Alessandro Grande Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Mon, 01 Nov 2021 09:35:07 +0000 it-IT hourly 1 Regina, un’opera prima “in punta di piedi” https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/regina-unopera-prima-in-punta-di-piedi/ Wed, 02 Jun 2021 11:20:47 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=15605 Classe 1983, Alessandro Grande ha presentato il suo primo lungometraggio, Regina, all’ultimo Torino Film Festival, unico titolo italiano in concorso: il film è finalmente ora in sala, dopo il lungo stop dovuto al lockdown. Regina nasce dal bisogno di elaborare il trauma contemporaneo del conflitto generazionale tra genitori (assenti o privati del loro ruolo) e […]

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Classe 1983, Alessandro Grande ha presentato il suo primo lungometraggio, Regina, all’ultimo Torino Film Festival, unico titolo italiano in concorso: il film è finalmente ora in sala, dopo il lungo stop dovuto al lockdown.

Regina nasce dal bisogno di elaborare il trauma contemporaneo del conflitto generazionale tra genitori (assenti o privati del loro ruolo) e figli (oppressi da un profondo senso di colpa). Per il giovane regista, d’altronde, è proprio a questo che serve il racconto per immagini, a esternare dei sentimenti e delle emozioni che, per trovare la loro massima espressione e libertà, hanno bisogno di spingersi oltre i limiti della carta e della scrittura. Un lavoro, dunque, quello del regista, che Alessandro Grande vede proprio come un’urgenza personale: «È un discorso di sensibilità. Portare avanti un film o un corto richiede uno sforzo di energie tale che devi necessariamente credere in quello che racconti e, per farlo, ciò deve per forza nascere da un bisogno soggettivo di esplorare determinate corde del nostro animo, dei nostri pensieri, del nostro mondo interiore».

Cosa ti ha spinto a scegliere la strada della sceneggiatura e della regia?

Il cinema, prima di intraprendere il percorso universitario, lo percepivo solo come un intrattenimento: qualcosa di affascinante, ma totalmente distante da me. Durante l’università, però, mi ci sono avvicinato in modo più approfondito e ho capito che era ciò che volevo fare nella vita. Così, quasi in punta di piedi, ho realizzato un primo cortometraggio: una rivisitazione de La sequenza del fiore di carta di Pier Paolo Pasolini [episodio del film collettivo Amore e rabbia, 1969 ndr], in chiave contemporanea e totalmente opposta rispetto all’originale, per dimostrare come la tematica fosse talmente universale da mantenere comunque intatta la stessa valenza significativa. Da quel momento, ho incominciato un vero e proprio percorso nel cinema breve, che poi è terminato nel 2018 quando ho vinto il David di Donatello con Bismillah.

Regina è il tuo primo lungometraggio, come sei arrivato all’elaborazione di un’opera più lunga?

Alla base c’era la volontà di intraprendere un ulteriore step nella mia vita professionale e artistica. Con i corti avevo già toccato diversi argomenti, per cui sentivo l’esigenza di raccontare una storia a più ampio respiro. Tutto ciò è avvenuto in maniera abbastanza naturale, per cui non mi sono posto il problema della durata, mi sono invece lasciato andare liberandomi da ogni vincolo di tempo.

Regina film
Una scena di “Regina”.

In Regina è molto interessante il ruolo genitoriale che emerge, dove i padri partono e le madri sono assenti. Cosa puoi dirci a riguardo?

Se l’assenza della figura materna è un aspetto che sto ancora cercando di metabolizzare per ampliarlo in futuro, in Regina emerge soprattutto l’idea di un conflitto generazionale tra un padre e una figlia che si ritrovano, da soli, a dover superare insieme un percorso di crescita. Lui deve diventare uomo e padre, prendendosi le sue responsabilità; lei deve, invece, fare i conti con un peso che è più grande di lei, un enorme senso di colpa. Questi due aspetti, emersi già durante l’ideazione del soggetto, si sono rafforzati quando ho letto Il complesso di Telemaco di Recalcati. Grazie a questo saggio, sia io che lo sceneggiatore Mariano Di Nardo ci siamo maggiormente resi conto di quanto oggi ci sia sempre più bisogno di genitori che si assumano la propria responsabilità e di quanto i figli necessitino, per crescere, di una figura che possa guidarli e indirizzarli per non andare allo sbando.

Fin dall’inizio Regina appare come un’adulta che si prende cura del padre. Cosa puoi dirci rispetto al percorso di crescita di Regina e Luigi?

Ogni personaggio deve avere un carattere e un pensiero, deve essere reale. Abbiamo perciò deciso di costruire questi due personaggi in modo che fosse già da subito chiaro chi sono e come reagiscono. Se Regina non fosse stata caratterizzata da questo suo senso di responsabilità fin dall’inizio, se non fosse stata più matura e sensibile rispetto alla sua età, non avrebbe capito l’importanza di quello che è successo. Non avrebbe provato un enorme senso di colpa dal quale cerca di liberarsi durante tutto il racconto, salvo poi rendersi conto che è più grande di lei. Subentra allora il padre e il suo percorso di redenzione, generato proprio dall’impossibilità di Regina di accettare la realtà. I due personaggi compiono un percorso di crescita complementare.

Parlando più nello specifico della messinscena, ci sono numerose inquadrature che sostano su spazi vuoti, perché questa scelta visiva?

Essendo una regia totalmente al servizio degli attori e fatta di piani sequenza, sostare su degli spazi vuoti serviva per creare delle pause dal portato emotivo, ma anche per permettere allo spettatore di avvicinarsi ai personaggi, facendolo quasi entrare all’interno della scena. È dunque uno stile che ho deciso di sperimentare fin da subito: ero conscio dei rischi, soprattutto a livello di ritmo, ma ero sicuro che raccontandolo in questo modo avrei potuto far affezionare di più lo spettatore alle vicissitudini dei protagonisti.

Come hai costruito sul set il rapporto di complicità tra i due attori, Ginevra Francesconi e Francesco Montanari?

Sono due attori che hanno sposato in pieno il progetto, nonostante le difficoltà derivate dall’utilizzo costante del piano sequenza. Abbiamo fatto molte prove, siamo entrati nella mente dei personaggi: Ginevra ha addirittura preso lezioni di canto e di chitarra con il maestro Bruno Falanga, che poi ha fatto le musiche del film. Anche Francesco è stato bravissimo a spogliarsi di ogni restrizione e a mettersi a nudo per dare vita a un personaggio normale e non caricaturale, assolutamente reale come io desideravo.

 

 

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Bismillah: Alessandro Grande e il mondo salvato dai ragazzini https://www.fabriqueducinema.it/magazine/futures/bismillah-alessandro-grande-e-il-mondo-salvato-dai-ragazzini/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/futures/bismillah-alessandro-grande-e-il-mondo-salvato-dai-ragazzini/#respond Fri, 10 Aug 2018 08:00:11 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=11099 Negli ultimi anni, il cinema italiano, alla ricerca di un nuovo sguardo, ha riflettuto sui rapporti determinatisi dal fenomeno migratorio e dalla contiguità delle diversità culturali, tra processi di integrazione e marginalizzazione, all’interno di un paesaggio in continuo mutamento. Vincitore del Miglior Cortometraggio ai David di Donatello 2018, con Bismillah Alessandro Grande ha deciso di […]

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Negli ultimi anni, il cinema italiano, alla ricerca di un nuovo sguardo, ha riflettuto sui rapporti determinatisi dal fenomeno migratorio e dalla contiguità delle diversità culturali, tra processi di integrazione e marginalizzazione, all’interno di un paesaggio in continuo mutamento. Vincitore del Miglior Cortometraggio ai David di Donatello 2018, con Bismillah Alessandro Grande ha deciso di lasciare fuori campo le immagini che popolano il nostro quotidiano, molto spesso strumentalizzate in chiave politica, concentrandosi invece su una storia intima e privata.

«Più che l’immigrazione, che rimane una cornice, il mio intento era quello di evidenziare l’aspetto umano e sentimentale dei personaggi» spiega il regista, originario di Catanzaro ma ormai trapiantato a Roma, che nella sua carriera decennale ha ottenuto numerosi premi nei festival di tutto il mondo, 78 complessivi, e una nomination ai Nastri d’Argento con il corto precedente Margherita (2013).

Prodotto dal regista insieme alla Indaco Film di Luca Marino, con il supporto di RAI Cinema, Calabria Film Commission e Comune di Catanzaro, Bismillah mette in scena il coraggio e la determinazione di Samira, una bambina tunisina di dieci anni che vive in Italia in clandestinità, con il padre e il fratello diciassettenne, ma anche la sua paura e insicurezza nell’affrontare una situazione drammatica che potrebbe significare l’espulsione dal paese.

Bismillah-backstage

«Nei miei lavori precedenti (In My Prison e Margherita) ho sempre affrontato forti tematiche sociali. L’idea per Bismillah è nata dopo aver letto che nel 2011 l’Italia ha registrato il maggior numero di immigrati tunisini nella sua storia, circa 23 mila persone che scappavano durante la Primavera Araba, la cui metà viveva in clandestinità nel nostro paese» prosegue il regista. Evitando le ipocrisie così come le facili retoriche, il cortometraggio vuole «evidenziare l’aspetto umano e sentimentale dei personaggi, come l’amore di Samira nei confronti del fratello e le grandi responsabilità che la bambina dovrà affrontare». Sfruttando al massimo la forma breve e concentrando la narrazione in pochissimi minuti, Bismillah mette lo spettatore di fronte a una realtà nuda e cruda. La macchina da presa si sofferma sul volto della piccola protagonista, cercando di coglierne le emozioni, i dubbi e i conflitti, e di entrare nel suo animo attraverso una giusta distanza.

Lontana dall’estrosità del virtuosismo e dalla pura ricerca estetica, la regia vive tutta «in funzione del personaggio». Sulla scelta di raccontare questa storia attraverso gli occhi di una bambina il regista precisa: «Mi sembrava giusto che un insegnamento così ottimista e forte potesse venire da una bambina che deve caricarsi sulle spalle un peso più grande di lei, prendendo una decisione che sarebbe spettata a un adulto. Inoltre, credo che la rappresentazione dei caratteri dell’infanzia e dell’adolescenza faccia parte della mia sensibilità».

La giovane protagonista Linda Mresy è stata scelta tra moltissime candidate. «Mi sono subito innamorato degli occhi di Linda, della sua espressività e della sua determinazione. È stata infatti l’unica bambina ad avermi chiesto, durante i provini, consigli sull’interpretazione o su come si pronunciasse correttamente una frase. Questo vuol dire che hai grande voglia di apprendere, di imparare, senza aver paura di confrontarti con una persona più grande di te, come in questo caso il regista. Per una bambina di dieci anni alla primissima esperienza davanti alla macchina da presa è  sinonimo di coraggio, un aspetto che volevo che il personaggio di Samira trasmettesse».

Bismillah

Affrontando un tema universale come quello della fratellanza, il cortometraggio vuole essere un “canto di speranza” come la preghiera che intona Samira, a partire proprio dalla parola “bismillah”, un termine arabo che significa “in nome di Dio”, un brano che cantano i genitori ai bambini prima di andare a dormire, sia come ninna nanna sia per avvicinarli alla fede. «Ho voluto inserire un elemento che fa parte della cultura e dell’intimità dei personaggi, un elemento che potesse rappresentare un loro aspetto profondo e sincero» chiarisce Alessandro Grande.

Dopo aver ricevuto il riconoscimento cinematografico più importante del nostro paese, assegnato dall’Accademia del Cinema Italiano, Bismillah prosegue il proprio cammino nei più importanti festival internazionali. Dopo la première mondiale al prestigioso Toronto International Film Festival ‒ Kids, tra i festival di settore legati ai ragazzi più importanti al mondo insieme al Giffoni, dove è stato inserito nella selezione ufficiale e nel programma Educational, il cortometraggio è tra gli otto finalisti del 35° Bu Film Festival, in programma a Malmö, in Svezia, e nella selezione ufficiale del Busan International Film Festival, in Corea del Sud.

«Inizialmente, come sempre, mi sono dovuto rimboccare le maniche» ricorda il regista «quando si è soli, e si ha davanti un foglio bianco, tutto deve partire da te e allora scrivi. Poi, nel momento in cui hai scritto, devi rimboccarti nuovamente le maniche e cercare di portare avanti quello che hai scritto con tutte le tue forze. Infine, se il prodotto è valido andrà avanti con le proprie gambe». Adesso, dopo aver superato le difficoltà di trovare contributi e finanziamenti, Bismillah spicca il volo oltre i confini nazionali sperando di entrare in corsa per gli Oscar 2019.

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