Andrea Molaioli Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Tue, 06 Sep 2022 13:17:40 +0000 it-IT hourly 1 Ambrosia Caldarelli, protagonista di Circeo: “sul set avevo sempre la voce di Donatella nelle cuffie” https://www.fabriqueducinema.it/magazine/cover/ambrosia-caldarelli-protagonista-di-circeo-sul-set-avevo-sempre-la-voce-di-donatella-nelle-cuffie/ Fri, 15 Jul 2022 09:40:20 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=17385 Alcuni insider dal set di Circeo (la nuova secretatissima serie di Andrea Molaioli, prodotta da Cattleya con VIS per RAI e Paramount+ Italia) ci riportano commenti estasiati su una giovane attrice che interpreterà Donatella Colasanti nella pagina più avvincente della sua vita, quando dopo essere sopravvissuta al massacro del 1975 è diventata il simbolo del […]

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Alcuni insider dal set di Circeo (la nuova secretatissima serie di Andrea Molaioli, prodotta da Cattleya con VIS per RAI e Paramount+ Italia) ci riportano commenti estasiati su una giovane attrice che interpreterà Donatella Colasanti nella pagina più avvincente della sua vita, quando dopo essere sopravvissuta al massacro del 1975 è diventata il simbolo del movimento femminista nel nostro Paese.  Lei si chiama Ambrosia Caldarelli, metà pugliese e metà romana, cresciuta a Trastevere con San Callisto nel DNA. Voce rauca e sguardo che sa mettere in soggezione, una faccia camaleontica che si presta a tutto: le prime foto già stanno circolando, la vediamo trasformata dal make-up e dallo studio maniacale del personaggio.

Tra spot, TV e qualche ruolo nel cinema (l’ultimo nel delicatissimo Il filo invisibile di Marco Simon Puccioni), Ambrosia sta per essere lanciata come protagonista da due progetti che hanno investito molto su di lei: oltre a Circeo (dove sarà affiancata da Greta Scarano e Angelo Spagnoletti) arriverà il film Non sono quello che sono, un dramma torbido diretto e interpretato da Edoardo Leo.

Ambrosia, come il nettare che rende immortali gli dei…

Mia madre una volta sfogliò I fiori del male di Baudelaire e lesse nella poesia L’anima del vino di un’«ambrosia vegetale». Qualche anno dopo aprì un cassetto nella biblioteca dell’università e ci trovò scritto dentro «ambrosia». Troppe coincidenze, quindi contro tutto e tutti decise di chiamarmi Ambrosia. Mi piace molto, non ce l’ha nessuno.

Ed è difficile da dimenticare, ottimo per questo mestiere. Quando hai capito che volevi fare l’attrice? È stata un’epifania o un percorso?

Diversi anni fa io e le mie amiche ci siamo ritrovate in fila per dei casting, sembravano i provini di X Factor però al Nuovo Sacher, per un film di Moretti. Ci fotografavano con un numeretto, era un evento di massa. Senza che me lo spiegassi mi hanno richiamata per un ruolo. Mi sono ritrovata a fare un provino con Nanni: ero andata con l’idea di fare la comparsa per gioco e mi sono ritrovata con un grande del cinema. Ovviamente è stato un disastro totale, però qualcosa dentro mi è scattato.

Cos’è che ti ha emozionato, quella prima volta?

Dare voce a un personaggio. A pensarci bene, oggi è quello che mi spinge a fare questo lavoro. Infatti ora non mi vedrei a fare nient’altro… che rischia pure di essere un problema [ride].

Con Circeo hai dato voce a un personaggio che più complesso di così non si poteva, Donatella Colasanti. Sarà il primo ruolo da protagonista con cui il pubblico ti conoscerà. Ci si può mai sentire pronti per un ruolo del genere?
È proprio quello il punto, forse non ci si sente mai pronti. E forse l’ho fatto anche per questo, perché se ci avessi pensato troppo avrei rifiutato. Ho studiato moltissimo ma mi sono anche un po’ buttata… sennò non ce l’avrei fatta.

Com’è arrivato questo ruolo?

Era uno dei mille self-tape, ma notavo che continuavano a chiamarmi. Al sesto provino ho iniziato a crederci un po’. Quando mi hanno telefonato per dirmi che mi avevano presa stavo lavorando in un ristorante come cameriera, ero in pausa e ho urlato davanti a tutti. Ricordo che dall’inizio ho iniziato a informarmi e poi ad affezionarmi a Donatella. Era pesante anche solo la preparazione, perché non facevo che guardare i video di repertorio.

Ho l’impressione che tu abbia un fortissimo senso della disciplina…

Hai ragione. Se faccio qualcosa diventa totalizzante. Ma non è un vanto, credo sia questione di carattere. Se ho un progetto in ballo io non esco di casa, entro in modalità secchiona. Anche quando facevo la cameriera la vivevo così, penso sempre che se mi è arrivata una cosa devo tenermela. Nessuno ti regala niente.

Interpretare una storia vera: come hai trovato l’equilibrio tra fedeltà verso la persona reale e libertà verso il tuo lavoro sul personaggio? È uno dei tranelli più difficili del mestiere…

Sai, ho studiato tantissimo Donatella, i video in cui parlava, la sua postura, la gestualità. Sul set avevo sempre nelle cuffie la sua voce. E mi è piaciuto osservarla, farla mia, cercando sempre di non esagerare. Non ho un metodo, magari ce l’avrò in futuro. Oggi non so spiegarti come faccio, ma so che una volta dato lo stop torno a casa e sono io. Non continuo a essere il personaggio, anche perché cinque mesi sempre nei panni di Donatella sarebbero stati devastanti. Io la vedo così: è comunque un lavoro, e a un certo punto della giornata devi uscirne.

A questo punto non giriamoci intorno: nel film di Leo che ruolo avrai?
È una storia psicologicamente violenta, dominata dalla gelosia. Ho il ruolo di una ragazza che si sposa molto presto per poi subire delle violenze dal suo compagno.

Lo chiedo a tutte le cover: se in questo momento guardi il nuovo cinema italiano, cosa vedi all’orizzonte?

Vedo tante facce nuove, finalmente. Ci sono attori che non vengono notati ma che sono bravissimi. In Circeo c’erano colleghi giovanissimi, anche con ruoli minori, che però tenevano la scena con grande potenza. Allora mi auguro che non vengano scelte sempre le stesse persone. E che venga premiata la bravura, non solo la bellezza. Soprattutto quando si parla di attrici spesso si guarda all’immagine e non all’interpretazione. Va bene l’estetica, ma l’anima?

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Fotografa Roberta Krasnig, Assistenti Sonia Pagavino, Gina Lisa Paccagnella

Stylist Stefania Sciortino, Assistente Giulia Laface

Capelli Adriano Cocciarelli@Harumi

Make-up Ilaria Di Lauro@idlmakeup Assistente utopia.sfx@idlmakeup

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Abiti Patrizia Pepe, Philipp Plein

LOCATION: Borgo Ripa/Roma

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Fedeltà: la crisi coniugale secondo Netflix https://www.fabriqueducinema.it/serie/fedelta-la-crisi-coniugale-secondo-netflix/ https://www.fabriqueducinema.it/serie/fedelta-la-crisi-coniugale-secondo-netflix/#respond Fri, 11 Feb 2022 13:58:54 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16773 A una domanda sembra voler dare risposta Fedeltà, nuovo dramma originale Netflix prodotto da BiBi Film: un semplice dubbio, un piccolo malinteso, può distruggere una relazione? Lo scrittore Carlo (Michele Riondino) e l’agente immobiliare Margherita (Lucrezia Guidone) sembrano avere una vita e una relazione perfetta, nonostante gli alti e bassi del lavoro e della famiglia. […]

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A una domanda sembra voler dare risposta Fedeltà, nuovo dramma originale Netflix prodotto da BiBi Film: un semplice dubbio, un piccolo malinteso, può distruggere una relazione?

Lo scrittore Carlo (Michele Riondino) e l’agente immobiliare Margherita (Lucrezia Guidone) sembrano avere una vita e una relazione perfetta, nonostante gli alti e bassi del lavoro e della famiglia. L’equilibrio tra i due tuttavia vacilla quando lui è accusato di atteggiamenti inappropriati con una studentessa, Sofia (Carolina Sala). Malgrado sia prontamente negata qualsiasi complicità da entrambe le parti, il dubbio silenzioso e latente si insinua sempre più, attimo dopo attimo, giorno dopo giorno, nella mente di Margherita, dando inizio ad un gioco di gelosie e vendette che potrebbe portare a irrimediabili conseguenze.

Come già intuibile, Fedeltà propone una storia all’apparenza semplice, che riprende il topos del triangolo amoroso e lo declina a proprio modo. Se fin da subito la narrazione vera e propria non appare particolarmente innovativa, la serie tenta però di scavare sotto la superficie, mettendo in scena non solo una crisi coniugale, ma dipingendo anche uno spaccato delle relazioni odierne, una tranche de vie in cui chiunque può rivedersi. Per farlo, si parte non a caso da un romanzo introspettivo, giocato sui detti e i non detti, come quello di Marco Missiroli, scrittore riminese insignito proprio grazie a Fedeltà del Premio Strega.

Fedeltà

E proprio questa introspezione, questo voler andare oltre il mero racconto dei fatti, è il vero punto di forza della serie. In appena sei puntate, più che sufficienti per il tipo di progetto qui proposto, la storia di Missiroli, riportata sullo schermo dalla penna di Alessandro Fabbri, Elisa Amoruso e Laura Colella, conduce lo spettatore in un pas de deux di due (ma forse più) umanità che si scontrano: tra certezze che vacillano ed errori a cui forse non si può più rimediare, prendono vita personaggi – interpretati più che degnamente da Riondino e Guidone – tanto conflittuali, quanto reali, con cui è impossibile non rivedersi, almeno una volta.

La regia, guidata dalla mano esperta di Andrea Molaioli (l’eccellente La ragazza del lago, ma anche il più pop Slam – Tutto per una ragazza) e dal più giovane Stefano Cipani (Mio fratello è figlio unico), sembra quindi seguire i suoi protagonisti, attraverso dei lunghi momenti musicali e l’impeccabile fotografia di Gogò Bianchi (Anna), che incornicia una Milano dai mille volti. Nonostante a volte il passaggio dalla carta allo schermo non sfrutti appieno le proprie potenzialità, Fedeltà riesce però a fare ciò che si prefigge: raccontare, con una buona eleganza e una certa profondità, la crisi di un amore, ma ancor prima la storia di due persone qualunque.

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Torino Film Festival 2016: Fertility Wave https://www.fabriqueducinema.it/festival/italia/torino-film-festival-2016-fertility-wave/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/italia/torino-film-festival-2016-fertility-wave/#respond Mon, 21 Nov 2016 10:09:56 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=3802 Prima considerazione: gli italiani tornano a fare figli. Da giovani, da giovanissimi, anzi da minorenni. Se la realtà ci parla di un paese demograficamente in panne, con la morsa della precarietà a soffocare ogni desiderio (incluso quello di riprodursi), il cinema italiano risponde raccontandoci tutta un’altra storia. E così, dopo gli adolescenti incinti di Piuma, […]

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Prima considerazione: gli italiani tornano a fare figli. Da giovani, da giovanissimi, anzi da minorenni. Se la realtà ci parla di un paese demograficamente in panne, con la morsa della precarietà a soffocare ogni desiderio (incluso quello di riprodursi), il cinema italiano risponde raccontandoci tutta un’altra storia. E così, dopo gli adolescenti incinti di Piuma, ecco che il festival di Torino presenta in questi giorni SLAM – Tutto per una ragazza di Andrea Molaioli, storia di due sedicenni allegramente alle prese con una gravidanza inaspettata. Anche in questo caso, come nel film di Roan Johnson, la direzione imboccata dai ragazzi è a un senso solo: il bambino si terrà, punto e basta, contro la volontà della famiglia e il parere degli amici. E anche in questo caso, come per Piuma, la chiave scelta è quella della commedia, con un ricorso puntuale al registro del surreale (là erano sequenze oniriche, qui veri e propri sogni, anzi incubi del protagonista). In entrambi i casi, la scelta dei nostri autori è in controtendenza con la realtà: che sia indice di un fantozziano scollamento del cinema dal paese reale, o di un ribelle e legittimo slancio di fantasia autoriale, è forse troppo presto per dirlo. Ma la fertility wave imboccata di recente è un segnale da ascoltare. Un allarme, probabilmente.

Seconda considerazione: nel nostro cinema le donne, se fanno un figlio, smettono di ridere. Ammesso che l’abbiano mai fatto prima. Succede in Piuma, succede nel film di Molaioli (dove pure la brava Jasmine Trinca, nel ruolo della giovanissima madre del protagonista, ha spazio e corpo in scena), e la recidiva diventa irritante: il motore comico in entrambi i film è affidato interamente ai maschi, immaturi e sognatori, terrorizzati dalla responsabilità, incerti sulla direzione da far imboccare alla propria vita. Umani, perciò simpatici, capaci di catturare le simpatie dello spettatore. Le donne no. Granitiche, bidimensionali, dritte come panzer alla meta: riprodursi, diventare o essere mamme, come (unica) missione di vita. Schiacciate nel ruolo del contraltare drammatico alla vitale voglia di vivere del maschio, le donne sono la parte più debole di questi due film: sono lo scalino su cui è inciampato Piuma un passo prima di atterrare in vetta, sono il muro su cui si schianta SLAM prima ancora del decollo.

Terza considerazione: SLAM, a differenza di Piuma, non è un soggetto originale. È tratto dall’omonimo romanzo di Nick Hornby, adattato per l’occasione alla realtà di Roma, e dalla pagina scritta “ruba” giustamente personaggi, battute, situazioni. Ma dimentica, ed è forse il difetto più grave del film, di sfruttarne – visivamente, narrativamente – una parte importante. La cultura dello skate, di cui il protagonista Samuele è appassionato, resta una cornice superflua, scollata dalla trama, un dettaglio di colore che non aggiunge nulla alla vicenda. Samuele è uno skater, il suo amico Lepre anche, ma di quel mondo (che poi è un universo, con le sue regole e i suoi riti) nel film non resta nulla più di qualche scena su un half-pipe. Peccato. È come aver messo una pistola nel film e non averla fatta sparare. Non si fa. Soprattutto se la voce fuori campo è quella di Tony Hawk.

Al netto delle considerazioni, SLAM delude nel contesto di un festival che ci aveva abituati meglio. Un film commerciale che non fa il suo dovere, con musiche piacione per un target over trenta (Eels, Cake, Pixies), e una storia di poche ambizioni, scarsa cura, tirata via come a liberarsene in fretta. Come dice la filosofia dello skate: l’importante non è riuscire a fare il trick, ma provarci. Aspettiamo in pista Molaioli, in attesa che gli riesca di nuovo un forward flip.

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