forza differente.

Stefano. La mia storia di fotografo si è formata lavorando come assistente con dei mostri sacri della fotografia e quasi tutti prediligevano le luci flash e il lavoro in studio. Parlo di Giuseppe Pino, Elisabetta Catalano, Gianpaolo Barbieri, Guido Harari fra gli altri. Sono state esperienze che hanno segnato il mio cammino e non solo da un punto di vista tecnico.  Comunque non disdegno mischiare le diverse fonti di luce tra loro.

Antonello e Montesi
Antonello e Montesi, “Catch 22”.

Ci potete dire qual è stato il primo vero e importante rimprovero ricevuto durante un lavoro, ma che vi ha insegnato qualcosa di fondamentale sul mestiere?

Philippe. È stato sul primo film, ho ricevuto una bella tirata d’orecchie dal direttore della fotografia Luca Bigazzi, che poi mi ha dato una mano. Venendo da una formazione di street photography, non ero abituato al colore: ha le sue dinamiche e i suoi equilibri, così come per il bianco e nero si lavora sul contrasto. All’epoca, con l’analogico, si sviluppava il diapositivo della Kodak in laboratorio, e lì ho notato subito i miei errori. Ma, essendo la mia prima esperienza, ho ricevuto una grande comprensione. Ovviamente, ho tentato di apprendere quanto più possibile per metterlo poi in pratica. Luca è stato il mio maestro di bottega; in Italia specialmente si crea una realtà da bottega sui set.

Stefano. Un giorno il dop Roberto Forza, vedendo le mie foto mi disse: “Devi osare!”. Quella frase, a metà tra un rimprovero e un consiglio, me la ripeto ogni volta che comincio un nuovo set.

Chi fa cinema spesso non pensa ad altro e non ha il tempo di godersi altro. Ci dite tre cose che preferite allo stare sul set?

Philippe. Appartengo a quella categoria di fotografi che scattano anche al di fuori del set. Per me la fotografia non è semplicemente un lavoro: sicuramente ho avuto la fortuna di guadagnare a partire da questa mia passione, ma resta sempre un divertimento. Non ho la passione delle automobili o delle moto di grossa cilindrata, ho la passione della fotografia e del cinema. Un articolo di giornale, un libro o un film sono fonte di ispirazione per la creazione visiva. Se cresco come persona, anche la mia fotografia crescerà. Bisogna nutrirsi di tutto. Ogni volta che fotografo, sento che una parte di me scompare, è una sensazione difficile da descrivere. Per me è insopportabile ritornare a vedere vecchie foto. Tutto ciò che ami, odi, vivi, si deposita dentro di te e si intravede poi nelle tue foto. Diversamente, sarebbe solo estetica.

Stefano. Tre cose che adoro fare quando non sono immerso nel mio lavoro sono: cucinare, leggere saggi di arte, andare a vedere mostre e musei.

Ci dite il nome di un collega che “odiate”, scherzosamente, per bravura?

Philippe. In questo caso la risposta è facile, si tratta di Stefano Montesi, il mio socio. Noi siamo un duo di persone completamente differenti, sia come persone che come fotografi. Non c’è nulla di più contrapposto. Tutte queste distinzioni sono il nostro punto forte. Se fossimo stati uguali, sarebbe stato un bel problema. È la ben nota legge degli opposti: la ricchezza proviene dal contrasto delle nostre personalità.

Stefano. Il collega che “odio” di più è Philippe Antonello, perché ogni volta che lavoriamo sugli stessi film non riesco mai a fare una foto di scena migliore della sua. Ha un occhio e una sensibilità che sono impossibili da replicare.

 

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Fotografi di scena/5: Stefania Rosini https://www.fabriqueducinema.it/magazine/macro/fotografi-di-scena-5-stefania-rosini/ Thu, 22 Apr 2021 07:26:08 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=15467 Italiana trapiantata all’estero ma con frequenti irruzioni in madre patria, Stefania Rosini porta il suo nomadismo cosmopolita  nei suoi scatti. La curiosità del suo sguardo è sorprendente e rende spettacolari e originali le sue foto.  Il suo stile  è contaminato dalla vita dei set di Los Angeles, la capitale indiscussa del cinema mondiale; in Italia ha scattato […]

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Italiana trapiantata all’estero ma con frequenti irruzioni in madre patria, Stefania Rosini porta il suo nomadismo cosmopolita  nei suoi scatti. La curiosità del suo sguardo è sorprendente e rende spettacolari e originali le sue foto.  Il suo stile  è contaminato dalla vita dei set di Los Angeles, la capitale indiscussa del cinema mondiale; in Italia ha scattato per Zero Zero Zero, Summertime, Il cacciatore. Ha appena terminato un film  Amazon Prime con Thandie Newton, Chris Pine, Laurence Fishburne e Jonathan Price ed è gia sul set a Londra di  una miniserie per HBO con Oliva Colman e David Thewlis. 

La tua prima macchina fotografica?

La mia primissima macchina fotografica è stata una Canon Prima Junior, regalo per il mio ottavo compleanno – la mamma non era molto contenta perché era un hobby troppo costoso: una compattina tutta automatica che mi ha accompagnato per qualche anno, poi sono passata a una Nikon FE2 manuale e da li è iniziato il vero divertimento. Ho imparato praticamente da sola, appuntandomi su un quaderno i diaframmi, i tempi e tutto il resto. Mio cugino è un fotografo amatoriale ed è grazie a lui che ho visto la prima volta, in camera oscura, l’immagine venire fuori dalla carta. Quella magia mi ha folgorato e credo di avere deciso lì per lì, più o meno a dodici anni, che da grande avrei voluto fare la fotografa.

Qual è la macchina fotografica che usi ora? E perché è quella più adatta a te?

È un po’ complicato: quando sono sul set scatto con due Sony A9 Mirrorless, perfette perché silenziosissime (elettronica shutter mode) e con una risoluzione anche a luci basse meravigliosa. In una monto un wide angle lens e nell’altra un obbiettivo lungo.  Very sharp e il fuoco è velocissimo. Nella mia borsa c’è anche una vecchia ma sempre potentissima Canon 5D Mark III (ho provato una Mark IV ma non ho visto cosi tante differenze per le stills, quindi sono rimasta, felicemente risparmiando, con la III). Ma credo di tornare presto al mio vecchio amore Nikon, scambiando camera e lenti: vorrei prendermi la Nikon D850, per una questione di feels e colori. Sono comunque entrambe macchine professionali di altissimo livello. Al momento la Sony A9 rappresenta la soluzione migliore per uno Unit Stills Photographer. Personalmente sono molto soddisfatta e anche le lenti sono fantastiche. Non ho assolutamente abbandonato le macchine fotografiche a pellicola che porto con me anche sul set e quando è possibile cerco di fare qualche ritratto agli attori: una Nikon FM2 e una fantastica Rolleiflex! È tutta un’altra storia fotografare con queste.

Obbiettivi? Quali lenti preferisci nel tuo lavoro sul set ?

Per il mio lavoro le varifocali sono indispensabili, perché devi essere veloce nell’adattarti alle situazioni, fare primi piani e passare ai wide angle in un attimo, e avere a disposizione un vasto range di focali aiuta. E devono essere rigorosamente luminose, quindi mai sopra il f2.8. Un bravo fotografo di scena deve muoversi il minimo indispensabile e passare inosservato, di conseguenza cambiare lente ogni minuto non è l’ideale. Le mie lenti: Sony 24/70mm f2.8, Sony 16/24mm f2.8, Sony 85mm f1.8, Sony 70/200mm f2.8, Canon 16/24mm f2.8, Canon 24/70mm f28, Canon 70/20mm f 2.8.

Stefania Rosini sul set
Stefania Rosini sul set.

Qual è stato il tuo primo set cinematografico? 

Il mio primo set cinematografico amatoriale è stato al primo anno del DAMS di Bologna. Sul mio sito ci sono ancora le foto di quel set: un cortometraggio del mio compagno di corso Marcello Vai, con un Michele D’Attanasio tuttofare, dalla produzione al grip e al catering. La sensazione era quella della “famiglia per una settimana”, perché si viveva davvero giorno e notte tutti insieme. È ancora un bellissimo ricordo e grazie a quell’esperienza mi sono resa conto che con quel lavoro avrei potuto unire le mie due grandi passioni: fotografia e cinema. Il primo vero set cinematografico però è stato a Los Angeles con il mio migliore amico, il direttore della fotografia Pierluigi Malavasi per una serie di History Channel dal titolo Nostradamus Effect, e da lì ho iniziato a lavorare grazie al passaparola.

Fotografia naturalistica: preferisci ottenerla solo con luce naturale o con diverse luci artificiali?

Direi che anche lontano dal set preferisco usare la luce naturale. Mi sento molto più a mio agio a lavorare con quello che ho davanti.

Curi tu la post-produzione delle tue foto?

Si, perché il lavoro deve essere mio al 100%. Anche se il fotografo di scena deve consegnare i file raw alla produzione e poi ci penserà il reparto marketing a fare il loro editing, io dò sempre delle foto con la mia color correction e molto spesso finiscono per usare quelle.

Il primo vero e importante rimprovero che hai ricevuto durante un lavoro ma che ti ha insegnato qualcosa di fondamentale sul tuo mestiere.

Credo che sia stato quando ho iniziato nella prima agenzia, l’Iguana Press di Bologna. Roberto Serra, il proprietario dell’agenzia, alla consegna delle foto del mio primo concerto, mi insegnò “due cose”, che mi ricorderò per sempre e che hanno segnato totalmente il mio modo di costruire l’immagine. Mi disse che non c’era cosa più brutta di un’inquadratura sbagliata. È importante lo spazio che si dà al soggetto: non troppa aria sulla testa, spazio e destra o a sinistra a seconda dello sguardo del soggetto e soprattutto MAI il microfono davanti alla faccia! Insegnava Educazione all’Immagine a Scienze della Comunicazione e ogni tanto andavo ad assistere alle sue lezioni. Davvero interessantissime, tanto che fosse per me metterei l’insegnamento di questa disciplina nelle scuole elementari.

Stefania Rasini Zero Zero Zero
Backstage di “Zero Zero Zero”.

Chi come noi fa cinema spesso non pensa ad altro e non ha il tempo di godersi altro. Ma dimmi cosa preferisci allo stare sul set.

Adoro il cinema e i concerti, non vedo l’ora di poterci andare di nuovo, qualsiasi film e concerto siano di sicuro mi metterò a piangere dalla commozione. Adoro la pizza, sono italiana after all! E da qualche anno (meglio tardi che mai) ho iniziato a fare kickboxing. Adoro come mi sento ogni volta alla fine di una lezione e come si sta trasformando il mio corpo.

Il collega che “odi” di più, perché è troppo bravo?

Odio no, ma tantissima invidia sì per il fotografo di scena Niko Travernise (@nikotravernise). Riconoscerei le sue foto tra mille, adoro il suo stile e poi lavora su tutti i set in cui vorrei lavorare io! Un’altra fonte inesauribile di ispirazione e aiuto costante nel mio lavoro è il  mio mentor Hopper Stone, il presidente della Society of Motion Picture Stills Photographers (SMPSP), di cui faccio fieramente parte dal 2018 (@hopper_stone). Di fotografi Italiani stimo molto Francesco Prandoni (@francescoprandoni), amico e fotografo di Live Music. Dei colleghi fotografi di scena massima stima per Andrea Miconi (@anrea.miconi) ed Emanuela Scarpa (@scarpaemanuela).

 

 

 

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Fotografi scena/4: Luisa Carcavale https://www.fabriqueducinema.it/magazine/macro/fotografi-scena-4-luisa-carcavale/ Wed, 14 Apr 2021 13:31:07 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=15435 Luisa Carcavale ha uno stile inconfondibile, con l’abilità di spaziare dal ritratto artistico al racconto di ambienti e atmosfere. I suoi lavori vengono pubblicati dalle migliori riviste internazionali e la sua fotografia così intensa e personale la porta spesso a essere ricercata da molti registi di cinema con i quali condivide un’unità di visione sia […]

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Luisa Carcavale ha uno stile inconfondibile, con l’abilità di spaziare dal ritratto artistico al racconto di ambienti e atmosfere. I suoi lavori vengono pubblicati dalle migliori riviste internazionali e la sua fotografia così intensa e personale la porta spesso a essere ricercata da molti registi di cinema con i quali condivide un’unità di visione sia per le foto di scena che per la locandina. Tra i suoi ultimi lavori: L’ombra di Caravaggio, Petra, Blackout Love.

La tua prima macchina fotografica?

Quella in omaggio nel fustino del Dash a nove anni: era un gadget, una “Master compact 35mm”. Ricordo con nitidezza il momento in cui tiravo con insistenza la gonna di mia madre perché comprasse quel fustino, ero attratta inconsapevolmente da quell’oggetto. Poi a 16 anni ho comprato la prima macchina semi-professionale sempre a pellicola, una Canon Eos 33.

Qual è la macchina fotografica che utilizzi ora? E perché è quella più adatta a te?

Per il set cinematografico la Sony A7 Mark III. È leggera, regge gli alti ISO, ottima dinamicità cromatica e ha la modalità silent shooting.

 

Luisa Carcavale la prima macchina fotografica

Obbiettivi? Quali lenti preferisci nel tuo lavoro sul set?

Dipende dalle inquadrature, tendenzialmente ottiche fisse. Sul set uso i Sigma della serie Art, 35 mm e 85 mm entrambi f1.4, perché sono più luminosi e mi permettono di scattare in situazioni di luce scarsa, restituendo un’atmosfera verosimile al girato. 

Qual è stato il tuo primo set cinematografico? 

Il primo set come fotografa di scena è stata la serie Petra di Sky. I ricordi più belli sono legati principalmente al periodo di riprese a Genova e alla meravigliosa troupe con cui ho condiviso questa esperienza. Ricordo quasi con piacere anche il momento in cui ho rischiato l’amputazione della falange del dito medio della mano destra l’ultimo giorno di riprese: per fortuna quel giorno in ospedale c’era un chirurgo bravissimo che mi ha riattaccato il dito e sono tornata come nuova. Troppo splatter? 

Fotografia naturalistica: preferisci ottenerla solo con luce naturale o con l’impiego di diverse luci artificiali?

Non disdegno l’integrazione moderata di luce artificiale se migliora l’atmosfera o il beauty, ma dipende dallo scatto.

Luisa Carcavale Blackout Love
“Blackout Love”, con Anna Foglietta.

Curi tu la post-produzione delle tue foto?

Purtroppo sì. Perché preferirei affidarla a qualcun’altro, ma non c’è nessuno di cui mi fido davvero. È un lavoro che richiede molto tempo che si potrebbe dedicare ad altro, ma il budget dei servizi spesso non lo consente.

Il primo vero e importante rimprovero che hai ricevuto durante un lavoro ma che ti ha insegnato qualcosa di fondamentale sul tuo mestiere.

A un fonico dava fastidio il suono dell’otturatore anche in una distesa aperta e mi urlò contro di usare un blimp, un oggetto obsoleto e ingombrante, per cui comprai la Sony. Direi dunque che quel rimprovero mi ha insegnato la diplomazia.

Chi come noi fa cinema, spesso non pensa ad altro e non ha il tempo di godersi altro… Ma dimmi cosa preferisci allo stare sul set.

Sui set cinematografici porto sempre le cuffie per sentire la musica, che è già una buona alternativa al ciak/azione/stop, ma oggi senza dubbio preferirei una SPA.

Il collega che “odi” di più, perché è troppo bravo?  

Bridgitte Lacombe, e avrei odiato sicuramente anche Sergio Strizzi.

 

 

 

 

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Fotografi di scena/3: Floriana Di Carlo https://www.fabriqueducinema.it/magazine/macro/fotografi-di-scena-3-floriana-di-carlo/ Fri, 09 Apr 2021 07:37:49 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=15387 Floriana Di Carlo è una fotografa dal sangue siciliano, che sa come cogliere le sfumature cromatiche della sua terra. Alla ricerca costante delle geometrie nascoste in natura, scatta immagini caratterizzate dalla ripetizione e da nette linee prospettiche. Il suo “dietro le quinte” è personale e poco inscrivibile in uno stile preciso, ma di sicuro di raffinata […]

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Floriana Di Carlo è una fotografa dal sangue siciliano, che sa come cogliere le sfumature cromatiche della sua terra. Alla ricerca costante delle geometrie nascoste in natura, scatta immagini caratterizzate dalla ripetizione e da nette linee prospettiche. Il suo “dietro le quinte” è personale e poco inscrivibile in uno stile preciso, ma di sicuro di raffinata bellezza. Con Floriana prosegue la nostra carrellata di ritratti dei fotografi di scena più ricercati sui set.

La tua prima macchina fotografica?

La Polaroid di papà! Quando ho iniziato a lavorare seriamente l’ho fatto con una Canon Eos 60D. 

Il tuo primo film?

Felicia Impastato, diretto da Gianfranco Albano, un film a cui sono tuttora particolarmente legata per la storia, i luoghi, il legame con la troupe e il cast. Ricordo ogni scena, ogni inquadratura: stavo sempre sul set, andavo anche quando non ero convocata.

Quale macchina fotografica utilizzi ora? E perché è quella più adatta a te?

Lavoro con due corpi macchina Canon: EosR6 ed EosR, una scelta parecchio condizionata da una questione di impugnatura, a parità di performance con le altre. Difficilmente mi indirizzo su altre scelte: mi informo, le provo (negli ultimi  due anni ho anche  lavorato con corpo e ottiche Sony extra “corredo”)… e poi resto fedele.

Obbiettivi? Quali lenti preferisci sul set?

Nel mio corredo ho sempre un 24-70mm, un 70-200mm T 2.8. e un 50mm fisso. Ottiche che mi permettono di interagire in maniera quasi completa con la scena.

Quando scatti sul set, in generale impieghi priorità di otturatore, di diaframma oppure setti tutto in manuale? 

Manuale, ma non è una regola. Dipende dalle situazioni, dalla luce, da quel che provo quando osservo le scelte del reparto fotografia senza esserne necessariamente condizionata.

Fotografia naturalistica: preferisci ottenerla solo con luce naturale o con l’utilizzo di diverse luci artificiali?

Solo con la luce naturale. 

Quando scatti fuori dal set, in particolare per i “posati”, preferisci luce continua o flash?

La luce continua: ho dato via i flash tanto tempo fa. Un bagliore che mi infastidisce: lo trovo condizionante per chi si trova al di là dell’obiettivo.

Curi tu la post-produzione delle tue foto?

La post la seguo sempre ed esclusivamente io. Il ricordo legato al momento, alla luce e ai colori è oggettivo prima di essere soggettivo. Rischierei di vedere alterato quello che cerco di catturare quando scatto.

Il primo vero e importante rimprovero che hai ricevuto durante un lavoro ma che ti ha insegnato qualcosa di fondamentale sul tuo mestiere.

Il più grande rimprovero è stato quasi tacito, quindi anche più pesante. Un ritardo di consegna per il mio primo lavoro importante. Ritardo dovuto a tempistiche che non conoscevo ancora nonché ad una metodica sbagliata. Da quel momento organizzarmi è diventato naturale.

Chi come noi fa cinema, spesso non pensa ad altro e non ha il tempo di godersi altro. Ma dimmi tre cose che addirittura preferisci allo stare sul set.

Mi divido tra bere vino e mangiare patatine, tante patatine, ma il mio vero guilty pleasure è il taglio e cucito, la macchina da cucire è il mio terzo corpo macchina.

 Il collega che “odi” di più, perché è troppo bravo?

Sono tantissimi: Turetta, Primavera, Scarpa, Carmelingo, Zayed, Zambelli, ultimo ma non ultimo  di questa “prima formazione”, nonché quello che più mi piace praticamente sempre, Philippe Antonello.

 

 

 

 

 

 

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Fotografi di scena/2: Andrea Di Lorenzo https://www.fabriqueducinema.it/magazine/macro/fotografi-di-scena-andrea-di-lorenzo/ Tue, 30 Mar 2021 08:38:28 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=15338 Andrea Di Lorenzo è un fotografo eclettico, passa con disinvoltura dalla fotografia di viaggio agli editoriali per le riviste di settore, dal ritratto allo still life, specializzandosi nel food, dove raggiunge la sua massima espressione artistica.  Nella nuova rubrica di Fabrique dedicata ai fotografi di scena, noi vogliamo però indagare il suo particolarissimo modo di […]

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Andrea Di Lorenzo è un fotografo eclettico, passa con disinvoltura dalla fotografia di viaggio agli editoriali per le riviste di settore, dal ritratto allo still life, specializzandosi nel food, dove raggiunge la sua massima espressione artistica. 

Nella nuova rubrica di Fabrique dedicata ai fotografi di scena, noi vogliamo però indagare il suo particolarissimo modo di scattare sui set cinematografici, dove il suo sguardo riesce a catturare immagini di particolare gusto grafico e dai toni saturi e pop. 

Ricordi il tuo primo film?

Il primo lungometraggio è stato Et in terra pax di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, con Davide Manca alla fotografia di scena: un progetto che ancora porto nel cuore. Ma il vero incontro fortunato l’ho avuto sul set del corto Noir Designer di Roberto Palma, dove era protagonista un attore incredibile come Luca Di Giovanni, al quale scattai un posato che sarebbe stata la mia wild card per entrare nel mondo del cinema. Ho mostrato gli scatti a Philippe Antonello, che avevo conosciuto tramite un’intervista, conquistando la sua fiducia: sono diventato suo assistente e mi ha insegnato tutto quello che oggi so sulla fotografia di scena e il cinema.

La tua prima macchina fotografica?

La mia prima macchina in assoluto è stata una vecchia Nikon Nikkormat FTn a pellicola di mio padre, con un fantastico Nikkor 50mm F 1.4, con la quale ho iniziato a scoprire la fotografia (comunque da sempre presente in casa mia, entrambi i miei genitori erano fotografi amatoriali); poi sono passato al digitale, ma solo dopo alcuni anni. Infatti, le prime foto di scena erano tutte in pellicola.

Quale macchina usi ora? E perché è quella più adatta a te?

Ho acquistato una Canon EOS R e ne sono rimasto davvero soddisfattissimo: veloce, maneggevole, ottima qualità di file e mirrorless, quindi assolutamente silenziosa. Non ho mai usato blimp sui set (non riuscivo proprio a gestirli!) e spesso mi sono trovato in difficoltà a scattare con le vecchie 5D: oggi, con un otturatore elettrico, questo problema è sparito e il lavoro è sicuramente più fluido.

Obbiettivi? Quali lenti preferisci nel tuo lavoro sul set?

Al momento lavoro principalmente con tre lenti: un Canon EF 24-70mm f 2.8L, un Sigma Art 50mm f1.4. e il Canon EF 70-200mm f 2.8L USM.

Et in terra pax foto di Andrea Di Lorenzo
“Et in terra pax” foto di Andrea Di Lorenzo.

Quando scatti sul set, in generale utilizzi priorità di otturatore, di diaframma oppure setti tutto in manuale?

Per quanto possibile sul set lavoro sempre in manuale. La scelta è dovuta intanto alla peculiarità dei set cinema, con una luce controllata che mi permette di lavorare modificando pochissimo i valori della macchina, e poi per seguire l’impostazione di luce del direttore della fotografia.

Fotografia naturalistica: preferisci ottenerla solo con luce naturale o con l’utilizzo di diverse luci artificiali?

Per la fotografia naturalistica e di paesaggio lavoro solo in luce naturale: cerco sempre di fare dei sopralluoghi almeno un giorno prima o studio le mappe su Google per capire quali orari siano i migliori per ritrarre quella scena. Imprescindibile negli ultimi anni è diventato Sunseeker, una app per iPhone che ti permette di visualizzare in realtà aumentata dove sarà il sole in qualsiasi ora del giorno o dell’anno, permettendoti di organizzare al meglio un’alba o un tramonto.

Quando scatti fuori dal set, in particolare per i “posati”, preferisci luce continua o flash?

Per i posati cerco sempre di unire le due cose: da un lato una luce morbida naturale che possa illuminare il modello in maniera piacevole e poi un colpo di flash, magari minimo, con un piccolo beauty dish, per enfatizzare il viso e rendere la foto più interessante.

Usi qualche filtro ottico? Oppure preferisci applicarlo di più in post-produzione? Curi tu la post-produzione delle tue foto?

Gli unici filtri ottici che utilizzo sono una serie di polarizzatori e filtri ND sfumati che mi servono per compensare il cielo quando fotografo paesaggi. All’inizio usavo molto di più la post per compensare questo problema, ma poi ho scoperto che con i filtri potevo ottenere un risultato più pulito e qualitativamente più alto. Al momento curo da solo quasi tutta la post, per avere un controllo totale delle immagini finali. Possono però esserci dei casi, molto specifici, in cui mi affido a ritoccatori o grafici che sono più bravi di me (come per un advertising, una locandina e via dicendo): per quel tipo di richieste preferisco affidarmi ai veri professionisti del ritocco (come i ragazzi di Big Jellyfish).

Il primo vero e importante rimprovero che hai ricevuto durante un lavoro ma che ti ha insegnato qualcosa di fondamentale sul tuo mestiere.

Ricordo un lavoro per un grosso cliente fatto con Philippe Antonello, eravamo in una base di elicotteristi a Bergamo, dovevamo scattare delle scene con un elicottero in volo (molto vicino a noi) e alcune persone in primo piano. Avevamo un flash Bowens come luce principale, su cui avevamo messo più pesi possibili per non farlo cadere. Mi sono allontanato per girare alcuni video di backstage e nel giro di un attimo, com’è ovvio, il flash è caduto. Philippe non mi ha mai rimproverato apertamente, perché non è il suo modo, ma mi ha fatto capire che ci sono delle priorità quando si lavora e vanno sempre valutate attentamente. Inutile dire che ancora lo tengo a memoria.

Il paese delle spose infelici foto di Andrea Di Lorenzo
“Il paese delle spose infelici”, foto di Andrea Di Lorenzo.

Chi come noi fa cinema, spesso non pensa ad altro e non ha il tempo di godersi altro. Ma dimmi tre cose che preferisci allo stare sul set. 

Mi compri facile con una buona pizza o se proponi un viaggio enogastronomico (che poi è quello che spesso faccio per lavoro!). Sono poi un appassionato di binge watching su Netflix: sono sempre alla ricerca di serie assurde (possibilmente orientali) che mi facciano scoprire qualcosa di nuovo (ad esempio ora ho iniziato a vedere una serie sui Mumbai Indians, una squadra di cricket indiana). Una scoperta recente: da qualche anno a questa parte ho sviluppato un inaspettato pollice verde! Soprattutto per quanto riguarda le piante da interno, ma il mio prossimo passo sarà quello di ottimizzare il mio balcone per trasformarlo in una piccola serra e regalarmi verdure a km 0.

Il collega che “odi” di più perché è troppo bravo?

Odiare è un parolone… Ho una grande stima per professionisti come Angelo Turetta [doppietta, due su due per la nostra rubrica, ndr], un vero artista prestato al cinema, o Philippe Antonello (che già troppe volte ho citato in questa intervista), per me uno dei migliori fotografi di scena al mondo. Ma mi vengono in mente altri nomi come Stefano Montesi, Paolo Ciriello, Francesca Fago, Federico Vagliati, Loris Zambelli, Chico De Luigi… tutti ottimi fotografi di cui ho molta stima. 

 

 

 

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