Bridgerton Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Fri, 18 Mar 2022 09:36:45 +0000 it-IT hourly 1 Daphne Di Cinto, da Bridgerton a Il Moro https://www.fabriqueducinema.it/magazine/futures/daphne-di-cinto-da-bridgerton-a-il-moro/ Fri, 18 Feb 2022 09:25:03 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16799 Best Italian Short Film agli ultimi Fabrique Awards, Daphne Di Cinto con il suo cortometraggio Il Moro sfrutta un evento storico per parlarci di un problema tutt’altro che superato. 1530, Firenze: Alessandro de Medici, figlio di una serva di origini more e di Papa Clemente VII, si trova a elaborare la sua diversità quando il […]

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Best Italian Short Film agli ultimi Fabrique Awards, Daphne Di Cinto con il suo cortometraggio Il Moro sfrutta un evento storico per parlarci di un problema tutt’altro che superato. 1530, Firenze: Alessandro de Medici, figlio di una serva di origini more e di Papa Clemente VII, si trova a elaborare la sua diversità quando il padre gli affida il comando di Firenze e lo rende il primo afro-italiano a capo di un governo occidentale nell’Europa moderna. Per raccontare una grande storia, Daphne ha scelto un cast composto sia da nuove scoperte che da attori affermati: Alberto Malanchino nel ruolo di Alessandro de’ Medici, Paolo Sassanelli nei panni di Clemente VII e Andrea Melis come Ippolito de’ Medici.

Daphne Di Cinto però non è solo una regista esordiente: da quasi vent’anni lavora come attrice per il teatro, il cinema e la televisione, prendendo parte a grandi progetti come il cult Netflix Bridgerton e facendo la spola fra l’Italia e Londra, dove vive. Non è stato facile “bloccarla” per una chiacchierata davanti a un caffè…

Sei un’attrice, sceneggiatrice, regista e attivista: tu come ti definiresti?

Se mi dovessi definire con una frase ti direi “Daphne è out of the box”. Sono una persona che cerca sempre di andare oltre la comfort zone. Se c’è qualcosa che non so fare studio, imparo e poi lo faccio. Penso che la paura del “non lo so fare” sia presente in maniera particolare nel mondo del cinema perché non c’è una strada univoca, non esiste un percorso lineare. Io invece mi butto, anche perché impari a nuotare solo nuotando, non studiando teoria.

Daphne Di Cinto
Daphne Di Cinto premiata ai Fabrique du Cinéma Awards per Best Italian Short Film con “Il Moro”.

Con Il Moro infatti debutti nel ruolo di regista, vuoi raccontarci l’esperienza sul set?

È stato fantastico: si è creata tra noi una dinamica molto amichevole, un gruppo super affiatato e alla fine del set ci sentivamo come una piccola famiglia. Il tempo era pochissimo, quattro giorni, non avevamo un gran budget (ride), ma c’era un fluire creativo, abbiamo trovato lo spazio per una produzione condivisa e per ascoltare i diversi punti di vista, al di là della sceneggiatura.

I tre attori principali del tuo corto sono Alberto Boubakar Malanchino, Paolo Sassanelli e Andrea Melis: tre figure maschili molto forti ma molto diverse in termini di esperienza.

Alberto e Andrea guardavano Paolo come un maestro. Ha quella sicurezza che ti dà l’esperienza: sa che non deve fare troppo e che tutto deve essere interiore e misurato ma molto potente. Quando recitavano tutti e tre insieme giocavano veramente l’uno per l’altro, nulla li divideva.

Nonostante Il Moro sia uno short-movie storico, i temi che tratta sono molto attuali…

Quando ho studiato la vicenda di Alessandro de’ Medici mi è sembrata di un’analogia eclatante con la realtà e con il mondo di oggi. Forse con l’Italia in particolare, perché è una storia italiana che non si conosce e che dice così tanto del nostro paese. Soprattutto mi lascia sgomenta che, nonostante storie come quella di Alessandro, in Italia c’è ancora chi ha dei dubbi sullo ius soli. Mi verrebbe da chiedergli: “Ma se cinquecento anni fa il primo duca di Firenze era mixed-race, qual è il problema oggi?”.

Ci comunichi un messaggio di speranza senza tempo…

Era il mio scopo. La storia di Alessandro è una bellissima metafora per ogni italiano di seconda generazione e per tante persone che partono da condizioni non privilegiate ma possono riuscire a diventare il “duca di Firenze”! Vedendoci rappresentati non solo come gli “schiavi” ma come aristocratici ci aiuta a cambiare la percezione di noi stessi, è qualcosa di cui andare fieri. L’ideale sarebbe arrivare al giorno in cui non dovremo più fare conversazioni come questa, quando potremo scrivere film che non si incentrano sulla persona “diversa” e dove tutti i problemi girano solo intorno all’essere parte di una minoranza. Quando inizieremo a pensare così, tutti gli stereotipi spariranno, perché io mi riconoscerò in te e tu ti riconoscerai in me.

Paolo Sassanelli
Paolo Sassanelli è Clemente VII ne “Il Moro”.

C’è una persona che ti ha particolarmente incoraggiata nel perseguire questa carriera?

La prima è stata la professoressa di letteratura del mio paesello al Nord. La mia classe era particolarmente irrequieta e lei ci portava a studiare nel teatro della scuola, il primo che avessi mai visto. Ho sempre avuto un amore smodato per le storie, sia per la scrittura che per la lettura: ero la classica bambina strana che stava nell’angolo a leggere un libro mentre tutti gli altri giocavano a palla.  Lei mi ha fatto capire che il teatro poteva essere un’opportunità. Dopo di lei è arrivata un’altra “maestra”: studiavo alla Sorbona a Parigi e avevo una vicina di casa che salutavo sempre. Un giorno abbiamo iniziato a parlare e ho scoperto che era uno dei direttori artistici dell’Actors Studio di New York. Tramite lei ho fatto il provino e sono stata ammessa: lei è diventata una dei miei mentori all’Actors Studio, nonché un’amica.

Come mai il passaggio a Londra?

Dopo cinque anni e mezzo a New York mi mancava l’Europa, girare per una città e vedere la Storia. New York è una città così nuova che il pezzo di storia più antico probabilmente è Ellis Island! Quando ho pensato di tornare in Europa, Londra mi è sembrata l’ideale perché è a cavallo tra il vecchio e il nuovo mondo e in effetti sono molto contenta della mia scelta.

Nel 2019 reciti nella famosa serie Netflix Bridgerton. Questo lavoro internazionale ha influenzato in qualche modo la tua carriera da regista? 

La cosa fantastica di quel set era la professionalità incredibile e la grande collaborazione.
Era veramente una macchina da guerra, nel senso più positivo del termine, quindi sul mio set ho cercato di trasferire quello spirito: il massimo della professionalità e dell’impegno fino a raggiungere lo scopo ultimo. Bridgerton è stato inoltre un traguardo speciale perché la produttrice Shonda Rhimes è uno dei miei idoli.

Progetti futuri?

Tantissimi! Dato che sono un po’ una nerd per quanto riguarda la Storia, sto continuando un percorso incentrato su personaggi storici. Inoltre sto lavorando a una serie ambientata nell’Italia contemporanea, quindi tornerò qui spesso! A me questo paese manca tantissimo e se non fosse per il lavoro tornerei qui.

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