Call Me by Your Name Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Fri, 18 May 2018 14:55:27 +0000 it-IT hourly 1 Locandine d’autore: Call Me by Your Name https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/locandine-dautore-call-me-by-your-name/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/locandine-dautore-call-me-by-your-name/#respond Fri, 18 May 2018 14:54:00 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=10418 Sono Andrea, o meglio l’uomo che disegnava troppo. Trasformo il mio ricordo di un film in un poster. Le mie recensioni non sono altro che linee, spazi bianchi e colori che si compongono tra di loro. Con queste parole la settimana scorsa si è presentato Andrea Gennaro Borrelli, giovane artista piacentino che ha dato vita a un progetto basato sulla […]

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Sono Andrea, o meglio l’uomo che disegnava troppo. Trasformo il mio ricordo di un film in un poster. Le mie recensioni non sono altro che linee, spazi bianchi e colori che si compongono tra di loro.

Con queste parole la settimana scorsa si è presentato Andrea Gennaro Borrelli, giovane artista piacentino che ha dato vita a un progetto basato sulla creazione di locandine cinematografiche digitali, intitolato The Man Who Drew Too Much.

Fabrique du Cinéma ha nuovamente il piacere di ospitare una sua creazione, questa volta interessata a restituire in immagine digitale l’ultimo e acclamato lungometraggio di Luca Gudagnino Call Me by Your Name.

Per non perdervi tutti i suoi lavori, seguite l’artista sul suo canale Facebook e Instagram, dove regolarmente pubblica locandine di nuovi film e intramontabili classici.

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Festival di Berlino: “Call me by your name”, l’idillio cinechic di Guadagnino https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/festival-di-berlino-call-me-by-your-name-lidillio-cinechic-di-guadagnino/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/dal-mondo-festival/festival-di-berlino-call-me-by-your-name-lidillio-cinechic-di-guadagnino/#respond Tue, 14 Feb 2017 15:03:58 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=4161 La bolla di “Call Me by Your Name”, di Luca Guadagnino, è un’estate afosa da spendere in giardini rigogliosi, mordendo con pigrizia frutta senza imperfezioni, perfettamente rotonda, lascivamente succosa. È una bolla dei sensi, consumata all’ombra di fronde messe in piega da invisibili giardinieri: l’acqua fredda (lago, mare, piscina, fate voi: nella bolla c’è tutto) […]

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La bolla di “Call Me by Your Name”, di Luca Guadagnino, è un’estate afosa da spendere in giardini rigogliosi, mordendo con pigrizia frutta senza imperfezioni, perfettamente rotonda, lascivamente succosa.

È una bolla dei sensi, consumata all’ombra di fronde messe in piega da invisibili giardinieri: l’acqua fredda (lago, mare, piscina, fate voi: nella bolla c’è tutto) che increspa la pelle al contatto, l’umido della notte che impregna gli anfratti di ville-labirinto, il sole d’agosto che invita a godere, a prendersi tutto, a inseguire qualsiasi desiderio – senza distinzione fra uomini, donne, cose.

La bolla di Guadagnino è un banchetto dei sensi apparecchiato su una tavola idilliaca, l’Italia agreste-chic del countryshire, del vino buono, del pescatore/contadino che porta a tavola il pesce ancora vivo, l’Italia delle rovine fascinose e dei reperti che sbucano dal mare, un’Italia di fantasia dove in casa si parlano quattro lingue, si studia il greco, si suona Bach, dove a nessuno frega niente di politica o lavoro e i padri perdonano, le madri amano incondizionatamente, gli amanti si piegano al desiderio senza sforzo alcuno.

È una bolla, il film di Guadagnino, perché esiste e funziona solo se si accetta il patto scritto all’inizio del viaggio. Siamo “da qualche parte nel Nord Italia”, dicono i titoli di testa, e Craxi, gli orecchini a cerchio e i Talking Heads ci suggeriscono il setting anni ’80: bastino queste vaghe unità di tempo e luogo per dettare i confini del quadretto. La storia è un’impalcatura sottile, del resto a sostenere una bolla non serve chissà quale architettura. C’è un ragazzo giovane e sensibile (Timothée Chalamet: bravissimo) e c’è un bell’uomo straniero (Armie Hammer: lanciatissimo) che vivrà per qualche tempo in casa sua. I due si scoprono, si piacciono, si amano. Non c’è antagonista né opposizione, non c’è l’ombra di un contrasto, non ci sono barriere a impedire l’incontro fra i due corpi: il film è tutto qui, consumato nell’atto del cercarsi, nel piacere di trovarsi, nel godimento del desiderio realizzato.

Sono due ore di benessere artificiale, quelle di Call Me by Your Name, iperchic cine-spa che intorpidisce leggermente i pensieri ma ammalia i sensi. Certo, per farla scoppiare basterebbe poco. Ma è una bolla così bella, così rotonda e così felice che la voglia di crederci, sia pure per lo spazio di un film, è più forte di ogni tentazione.

Inclusa quella di bucarla, sadicamente, con il pungolo della realtà.

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