Andrea Carpenzano Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Mon, 19 Sep 2022 09:01:49 +0000 it-IT hourly 1 Chiara, la santità secondo Susanna Nicchiarelli https://www.fabriqueducinema.it/festival/chiara-la-santita-secondo-susanna-nicchiarelli/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/chiara-la-santita-secondo-susanna-nicchiarelli/#respond Sat, 10 Sep 2022 10:49:59 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=17663 Chiara di Susanna Nicchiarelli è l’ultimo film italiano del concorso di Venezia 79, e compone una ideale trilogia con Nico 1988 e Miss Marx. Un affresco che attraversa i secoli con al centro tre figure femminili, analizzate nel rispettivo contesto storico e culturale, seguendo la loro ricerca di se stesse, del loro posto nel mondo, […]

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Chiara di Susanna Nicchiarelli è l’ultimo film italiano del concorso di Venezia 79, e compone una ideale trilogia con Nico 1988 e Miss Marx. Un affresco che attraversa i secoli con al centro tre figure femminili, analizzate nel rispettivo contesto storico e culturale, seguendo la loro ricerca di se stesse, del loro posto nel mondo, del loro rapporto tra pubblico e privato.

E proprio tenendo presente questo percorso, probabilmente Chiara è il film meno a fuoco dei tre, quello più difficile sia da un punto di vista drammaturgico che formale, un rischio che Susanna Nicchiarelli ha il merito di aver voluto correre, riuscendo a restituire grande lirismo in alcuni momenti e lasciandone altri più opachi, meno approfonditi.

Raccontare la storia di una ragazza di famiglia nobile che nei primi anni del 1200 decide di spogliarsi delle sue ricchezze per sposare la povertà e la preghiera è impresa non facile, se non si vuole cadere nello sterile biografismo cinematografico, ma la sintesi a cui perviene Susanna Nicchiarelli forse è troppo estrema: la “vita precedente” di Chiara è raccontata in una sola scena, sbrigativamente, e chissà se non avrebbe acquisito maggiore ricchezza il personaggio di Margherita Mazzucco (che abbiamo conosciuto con le tre stagioni de L’amica geniale) se l’avessimo vista più in crisi nell’atto di compiere questa scelta.

In ogni caso, si capisce che la regista in questa occasione abbia voluto optare per una messinscena più stilizzata rispetto ai due film precedenti, una narrazione portata avanti più per quadri, per moduli narrativi, che non per concatenazione di eventi. In questo senso trovano ragion d’essere anche i momenti musicali del film, che sono degli spiragli di libertà, di presa di coscienza, di evoluzione del mondo di Chiara e delle altre donne che si uniscono al suo ordine.

E a proposito di ordine, due elementi fondamentali del film sono proprio i confronti/scontri che Chiara ha con Francesco d’Assisi (Andrea Carpenzano) e papa Gregorio IX (Luigi Lo Cascio).

Si tratta, in entrambi i casi, di figure tratteggiate un po’ superficialmente, più per quel che riguarda Francesco, che si ha quasi l’impressione sia un personaggio di ambigui sentimenti, che il cardinale Ugolini, successivamente papa Gregorio, a cui comunque l’interpretazione di Lo Cascio dà uno spessore importante (la scena del pranzo è una delle sequenze memorabili del film).

Senza rivelare troppo, il finale è l’apice di tutta la visione, quello in cui Susanna Nicchiarelli si gioca tutte le sue carte dal punto di vista della visionarietà, della libertà espressiva, della leggerezza, della tenerezza, e anche del ritmo, grazie alla musica e al montaggio. Insomma, quando c’è il marchio della regista, quando si impongono il suo sguardo e il suo stile il film è più riuscito.

Tre note conclusive di grande merito: la lingua in cui è scritto il film, un volgare musicale e suadente; le sublimi location; la commovente dedica alla storica Chiara Frugoni, nostra grande medievista.

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Calcinculo, una specie di sorellanza https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/calcinculo-una-specie-di-sorellanza/ Wed, 23 Mar 2022 15:53:40 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16942 Già autrice del dramedy Palazzo di giustizia nel 2020, Chiara Bellosi è passata per la Berlinale anche quest’anno con la sua opera seconda, Calcinculo, in uscita domani in sala. Benedetta (Gaia Di Pietro), quindicenne timida e vessata dalla madre Anna perché in sovrappeso, trova rifugio nella roulotte della nuova amica Amanda (Andrea Carpenzano), un giovane […]

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Già autrice del dramedy Palazzo di giustizia nel 2020, Chiara Bellosi è passata per la Berlinale anche quest’anno con la sua opera seconda, Calcinculo, in uscita domani in sala. Benedetta (Gaia Di Pietro), quindicenne timida e vessata dalla madre Anna perché in sovrappeso, trova rifugio nella roulotte della nuova amica Amanda (Andrea Carpenzano), un giovane dall’identità sessuale liquida, con una vita dissoluta e solitaria. Abbiamo incontrato la regista per parlare dei tanti fili che percorrono il film, e soprattutto dei sogni che sono il cuore di ognuno dei personaggi coinvolti.

Il tuo esordio, Palazzo di giustizia, veniva da una tua sceneggiatura con più personaggi e molti intrecci narrativi. Mentre per la tua opera seconda adotti una sceneggiatura di Luca De Bei e Maria Teresa Venditti decisamente più asciutta e intima. Com’è avvenuta questa scelta?

È stata una proposta della casa di produzione Tempesta: era una sceneggiatura già pronta, l’ho visto come un regalo. Il mio immaginario e il mio modo di scrivere sono del tutto diversi da quello degli sceneggiatori, ma ho subito cercato dei punti di contatto con la storia e quello più forte è stato accorgermi che a un certo punto ho cominciato a voler bene ad Amanda e Benedetta. Mi sarebbe dispiaciuto lasciarle a qualcun altro. Poi con gli sceneggiatori abbiamo fatto dei tagli e degli aggiustamenti, ma tutto è iniziato da quel moto di affetto.

Ad alcuni personaggi le ali per volare verso i sogni sono state spezzate nel passato, altri hanno la speranza che la magia prima o poi funzioni.

Non c’è nessuno veramente adulto nel film. Anche i genitori hanno conservato il nucleo del sogno che avevano da bambini e che nutrono costantemente, anche se sanno che non si realizzerà. I sogni di Benedetta invece sono ancora confusi perché è piccola, ha solo quindici anni. Sicuramente ciò che cerca è essere libera come si sente dentro, non come viene vista dagli altri, in particolare dalla madre.

Poi arriva l’Amanda di Andrea Carpenzano, che per Benedetta è una specie di Lucignolo. Non solo fuga dagli adulti opprimenti ma simbolo di trasformazione.  

Sì, con Andrea abbiamo lavorato proprio pensando a Lucignolo. Però lui faceva davvero male a Pinocchio, mentre Amanda fa male a Benedetta solo come sua pari. Amanda non prevale mai, casomai Benedetta che predomina. La loro relazione è una specie di sorellanza: tra loro c’è uno sguardo orizzontale, mentre la madre e la famiglia hanno uno sguardo “verticale” su Benedetta.

Come hai aiutato Carpenzano a raggiungere un livello di femminilità così profondo?

Abbiamo parlato molto di come immaginavamo Amanda. Una persona arrivata da una grande solitudine ma cresciuta in un contesto d’amore. Abbiamo immaginato una madre incapace di seguirla, al punto di farsela portare via, ma divertente e amorevole. Amanda infatti è empatica e calda, seppur precaria perché vive in un mondo che si smonta dalla sera alla mattina. Probabilmente trova in Benedetta un’ancora affettiva stabile. Hanno una necessità reciproca che le accomuna

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Lovely Boy con Andrea Carpenzano, ascesa e caduta di una star trap https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/lovely-boy-con-andrea-carpenzano-ascesa-e-caduta-di-una-star-trap/ Fri, 08 Oct 2021 08:44:02 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16224 Ci sono dei gesti, delle scene che alle volte rimangono impresse sulla pelle, arrivando dritti all’interiorità di chi le guarda. Uscito da poco su Sky, dopo aver chiuso fuori concorso le Giornate degli Autori alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, il nuovo film di Francesco Lettieri Lovely Boy ha la capacità di sostare nella […]

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Ci sono dei gesti, delle scene che alle volte rimangono impresse sulla pelle, arrivando dritti all’interiorità di chi le guarda. Uscito da poco su Sky, dopo aver chiuso fuori concorso le Giornate degli Autori alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, il nuovo film di Francesco Lettieri Lovely Boy ha la capacità di sostare nella mente degli spettatori, catturandone l’attenzione nonostante evidenti difetti complessivi.

Un anno dopo Ultras, Lettieri decide di filmare la storia di Nick, in arte “Lovely Boy”, personaggio finzionale del mondo della trap. Della trap, però, al regista e sceneggiatore napoletano interessa poco e nulla. Lettieri riprende il filo da dove lo aveva lasciato nel suo film precedente. Continua a tessere la storia delle anime perse, quelle anime che popolavano “La collina” di De André, rendendole più contemporanee. È il sapore della contemporaneità, infatti, a interessare lo sguardo del regista e non l’ambiente musicale in sé.

Nick, interpretato magistralmente da Andrea Carpenzano (La terra dell’abbastanza), artista romano, è un astro nascente della trap. Pian piano entra in un mondo che lo isola sempre di più, facendogli perdere il controllo. Travolto in un giro di lusso e dipendenze, finisce così in un rehab in Trentino, evento che divide esattamente in due il film. Già da questa breve sinossi si può capire come nella sua totalità, Lovely Boy sia un film visto e rivisto (qui, infatti, l’enorme difetto dell’opera), ma il graffio di Lettieri è nel modo in cui decide di riprendere la vicenda.

Nel concentrarsi su piccoli gesti quotidiani, come la semplice apertura di una bottiglia, il regista cattura lo spettatore dentro la fragilità di chi ormai non ha neanche più il controllo del proprio corpo. La macchina di presa si sofferma su inquadrature che allontanano il protagonista dal contesto, cogliendolo proprio mentre è al centro della spirale di solitudine tipica non soltanto dei cantanti o degli artisti, ma dell’uomo contemporaneo, immerso in un mondo narcisista che lo vorrebbe superiore a tutto e tutti, ma che invece svuota le proprie vittime.

È interessante, in quest’ottica, notare come in un vortice di comparse e di situazioni, Lettieri isoli sempre il suo protagonista, rendendo quasi tattile la sensazione di vuoto che egli prova in scene che si imprimono con potenza: finita la visione, gli spettatori continueranno a ripensare alla familiarità di quei dettagli.

Lovely Boy è dunque un film che nel suo complesso è stato già mangiato e digerito diverse volte, ma che ha nel suo tocco qualcosa in grado di far andare lo spettatore oltre il già noto. Lettieri segna così, nel suo percorso registico, una nuova tappa, dopo la quale, dopo “il matto” e il “suonatore Jones”, attendiamo la visita delle altre anime perse, che ancora dormono sulla collina, ma che attendono di essere indagate nella loro contemporaneità.

 

 

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Il campione, la forza della leggerezza https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/il-campione-la-forza-della-leggerezza/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/il-campione-la-forza-della-leggerezza/#respond Fri, 12 Apr 2019 11:22:10 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=12911 Negli ultimi anni, il cinema italiano si è più volte confrontato con il mondo dello sport: se l’acclamato Veloce come il vento di Matteo Rovere ha raccontato la storia di due fratelli accomunati solo dall’amore per le corse automobilistiche e il meno fortunato Tiro libero di Alessandro Valori ha messo in scena il declino e […]

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Negli ultimi anni, il cinema italiano si è più volte confrontato con il mondo dello sport: se l’acclamato Veloce come il vento di Matteo Rovere ha raccontato la storia di due fratelli accomunati solo dall’amore per le corse automobilistiche e il meno fortunato Tiro libero di Alessandro Valori ha messo in scena il declino e la rinascita di un viziato giocatore di basket, Enrico Maria Artale con il suo Il terzo tempo si è invece concentrato sul rugby, ricorrendo alla pratica agonistica per raccontare nuovamente il riscatto di un ragazzo travolto dalle difficoltà della vita.

Ultimo in ordine di tempo, Il campione di Leonardo D’Agostini sembra dunque porsi in perfetta continuità con il passato, replicando una formula ormai rodata. Così come per i predecessori, il lungometraggio prodotto dal già nominato Rovere e da Sydney Sibilia mette infatti in scena un racconto di auto-affermazione e rivalsa a sfondo sportivo, seguendo la quotidianità di Christian Ferro (Andrea Carpenzano), giovane promessa del calcio italiano che, annebbiato dal successo e dalla ricchezza, vive una vita totalmente sregolata, alternando gli allenamenti con la squadra della Roma a imprevedibili serate in discoteca, piccoli furti e risse dentro e fuori dal campo.

il campione 1

Preoccupato per la mancanza di disciplina del suo astro nascente, il presidente del club romano (Massimo Popolizio) decide allora di adottare una drastica soluzione: convinto che solo la scuola possa impartirgli la disciplina necessaria, ordina a Ferro di prepararsi ad affrontare la tanto temuta maturità, pena l’esclusione dalle partite domenicali, costringendolo anche a seguire un programma di lezioni private, impartite dall’insegnante Valerio (Stefano Accorsi). L’incontro tra il giovane Christian e l’intellettuale Valerio porterà il ragazzo a capire ciò che davvero conta nella vita e a combattere per ottenerlo.

Sceneggiato da Giulia Steigerwalt e Antonella Lattanzi, le quali hanno scritto rispettivamente Moglie e marito e 2night, Il campione si delinea dunque fin dalle prime sequenze come un racconto volutamente tradizionale, che non desidera stupire per colpi di scena o svolte improvvise, ma punta abilmente sulla semplicità. Proprio la decisione di adottare una narrazione chiara e lineare, che in certi casi è un’arma a doppio taglio, risulta qui vincente: se ormai molteplici produzioni preferiscono puntare sull’eccesso di stile e scrittura – si vedano rispettivamente l’enfasi pulp del recente Dolceroma o le iperboli narrative dei cinepanettoni et similia –, commedie garbate come Il campione sono infatti piuttosto rare e proprio per questo sempre più necessarie.

il campione 2

L’assenza di particolari eccedenze espressive consente inoltre di porre l’accento sull’umanità degli stessi personaggi, che diventano così il centro del racconto. Nonostante il film sia anzitutto una commedia e l’umorismo non venga (quasi) mai a mancare, momenti più drammatici permettono di caratterizzare due figure a tutto tondo, interpretate con successo da due volti noti del vecchio e del nuovo cinema italiano. Stefano Accorsi, tornato in sala dopo più di un anno da A casa tutti bene di Gabriele Muccino, incarna infatti un uomo all’apparenza incapace di accettare le difficoltà della vita, ma pronto a combattere quando necessario. Andrea Carpenzano, in un ruolo sicuramento più scanzonato rispetto al Manolo de La terra dell’abbastanza, è invece un ragazzo viziato e strafottente, che nasconde però una grande bontà d’animo.

Se Accorsi è un divo riconosciuto nel panorama cinematografico tricolore, il più giovane Carpenzano si dimostra nuovamente una stella in ascesa, particolarmente affine al ruolo del ragazzo inaspettatamente sensibile e profondo. Accanto a loro, si muovono poi personaggi secondari che, pur non essendo approfonditi come i due protagonisti, appaiono indubbiamente ben interpretati. Degni di nota, sono soprattutto il tirannico presidente della Roma, il cui volto è quello dal sempre bravissimo Massimo Popolizio, e la giovane fidanzatina Alessia, che, complice l’abilità e la freschezza di Ludovica Martino, riesce a rubare più di una volta la scena all’innamorato Christian.

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Andrea Carpenzano. Solo la noia può salvarci https://www.fabriqueducinema.it/magazine/cover/andrea-carpenzano-solo-la-noia-puo-salvarci/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/cover/andrea-carpenzano-solo-la-noia-puo-salvarci/#respond Tue, 18 Dec 2018 11:00:33 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=12016 È tra i giovani attori più richiesti del momento, ma Andrea Carpenzano non sembra essere cambiato. Nonostante il successo, solo di una cosa non può fare a meno: la noia. Un ragazzo comune che desidera solo non smettere mai di annoiarsi: così potrebbe essere definito Andrea Carpenzano, uno degli attori più promettenti del panorama cinematografico […]

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È tra i giovani attori più richiesti del momento, ma Andrea Carpenzano non sembra essere cambiato. Nonostante il successo, solo di una cosa non può fare a meno: la noia.

Un ragazzo comune che desidera solo non smettere mai di annoiarsi: così potrebbe essere definito Andrea Carpenzano, uno degli attori più promettenti del panorama cinematografico italiano. La sua è una vita sull’onda degli eventi, che lo ha condotto a cimentarsi in lungometraggi, cortometraggi e serie televisive.

Carpa – così lo chiamano i suoi amici – ha infatti esordito sul grande schermo appena ventenne, conquistando il favore della critica grazie a Tutto quello che vuoi, commedia agrodolce dove vestiva i panni di un giovane turbolento ma di buon cuore. Reduce dall’esperienza televisiva di Immaturi – La serie, la consacrazione è arrivata con La terra dell’abbastanza, un intenso dramma ambientato nella periferia romana: il suo Manolo, proprio come Alessandro nel lungometraggio precedente, ha affascinato grazie alla sensibilità che traspare anche nelle parole del suo interprete.

Nonostante una carriera nel mondo del cinema pronta a spiccare il volo, Andrea sembra non aver perso l’umiltà, tanto che è difficile per lui definirsi un attore: «Non rifiuto questa etichetta perché la giudico negativamente, anzi, amo molto quello che faccio e sono immensamente grato a chiunque creda in me. Tuttavia non riesco ancora a giudicarmi un vero attore. Quando me lo chiedono, dico sempre di lavorare nel cinema, ma anche questo mi sembra incredibile».

Davvero così poca autostima, Andrea?

Forse esagero un po’, ma credo che proprio questo mi abbia permesso di essere come sono oggi. I film a cui ho preso parte sono figli del mio modo di essere: sono sicuro che, se avessi avuto troppa stima in me stesso, non sarei riuscito a interpretare Manolo e Alessandro allo stesso modo. Anche nella vita di tutti i giorni non faccio altro che affrontare una giornata alla volta: non ho mai sentito la necessità di avere successo a tutti i costi e non mi metto in competizione con chi mi circonda. Sono convinto che questa assenza di aspettative sia fondamentale al giorno d’oggi, è una realtà difficile e solo un’incertezza consapevole può aiutare la mia generazione ad affrontarla.

Incertezza o meno, le tue interpretazioni in Tutto quello che vuoi e ne La terra dell’abbastanza sono state molto apprezzate da critica e pubblico. Hai qualche cosa in comune con i tuoi due personaggi?

In realtà preferisco non giudicarmi, quindi trovo difficile paragonarmi ai ragazzi che interpreto. Sono persone totalmente diverse da me, ma entrambe presentano una forte sensibilità che, anche se rimane celata per gran parte del tempo, traspare dai loro comportamenti e soprattutto dalle loro scelte. Personalmente, non saprei dire se il punto di contatto sia proprio questa tenerezza nascosta ma, stando a quello che dice mia madre, sono un ragazzo sensibile, quindi fidiamoci di lei!

Continuando a parlare dei film che ti hanno visto come protagonista, come hai vissuto l’esperienza sul set?

Non ho mai pensato di fare l’attore e non ero minimamente preparato a quello che stavo per affrontare. Mi sono presentato al provino di Tutto quello che vuoi praticamente per caso. Inizialmente ero in lizza per un ruolo minore ma, dopo varie prove con il regista Francesco Bruni, mi è stata affidata la parte da protagonista. Ero terrorizzato e adattarmi ai ritmi è stato difficilissimo, ma con la troupe si è creata un’ottima intesa. Lo stesso è successo per La terra dell’abbastanza e per Immaturi – La serie: anche in questi casi mi sono tranquillizzato quando mi sono reso conto dell’umanità e della pazzia di chi mi circondava.

Hai detto che non pensavi di fare l’attore. Cosa ti sarebbe piaciuto fare se non avessi intrapreso questo percorso?

Prima di iniziare a recitare ero comunque interessato al mondo del cinema, ma più al dietro le quinte: guardavo molti film e non
mi sarebbe dispiaciuto fare il montatore. Quando uscivo con i miei amici portavo sempre con me una videocamera, con cui riprendevo e raccontavo la mia quotidianità. A ogni modo, la vita mi ha portato a intraprendere un’altra strada.

E proprio questa strada ti ha condotto a essere dove sei oggi. Cosa è cambiato nella tua vita da quando sei diventato un attore o, meglio, un non-attore?

In realtà, non molto. Sono stato sempre abituato ad avere pochi soldi e, nonostante adesso la situazione non sia molto diversa, tutto quello che guadagno lo investo in alcolici! Scherzi a parte, ho stretto amicizie con alcuni colleghi, ma preferisco uscire con i miei vecchi amici. Credo sia importante confrontarsi con persone che non fanno il tuo stesso lavoro, così da poter apprezzare realtà differenti. Inoltre, rispetto al passato, adesso occasionalmente qualcuno mi ferma per strada chiedendomi una fotografia…

Cosa consiglieresti a un tuo coetaneo che vuole intraprendere latua stessa carriera?

Credo che chiunque voglia fare questo mestiere debba imparare
a non prendersi troppo sul serio. Siamo costretti a dover costantemente dimostrare di essere capaci di fare cose diverse, ma in realtà è importante riscoprire anche l’arte della noia, perché ci permette di apprezzare le piccole cose e di dedicare il giusto tempo alle aspirazioni che giudichiamo realmente importanti.

E il futuro?

Non riesco a prevedere cosa succederà, perché tutto ciò che mi è successo finora non l’avrei mai immaginato. Sognando, mi piacerebbe recitare in un film di Harmony Korine, perché ho amato molto Gummo e anche Ken Park, di cui non è regista ma sceneggiatore. Per il momento però sto concludendo le riprese de Il campione, un film dove interpreto un personaggio molto diverso dai precedenti, e poi si vedrà.

      

Foto ROBERTA KRASNIG
Stylist STEFANIA SCIORTINO
Assistente fotografa ANITA XELLA
Makeup ILARIA DI LAURO@HARUMI
Hair ADRIANOCOCCIARELLI@HARUMI
Abiti GUCCI
Special thanks PALMERIE

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