Amazon Prime Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Mon, 12 Dec 2022 16:27:56 +0000 it-IT hourly 1 2Flows. La musica attraverso chi la vive https://www.fabriqueducinema.it/focus/direct-to-digital/2flows/ https://www.fabriqueducinema.it/focus/direct-to-digital/2flows/#respond Mon, 12 Dec 2022 16:27:56 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18021 She è una cantante di successo annoiata dalla vita che viene sfruttata dal suo manager Cristiano, uno squalo del settore musicale. Luca, aka Tempo, è un artista che lavora come lavapiatti per aiutare la madre ad estinguere il mutuo della loro casa. Luca, dopo aver inciso la sua nuova canzone con l’aiuto dei suoi amici Marco e Boro, […]

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She è una cantante di successo annoiata dalla vita che viene sfruttata dal suo manager Cristiano, uno squalo del settore musicale. Luca, aka Tempo, è un artista che lavora come lavapiatti per aiutare la madre ad estinguere il mutuo della loro casa. Luca, dopo aver inciso la sua nuova canzone con l’aiuto dei suoi amici Marco e Boro, scopre che il suo ultimo video è diventato virale su tutti i social. Grazie a questo successo viene notato e contattato da Cristiano che gli dà appuntamento al Blue Velvet, un locale molto rinomato in città. È lì che i destini di Luca e She si incroceranno grazie alla mano inconsapevole di Cristiano che, seppur non volendo, cambierà per sempre le vite dei due ragazzi.

Presentato a Torino, 2Flows è ora disponibile su Amazon Prime Video, Google Play e prossimamente su Apple TV distribuito da Direct to Digital. Il titolo si rifà ad un gioco di parole che rappresenta due diversi flussi di vita ma anche due stili di rap. D’altronde la particolarità del film è nella sua stessa natura: questa è una storia sulla musica interpretata da artisti veri, che raccontano con onestà e passione tutti i sacrifici, le ansie e le emozioni di chi la musica la sogna, ma cerca anche di farne un mestiere.

Nel cast: Nicolò Bertonelli (Oltre la soglia; Braccialetti Rossi 3; The Christmas show), Maria Teghini, Gianmarco Bellumori (La grande bellezza), Roberta Carluccio (influencer da 2 milioni di follower), Alessandra Carrillo (1994; Il processo; Oltre la soglia; Il paradiso delle signore; Luna Park), il noto rapper Boro Boro, il rapper Vaz Tè e il producer-dj Zero Vicious.

Ambientato nella scena rap torinese, 2Flows mette a confronto la vita dei musicisti protagonisti evidenziandone le differenze: c’è chi come Luca sogna di emanciparsi dalla periferia per diventare un rapper famoso, e chi, come She, è già una cantante affermata ma soffre nel rigido mondo dello showbiz. La vera sfida sarà capire dove trovare la felicità… senza mai rinunciare ai propri sogni.

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Il nostro nome è Anna: Anne Frank oggi https://www.fabriqueducinema.it/focus/direct-to-digital/il-nostro-nome-e-anna/ https://www.fabriqueducinema.it/focus/direct-to-digital/il-nostro-nome-e-anna/#respond Thu, 08 Dec 2022 08:46:00 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18008 Anne Frank è il simbolo di tutti i bambini che furono vittime della Shoah, ma anche di coloro che oggi continuano ad essere discriminati. I suoi ideali sono condivisi attraverso gli occhi di Anna, un’adolescente dei giorni nostri. “Cosa succede quando gli ideali di Anne Frank si scontrano con la vita quotidiana del nostro tempo?” si […]

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Anne Frank è il simbolo di tutti i bambini che furono vittime della Shoah, ma anche di coloro che oggi continuano ad essere discriminati. I suoi ideali sono condivisi attraverso gli occhi di Anna, un’adolescente dei giorni nostri.

“Cosa succede quando gli ideali di Anne Frank si scontrano con la vita quotidiana del nostro tempo?” si è chiesto il regista Mattia Mura Vannuzzi, contattato da Federica Pannocchia, Presidente dell’Associazione di volontariato Un ponte per Anna Frank, con l’obiettivo di capire come trasmettere al giorno d’oggi i valori presenti nello storico diario. Immaginando il candore e la maturità di una giovane Anna contemporanea (qui interpretata da Ludovica Nasti in stato di grazia), e affidandosi al realismo magico che il cinema concede.

Il nostro nome è Anna
Ludovica Nasti in Il nostro nome è Anna

«Anne Frank non è solo il simbolo di quei bambini che sono stati uccisi durante il nazionalsocialismo – dichiara il regista – ma anche di tutti coloro che vivono al limite della società». Il riferimento è senza dubbio agli aspetti più cupi della nostra attualità: dal movimento #BlackLiveMetters in America agli emarginati, i richiedenti asilo siriani, i rifugiati e qualsiasi vittima dell’indifferenza: «Di fronte al filo spinato del campo profughi dell’Isola di Lesbo ho avuto gli stessi brividi che mi hanno colpito prima di entrare ad Auschwitz, e ho sentito un’eco che è come un graffio nell’anima del mondo. Nel silenzio e nel consenso, il mondo ha chiuso gli occhi e ha lasciato che accadesse, e a volte vedere è ciò che ci separa dall’incredibile». E così che Anna, oggi più che mai, incarna una speranza e anche un sogno della coscienza.

Parte di un percorso di sensibilizzazione più ampio, Il nostro nome è Anna è stato proiettato nelle scuole e nelle biblioteche per arrivare direttamente agli studenti, ovvero i giovani che stanno crescendo e cresceranno ancora nel mondo attuale. Dalle parole di alcuni di loro emerge tutta l’importanza della divulgazione culturale, come nel caso di K., 10 anni: «Mi sono sempre sentita diversa, inoltre a casa i miei genitori litigano sempre… con Il nostro nome è Anna ho capito come essere felice». Il cortometraggio è ora disponibile anche su Amazon Prime Video, distribuito da Direct to Digital.

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Un “Weekend” che non si dimentica: Riccardo Grandi racconta il suo film in uscita su Amazon Prime https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/weekend-riccardo-grandi/ Wed, 16 Dec 2020 08:09:34 +0000 https://www.fabriqueducinema.com/?p=14610 L’eterno scontro fra presente e passato, ambientazioni sospese e non-luoghi: sono una parte dei numerosi tasselli di Weekend, film che conta tra i produttori Roberto Cipullo di Camaleo e Giovanni Amico di Twister, che il regista Riccardo Grandi ha deciso di raccontare a Fabrique in occasione dell’uscita del film su Amazon Prime domani 17 dicembre. […]

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L’eterno scontro fra presente e passato, ambientazioni sospese e non-luoghi: sono una parte dei numerosi tasselli di Weekend, film che conta tra i produttori Roberto Cipullo di Camaleo e Giovanni Amico di Twister, che il regista Riccardo Grandi ha deciso di raccontare a Fabrique in occasione dell’uscita del film su Amazon Prime domani 17 dicembre. I protagonisti sono alcune delle giovani leve che si sono fatte più notare nel cinema italiano degli ultimi anni: Alessio Lapice, Filippo Scicchitano, Jacopo Olmo Antinori, Lorenzo Zurzolo, Eugenio Franceschini.

Ci racconti il progetto creativo che sta dietro il film?

Weekend nasce due anni fa, figlio di lunghe chiacchierate fra colleghi destinate, come spesso succede, a rimanere chiuse in un cassetto finché non si trova l’occasione giusta. E in seguito, a causa della pandemia, il lavoro è stato necessariamente sospeso e abbiamo potuto ricominciare solamente durante il periodo estivo. Dato che si tratta di un film ambientato sotto la neve, abbiamo dovuto ricreare gran parte del set in studio e lavorare molto in post-produzione, questo grazie alla Frame by Frame nella persona di Davide Luchetti. In generale posso dire che è stata una bella prova di coesione del gruppo di lavoro essere in grado di riprendere le fila di un lungometraggio dopo molto tempo di sospensione. Per quanto mi riguarda, prima di Weekend la mia esperienza era legata alla miniserie Passeggeri notturni, tratta dai racconti di Gianrico Carofiglio. Per questo motivo ho sentito l’esigenza di portare sullo schermo qualcosa che provenisse più “da me”. Devo dire che amo lavorare in gruppo e non mi ritrovo affatto nella figura del regista autarchico. Adoro lavorare con grandi autori – l’esperienza con Carofiglio è stata bellissima – e in special modo cerco di creare dei veri e propri gruppi di scrittura perché penso che sia il modo migliore per far nascere un film.

Weekend potrebbe definirsi un lungometraggio cross-genered, ma con un approccio visivo legato molto al classico. Come ti sei mosso in questa direzione?

I rimandi al passato ci sono inevitabilmente, in particolare ad autori cui sono molto legato, come Hitchcock e Polanski – Nodo alla gola e Cul de Sac – maestri nel girare in ambientazioni circoscritte. Inoltre, l’esperimento che abbiamo tentato è stato quello di creare un “nowhere”. Il cinema italiano è spesso un cinema fortemente caratterizzato da una determinata provenienza, in questo caso abbiamo cercato di creare un non-luogo, cercando di essere meno local. Come ha sempre sostenuto Stephen King: «I miei romanzi sono tutti ambientati a Castle Rock» e alla domanda su dove sia questo posto, lui risponde: «Sulla mia scrivania, vicino alla mia macchina da scrivere». Ho anche portato avanti una ricerca visiva molto approfondita con il direttore della fotografia Timoty Aliprandi per ricreare le atmosfere vitali per il film.

Qual è stato l’approccio degli attori nel creare questa sospensione?

Gli attori sono arrivati sul set dopo un lungo periodo di prove, in cui sono stati chiamati a vivere davvero l’ambiente del film ricreato dal production designer Biagio Fersini. Quindi in qualche modo sono riusciti a toccare con mano la sensazione di reclusione in cui è avvolto Weekend. Alla base di tutto c’è stata la loro disponibilità verso il testo e verso i personaggi.

weekend-Lapice-Scicchitano
“Weekend”, Alessio Lapice e Filippo Scicchitano

Protagonista in Weekend è la continua lotta tra passato e presente. Cosa scaturisce da questa contrapposizione?

Uno dei grandi temi del film è effettivamente questo: il passato che torna ripetutamente e con forza, riproponendo gli errori incancellabili dei protagonisti. Questa lotta fa perno sul concetto di giustizia, un tema che mi è stato sempre molto a cuore. La giustizia ha mille sfaccettature e credo che sia anche alla base dell’essenza stessa del cinema. Lo spettatore va al cinema per emozionarsi ma anche perché, in qualche modo, vuole ricevere giustizia: che sia una commedia o una storia d’amore o qualsiasi altro genere, quando inizia a vedere un film lo spettatore vuole che succeda ciò che è giusto che succeda.

A proposito di futuro, invece: quali saranno i tuoi prossimi progetti?

Al momento ho un progetto che è in fase di scrittura, un thriller ambientato a New York, città che amo molto. Ammetto che il mio sogno è proprio quello di poterlo realizzare lì. L’augurio per il futuro rimane quello di continuare a creare dei gruppi di scrittura e di lavoro, per far sì che il ruolo del regista seguiti a essere quello del coach di una bella squadra capace di coordinare il talento degli altri.

 

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Mauro Russo e Gianluca Di Gennaro: Cobra non è come lo immaginate https://www.fabriqueducinema.it/focus/cobra-non-e/ https://www.fabriqueducinema.it/focus/cobra-non-e/#respond Wed, 06 May 2020 08:56:42 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13907 Cobra non è è il debutto alla regia cinematografica di Mauro Russo e ha fatto la sua prima apparizione pochi giorni fa su Amazon Prime, distribuito da 102 Distribution (qui il trailer). Il racconto delle avventure del rapper Cobra e del suo manager Sonny, reduci da un successo nel campo della musica ormai svanito, si […]

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Cobra non è è il debutto alla regia cinematografica di Mauro Russo e ha fatto la sua prima apparizione pochi giorni fa su Amazon Prime, distribuito da 102 Distribution (qui il trailer). Il racconto delle avventure del rapper Cobra e del suo manager Sonny, reduci da un successo nel campo della musica ormai svanito, si intreccia alle rocambolesche vicende di una banda di criminali guidata da personaggi eccentrici, in un susseguirsi di equivoci che prendono vita nel corso di una sola nottata. La narrazione scorre attraverso una serie di affollamenti tematici, allontanando ogni possibilità di classificazione di genere e ogni ricerca di associazioni forzate: «Mi sono fatto trasportare dalla sceneggiatura che avevo in mente, il risultato finale è il frutto della mia formazione, mi è venuto automatico girarlo così perché è ciò che mi piace e perché non saprei farlo in altro modo. È venuto da sé. Io amo i film di genere come l’exploitation movie. È avvenuto tutto in modo automatico», spiega Mauro Russo, regista del film.

[questionIcon] Cobra non è è sicuramente un prodotto nuovo per il panorama italiano per tutti gli elementi che confluiscono in un ritmo incalzante e contribuiscono a rendere difficile definire il film. Come ti piacerebbe venisse accolto?

[answerIcon] A me non piace essere classificato, preferisco l’idea che il pubblico capisca che è un film di puro intrattenimento: tutto ciò che appare sopra le righe e surreale è voluto. Sono molto contento che non venga catalogato in un genere ben preciso, anche perché venendo da una formazione di film di genere, dove un poliziesco diventa all’improvviso un horror e poi un sex movie, amo questo miscuglio.

[questionIcon] Si nota un forte citazionismo all’interno del tuo film.

[answerIcon] Sì, ci sono molte citazioni, ma la maggior parte sono nascoste. In molti trovano richiami che non esistono, come per esempio quelle a Tarantino che di suo è già citazionistico, sarebbe una citazione della citazione! Diciamo che ci sono molti rimandi ma bisogna coglierli, parliamo di un lavoro da veri cinefili. Te ne svelo una: il camper visto da fuori è lo stesso, scritte comprese, di quello di Killer Klowns from Outer Space, un film degli anni ’80 dove dei pagliacci alieni venivano a uccidere sulla terra con il loro circo. Le altre sono nascoste e questo aspetto mi diverte molto.

[questionIcon] In Cobra non è c’è una forte presenza del mondo della musica, in che modo hai coinvolto star come Clementino, Max Pezzali, Elisa?

[answerIcon] Nel film la musica fa da contorno a tutta la vicenda e mi piaceva l’idea di coinvolgere artisti con cui ho lavorato negli anni come regista di videoclip. Clementino è per me ormai un fratello, abbiamo girato tanti video insieme. Era indeciso, ma l’ho convinto a interpretare un poliziotto che dice di non amare il rap. Ci siamo divertiti. Lo stesso per Max Pezzali, avevo bisogno di un motociclista rocker, ma in lui è impossibile trovare cattiveria, ho tentato con una cicatrice di renderlo più cattivo. Con Elisa abbiamo collaborato in passato e ho sempre apprezzato le sue interpretazioni nei video, vedevo in lei il potenziale da attrice, l’ho convinta e si è trasformata in Helena Bonham Carter.

[questionIcon] Come hai vissuto l’uscita della tua opera prima su Amazon Prime?

[answerIcon] È stato molto strano, non ho vissuto l’emozione della prima del film, di vederlo in sala o nei festival. Però in questo caso sono contento perché in questo modo può arrivare a più persone, magari costrette a casa e decise a prendersi un’ora di spensieratezza. Per me lo streaming è il futuro del cinema, in Italia si sta perdendo il culto della sala cinematografica. Queste piattaforme digitali aiutano il cinema a crescere, c’è molta richiesta e questo è solo un bene.

[questionIcon] La domanda di rito di questo periodo: secondo te cosa succederà al cinema dopo questa emergenza? Quali sono i tuoi progetti futuri?

[answerIcon] Spero di ricominciare presto e che sia tutto come prima. Di mio amo stare a casa, non mi manca troppo uscire, però avevo già pronta qualche sceneggiatura e spero di poter tornare a lavorarci presto. Di solito si inizia con i cortometraggi e poi i film, io ho fatto il contrario: dopo questo film ho un corto già pronto da lanciare. Si chiama Naik (come la marca di scarpe, ma scritto come lo si pronuncia), ho avuto l’idea guardando le scarpe di Rovazzi che si allacciavano da sole con un’applicazione. È un horror ed è in inglese, dobbiamo solo capire come e quando farlo uscire.

La forza del film è indubbiamente da riconoscere nell’eccentricità dei molti personaggi che si alternano sullo schermo, tra i quali spicca Cobra, interpretato dall’attore Gianluca Di Gennaro, «l’unico pseudo normale, a differenza degli altri che sono molto amplificati, fortemente caratterizzati e volutamente teatrali, al limite del reale, mentre Cobra resta quello più vero», ci ha raccontato l’attore.

[questionIcon] Un ruolo che di certo si differenzia per ambientazione e genere da quelli interpretati in passato. Come lo hai affrontato? 

[answerIcon] Il film è difficilmente collocabile e penso sia giusto non farlo. Entrare nei panni di Cobra non è stato eccessivamente complesso, la sceneggiatura non mi chiedeva di lavorare sull’introspezione del personaggio. Bisognava far emergere la rassegnazione di Cobra che subisce le varie vicende, essendo sulla via del proprio tramonto artistico. Il suo ruolo è quello di traghettatore, nell’introdurre i vari personaggi che scatenano il caos, continuando a subire le situazioni. Durante le riprese Mauro ha pensato di inserire dei tratti in voice over con la tecnica della street poetry, trasformando i monologhi in pensieri ritmati. Mi sono divertito molto, sono stato seguito dal coach Santiago che ha curato anche la colonna sonora. Conosco questo ambiente da dodici anni, so quanto sia faticoso. Conosco il continuo sali e scendi e so quanto i momenti di gloria e di stallo facciano parte della carriera di un artista in generale, che sia un rapper o un attore. Anche il rap è qualcosa che apprezzo e conosco bene, da campano e da padre di un bambino di otto anni che ascolta solo questo genere!

[questionIcon] Parlando invece della tua carriera di attore, cosa ti aspetti per il futuro e cosa ti piacerebbe interpretare?

[answerIcon] Cobra non è è un esperimento, mi ha dato la possibilità di cambiare e soprattutto mettermi alla prova. Trovo molto stimolante, per il cinema in generale, provare cose nuove: anche sbagliando si ha l’opportunità di stupire e divertire. Ciò che mi auguro è proprio questo, cambiare il più possibile senza rimanere intrappolato in un ruolo o un genere. Nel futuro prossimo uscirà Tigers, che ho girato un anno fa per la regia di Ronnie Sandahl, già sceneggiatore di Borg McEnroe, un regista svedese giovanissimo che ha avviato una trilogia sullo sport. Il film racconta il mondo del calcio evitando ogni luogo comune.

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Smart watching https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/tutti-a-casa-con-fabrique/ https://www.fabriqueducinema.it/tuttiacasaconfabrique/tutti-a-casa-con-fabrique/#respond Tue, 17 Mar 2020 10:05:43 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=13645 Ogni giorno sulla pagina Facebook di Fabrique i consigli sui migliori film da vedere sulle piattaforme streaming in questi lunghi giorni di reclusione domestica: Netflix, Amazon Prime, RaiPlay e SkyGo. Per non perdere l’orientamento nelle sterminate libraries online, la nostra guida ai superclassici, alle opere prime, alle new entries, agli horror, ai teen movies che […]

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Ogni giorno sulla pagina Facebook di Fabrique i consigli sui migliori film da vedere sulle piattaforme streaming in questi lunghi giorni di reclusione domestica: Netflix, Amazon Prime, RaiPlay e SkyGo.

Per non perdere l’orientamento nelle sterminate libraries online, la nostra guida ai superclassici, alle opere prime, alle new entries, agli horror, ai teen movies che adesso non avete più alcuna scusa per perdere!

Inoltre, dirette Instagram con interviste live a tanti attori, attrici e registi su cinema, storie di vita, aneddoti, spunti, idee. Giorgio Pasotti, Edoardo Purgatori, Elena Radonicich, Valentina Bellè e tanti altri si raccontano, rigorosamente da casa, a Tommaso Agnese.

Seguiteci tutti i giorni sui social per le news su titoli, orari e appuntamenti, #TuttiaCasaconFabrique.

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Il cinema al tempo dei Big Data https://www.fabriqueducinema.it/focus/il-cinema-al-tempo-dei-big-data/ https://www.fabriqueducinema.it/focus/il-cinema-al-tempo-dei-big-data/#respond Wed, 29 Mar 2017 13:34:20 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=4366 Il cinema approda nel digitale, nei piccoli schermi del computer, dei tablet e degli smartphone e lo fa a condizioni più che vantaggiose, con gli abbonamenti di Netflix e Amazon su tutti. Ora, se ne parla pochissimo, ma da circa due mesi i due colossi della distribuzione video si stanno affrontando su scala mondiale in […]

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Il cinema approda nel digitale, nei piccoli schermi del computer, dei tablet e degli smartphone e lo fa a condizioni più che vantaggiose, con gli abbonamenti di Netflix e Amazon su tutti.

Ora, se ne parla pochissimo, ma da circa due mesi i due colossi della distribuzione video si stanno affrontando su scala mondiale in una sfida a conquistare il mercato audiovisivo. Da questa sfida dipenderà il futuro anche dell’industria del cinema dei prossimi anni.

A fine 2016 Netflix aveva poco meno di 90 milioni di abbonati, Amazon Prime Video 65: sono numeri nei quali quasi nessuno può competere, soprattutto se sommati alla velocità della crescita (Netflix ha cominciato questa strategia pesante nel 2012 partendo dagli USA, e in quattro anni ha coperto il mondo intero). Con criteri diversi, i due colossi dominano la distribuzione online e sono diventati produttori di serie e film ai livelli delle più importanti Major statunitensi. I giornali parlano anche di possibili acquisizioni di Netflix da parte di Alibaba o Apple, per aumentare ancora di più le risorse da investire. Investimenti che Netflix ha già fatto in maniera molto consistente: nel 2016 ha investito nella sola produzione 5 miliardi di dollari, che diventeranno 6 nel 2017. I più importanti broadcaster europei, con in testa BBC (Sky e Amazon a parte), investono meno di 2 miliardi. Da distributore a produttore imbattibile.

Da dove nasce la vera, reale forza di Netflix e Amazon rispetto a qualsiasi altro distributore/produttore di cinema? Nello stesso punto di forza di Facebook e Google nei servizi web: l’analisi dei Big Data.

Ogni volta che accendiamo un computer, c’è una regola fondamentale che andrebbe insegnata nelle scuole: SE USUFRUISCI DI UN SERVIZIO GRATUITAMENTE, VUOL DIRE CHE IL PRODOTTO SEI TU. Netflix e ancora di più Amazon, come Google e Facebook hanno accesso a una quantità industriale di dati di ogni persona che usa quel determinato servizio. Questi dati vengono analizzati unicamente per la promozione di prodotti che possono interessare al singolo utente e al fine quindi di vendere inserzioni pubblicitarie.

L’analisi viene condotta con strumenti specifici, che studiano ed estrapolano profili perfetti di utente e destinatario finale di una determinata operazione di marketing. Netflix non ne fa un segreto e rende pubblica anche la sua metodologia di analisi. Eccone un assaggio:

“Netflix ha analizzato i dati di visualizzazione di oltre 86 milioni di iscritti in più di 190 paesi nel periodo compreso tra gennaio 2016 e ottobre 2016. La ricerca ha esaminato i cambiamenti negli schemi di visione rispetto ai film e alle serie TV. In questa ricerca, Netflix ha notato che gli abbonati sono passati da una serie (guardando tutte le stagioni a disposizione) all’altra, il 59% delle volte hanno preso almeno una pausa di un giorno con un gap medio di 2,5 giorni. Durante questa pausa, il 61% degli abbonati ha guardato programmi standalone (documentari, film o stand-up special) prima di cominciare a guardare la serie successiva. In totale, il 36% di tutti gli abbonati Netflix ha dimostrato questo comportamento. Gli utenti, per essere inclusi in questa ricerca, non dovevano necessariamente aver completato una serie in un determinato periodo di tempo. Per individuare gli abbonamenti di film e serie, Netflix ha analizzato più di 100 serie TV per identificare quali film venivano associati più frequentemente in ogni mercato. Gli abbonamenti di film non equivalgono ai numeri dell’audience”.

 Anche da questo breve estratto, è facile comprendere che i Big Data fanno sapere tutto di noi. La sfida quindi, tra l’utente e il mercato, è sempre più impari: da una parte c’è l’individuo, isolato, che non sa cosa ha di fronte e dall’altra vi è un’entità che si connette con miliardi di altre piattaforme e che sa tutto di lui. Probabilmente queste piattaforme riescono a conoscere i nostri gusti meglio addirittura di noi stessi. L’utente che vuole quindi vedersi un film o una serie, fornisce, oltre al pagamento per il suo abbonamento, i suoi personali, riservati data. Tale utente quindi è a sua volta produttore e distributore dei propri dati personali sui quali guadagnano miliardi di soldi solo pochissime aziende (i soliti Facebook, Google e Amazon).

È facile quindi capire che gli abbonamenti apparentemente iperconvenienti di Netflix (dagli 8 ai 12 euro), nascondono in realtà un secondo e più significativo costo, perché noi stiamo già pagando con i nostri dati, usi, costumi e consumi personali.

L’utente di qualsiasi servizio online fornisce tutti i suoi dati navigando su internet, con le sue ricerche su Google, le sue amicizie e i suoi like su Facebook, le sue foto ed i luoghi su Instagram, scegliendo film o serie su Netflix e ordinando prodotti su Amazon. Questi dati, chiamati appunto Big Data, proprio perché sono talmente tanti che servono dei sistemi molto sofisticati per analizzarli, sono il prodotto che viene venduto da questo tipo di società.

Dove andrà a finire il cinema in tutto questo? È una bella domanda e provo a dare una risposta agganciandomi anche a un problema tutto italiano: la premessa è che da noi Netflix non ha avuto un grande successo e si ritiene che il motivo debba essere collegato sia alla scarsa copertura della fibra sul territorio nazionale, sia al fatto che ancora troppe poche persone rispetto al resto del mondo fanno pagamenti con carte di credito sul web.

Ma sempre l’Italia ci offre una chiave di lettura su quella che sarà la qualità dei film nel mondo legata a Netflix: in Italia, le uniche due case di distribuzione, in pratica, sono le due televisioni RAI e Mediaset. I film si fanno quindi con i soldi delle due televisioni e ovviamente questi investitori, più che alla sala, sono interessati alla prima serata in televisione. Il risultato è che molti film, più che a film, somigliano a fiction.

Con l’avanzare di Netflix e di Amazon, l’interesse si sposterà invece sempre più su film che facciano comodo a loro (secondo le loro analisi dei nostri dati) guardando, più che alla sala cinematografica, al web e a tutti i prodotti a esso collegati. Netflix e Amazon capiranno, con le loro analisi, quali saranno i prodotti audiovisivi che avranno più visualizzazioni così da abbinarci la pubblicità più giusta per quel tipo di utente. Ci saranno sempre più serie e sempre meno film, ma di certo il cinema non scomparirà mai: diventerà un ambiente un po’ più di nicchia, come il teatro, ma non scomparirà mai.

Il grande nodo della questione, difficilissimo da sciogliere, rimane il problema del prezzo del servizio del cinema: Netflix costa, per la precisione dai 7,99 a 11,99 euro al mese e dà modo di essere visto da più schermi contemporaneamente, comodamente da casa, da ogni singolo membro della famiglia fino a un massimo di 4 persone; se le stesse 4 persone andassero al cinema, nel weekend ovviamente, quando sono liberi ed a patto che tutti i 4 si mettano d’accordo per vedere lo stesso film, il costo per vedere tale film, per la famiglia è di: € 8,00 x 4 (costo del biglietto) + € 2,80 + € 2,20 + € 2,20 + € 2,20 (costo del parcheggio con tariffa presa da Piazza Cavour a Roma) + minimo € 10,00 tra patatine, popcorn e Coca Cola = € 51,40 (senza prendere in considerazione un eventuale hamburger dopo il film..).

I due costi sono enormemente diversi, con un rapporto prezzo/comfort nettamente a favore di Netflix, ma con la differenza che, lasciatemelo dire, vedere un film al cinema ha un’atmosfera di sacralità che il computer non avrà mai.

L’unico punto in comune che hanno sia il costo dell’abbonamento di Netflix, sia il biglietto del cinema è che ambedue le entrate non costituiscono il guadagno reale né di Netflix né dell’esercente di cinema: il primo guadagna sulle pubblicità, il secondo sui popcorn e le bibite.

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La regina del salotto è smart https://www.fabriqueducinema.it/serie/recensioni-tv-serie-tv/la-regina-del-salotto-e-smart/ https://www.fabriqueducinema.it/serie/recensioni-tv-serie-tv/la-regina-del-salotto-e-smart/#respond Tue, 07 Jul 2015 15:21:59 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=1693 Lo scorso aprile, in un altrimenti anonimo martedì post-pasquale, i media di tutto il mondo salutano un avvenimento atteso da mesi: la tv via cavo americana HBO lancia ufficialmente la propria versione online, sempre a pagamento, ma aperta a tutti i possessori di dispositivi iOS e non solo agli spettatori già abbonati al suo pacchetto […]

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Lo scorso aprile, in un altrimenti anonimo martedì post-pasquale, i media di tutto il mondo salutano un avvenimento atteso da mesi: la tv via cavo americana HBO lancia ufficialmente la propria versione online, sempre a pagamento, ma aperta a tutti i possessori di dispositivi iOS e non solo agli spettatori già abbonati al suo pacchetto di pay-tv.

La destinazione si chiama HBO Now e non è sola nell’universo della rete: altre emittenti americane nel frattempo sono sbarcate sul web con un’offerta cosiddetta standalone, cioè autonoma rispetto a quella veicolata attraverso i canali tradizionali di distribuzione dei programmi tv quali cavo, etere e satellite. Tra queste il potente broadcaster CBS e Sling TV, costola della satellitare Dish, che tra l’altro include contenuti di altri canali proponendosi perciò come aggregatore di programmi tv con costi diversi e offerte diverse ritagliate sulle esigenze dei nuovi utenti della tv online. Quelli che negli USA hanno da tempo battezzato cord cutters e che stanno tagliando il “cordone ombelicale” della cable tv per rivolgersi a nuovi operatori, detti over the top (OTT), capaci di trasmettere direttamente su internet e bypassare con lo streaming i vecchi modelli di business e di comunicazione, abbattendo di conseguenza anche i prezzi proposti al pubblico.

Morale della favola? Dopo un braccio di ferro andato avanti per anni con HBO, i fan di Game of Thrones che non intendevano acquistare l’abbonamento alla pay-tv solo per vedere la loro serie preferita, alla fine hanno vinto e si sono potuti godere legalmente in streaming l’inizio della quinta stagione. Può sembrare assurdo a un pubblico come il nostro, abituato in larga parte ad aspettare i nuovi episodi rigorosamente in versione pirata il giorno dopo la messa in onda dall’altra parte dell’Atlantico, ma nel 2012 gli spettatori USA lanciarono addirittura una petizione sul web, Take My Money, HBO!, per convincere il canale a sganciare la sua app per la tv everywhere dal costoso pacchetto via cavo, permettendo così agli internauti di pagare per vedere con tranquillità la loro serie anziché rivolgersi all’offerta illegale. Il paradosso è che fino allo scorso aprile ciò non è avvenuto, lasciando che il serial balzasse ogni volta in cima alla classifica degli show più piratati sul web.

A convincere HBO a fare il salto verso internet non sono stati perciò i tanto vituperati “scariconi”, che a quanto pare non hanno mai inciso tanto sugli introiti del network da spingerlo ad abbandonare le rendite assicurate dal vecchio modello distributivo: a determinare il cambiamento è stato invece l’incalzare dello streaming legale offerto proprio dagli OTT, i cui nomi sono ormai noti a livello mondiale. Si tratta dei famosi servizi di video on demand come Netflix, che con meno di 10 dollari al mese permettono di accedere a un catalogo con migliaia di titoli tra film e serie tv, tra cui spiccano anche titoli autoprodotti e presenti in esclusiva sulla piattaforma, come il celeberrimo House of Cards. Ma ci sono molti altri servizi di video on demand ad abbonamento (SVOD), come Amazon Prime, che dopo aver contribuito a “smaterializzare” l’home entertainment, restringendo in modo significativo il già sofferente mercato di DVD e Blu-ray, oggi stanno contribuendo a definire anche un nuovo modello di fruizione del prodotto audiovisivo all’interno delle mura domestiche, costringendo all’evoluzione perfino i sonnacchiosi “dinosauri” televisivi.

La nuova tv

Nonostante il trambusto creato dalla rete, pare proprio che la regina del salotto continui a mantenere la corona. Certo, Netflix, Amazon Prime o Hulu sono tutti portali accessibili anche da PC, tablet e smartphone, eppure la tendenza volge al protagonismo dello schermo televisivo, per quanto sempre più connesso e trasformato nel suo utilizzo. Si stima che negli Stati Uniti ci siano 22 milioni di smart tv, quelle dotate cioè di collegamento integrato a Internet più altre funzioni di nuova generazione come comandi vocali, integrazione coi social network, applicazioni e possibilità di essere usate in modo combinato con le altre apparecchiature smart dell’ecosistema domestico. All’ultimo Consumer Electronics Show di Las Vegas, punto di riferimento mondiale dell’elettronica di largo consumo, ha fatto addirittura il proprio debutto il bollino “Netflix Recommended TV”, per contrassegnare le smart tv che offrono la migliore esperienza di visione connessa. Ma non finisce qui, perché molti sono gli spettatori meno aggiornati dal punto di vista tecnologico che non rinunciano a collegare il televisore tramite apposite chiavette o set-top box. Questi player multimediali, che si inseriscono alla presa HDMI del piccolo schermo e vi trasmettono i contenuti via streaming, sono diffusi nel 24% delle case statunitensi e fanno capo ai principali marchi del web. Apple TV e Roku sono stati i pionieri di un settore dove, in poco più di un anno, la lista dei concorrenti si è arricchita di nomi quali Google Chromecast, Amazon Fire TV e Fire TV Stick, Microsoft Wireless Display Adapter e l’Android TV, che sta scaldando i  motori con Nexus Player.

Il dispositivo più popolare per connettere il piccolo schermo in rete, tuttavia, per ora restano le console per videogame. Forti di una diffusione che precede quella del video on demand, i device come Playstation e Xbox stanno assumendo un ruolo fondamentale nella corsa al nuovo modello di tv. Non a caso, tra i nomi che si sentono ripetere più spesso accanto a quello di HBO Now c’è Playstation Vue, servizio di video on demand lanciato da Sony e costruito esattamente sulla falsariga di un vecchio abbonamento televisivo. La sua offerta, rivolta ovviamente ai soli possessori della console, comprende un’ampia varietà di canali al prezzo di 49,99 dollari al mese, contro i 64 dollari necessari per un pacchetto via cavo standard. Un nuovo modello di streaming legale, insomma, basato su costi più alti rispetto a quelli finora praticati dallo SVOD ma con contenuti di tipo “premium” e un’organizzazione per canali molto simile a quella di un’emittente tradizionale.

Questo sarà a grandi linee anche il volto della nuova televisione. Un dispositivo che, almeno per un po’, manterrà la stessa posizione all’interno del nucleo domestico e nella gerarchia mediatica, ma in cui la visione dei programmi avverrà on demand, la competizione tra canali non verterà più sulle frequenze bensì sulla visibilità delle diverse app nei menu principali e la partita si giocherà non più su fasce di pubblico, bensì sul singolo spettatore. Una televisione in cui la user experience conterà quasi quanto il prezzo, portando in primo piano variabili come la facilità di navigazione, la qualità dello streaming, la raffinatezza degli algoritmi che generano i suggerimenti, la possibilità di personalizzare il servizio e l’integrazione con il mobile.

Per quanto legata al salotto e al fisso, la spinta verso la nuova tv si nutre infatti di un modello di consumo audiovisivo che, grazie al proliferare di smartphone e tablet, ormai risulta definitivamente improntato al principio dell’ATAWAD (anytime, anywhere, any device). Il nuovo spettatore potrebbe, ad esempio, cominciare a vedere un film la sera e riprenderlo dal punto in cui l’ha lasciato la mattina dopo, col suo tablet, mentre va a lavoro e viceversa. La formula è semplice: meno ostacoli verranno messi all’esperienza offerta all’utente, più aumenteranno le chance di consumo e quindi il successo delle piattaforme. Ciò include anche la questione delle finestre, vale a dire il lasso di tempo che deve trascorrere tra la distribuzione sui diversi canali di sfruttamento del prodotto film. Una scansione cronologica prima molto rigida, che ha cominciato a perdere terreno già sotto gli strali del noleggio e dell’acquisto di film online piuttosto che su DVD e Blu-ray, e ora più che mai destinata a decisive revisioni. Soprattutto per quelle fasce di prodotto d’autore e di nicchia per cui la distribuzione sul web costituisce una valida alternativa da affiancare a quella in sala.

La domanda a questo punto è, che succederà in Italia, dove la banda larga è in netto ritardo rispetto agli altri paesi europei, e dove i termini EST e VOD (rispettivamente acronimi di electronic sell-trough e video on demand) cominciano solo adesso a ricordare al pubblico il mercato dell’audiovisivo piuttosto che il nome di un vino o di un superalcolico?

(1- continua)

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