Alessandro Borghi Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 23 Oct 2024 14:16:26 +0000 it-IT hourly 1 Enrico Borello, ogni volta una pelle nuova https://www.fabriqueducinema.it/magazine/cover/enrico-borello-ogni-volta-una-pelle-nuova/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/cover/enrico-borello-ogni-volta-una-pelle-nuova/#respond Tue, 02 Jul 2024 07:21:40 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19175 Alcuni lo ricordano in Lovely Boy di Francesco Lettieri, altri lo hanno scoperto in Supersex accanto ad Alessandro Borghi, e chi non lo ha visto arrivare se ne accorgerà presto, con il nuovo film di Gabriele Mainetti, stavolta da protagonista.  Mi saluta citando Toro scatenato di Scorsese, una scena in particolare che maneggia come una […]

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Alcuni lo ricordano in Lovely Boy di Francesco Lettieri, altri lo hanno scoperto in Supersex accanto ad Alessandro Borghi, e chi non lo ha visto arrivare se ne accorgerà presto, con il nuovo film di Gabriele Mainetti, stavolta da protagonista.

 Mi saluta citando Toro scatenato di Scorsese, una scena in particolare che maneggia come una bussola: «Robert De Niro rivela l’essenza del suo personaggio ma è completamente al buio. È in prigione, prende a pugni il muro, ripete “Io non sono cattivo”, ma non si vede mai in faccia». Per lui c’entra qualcosa con la forza di un attore che lavora in ombra, senza cercare a ogni costo la luce (in scena, nei ruoli, nella fama). Enrico Borello – una laurea in riabilitazione psichiatrica – ha iniziato a recitare tardi e di nascosto dagli amici di sempre, che avrebbero pensato «o sei un coglione o sei Billy Elliot». Alcuni lo ricordano in Lovely Boy di Francesco Lettieri, altri lo hanno scoperto in Supersex accanto ad Alessandro Borghi, e chi non lo ha visto arrivare se ne accorgerà presto, con il nuovo film di Gabriele Mainetti, stavolta da protagonista. Ha odiato il sistema, sta imparando a gestirlo e la vive come una partita a poker: «Io non bluffo mai, il punto lo dichiaro sempre. Poi la verità si vede in scena, quando siamo tutti sulla stessa barca e parliamo la stessa lingua».

Partiamo dalla fine: Gabriele Mainetti, una storia di kung fu ambientata a Roma, nel cast Ferilli, Zingaretti e Giallini, ma il vero protagonista sarai tu.

Sarò io insieme all’attrice Liu Yaxi. Di kung fu non ne capisco nulla, un film d’azione solo con me sarebbe stato troppo goffo. Per me la romanità è un fattore centrale, e me la sono giocata nella misura in cui Gabriele mi ha inserito nel contesto in cui sono cresciuto. Sono di Santa Croce in Gerusalemme e il film è ambientato a Piazza Vittorio, l’Esquilino è casa mia.

E se ogni attore porta in scena anche un po’ della sua storia, tu cosa ti porti dietro?

Elio Germano ha detto in un’intervista che la cosa migliore che può succedere a un attore è smettere di provare ad essere qualcun altro e imparare ad essere se stesso nel modo più potente possibile. Al momento mi accorgo che c’è una grande voglia di esprimermi e camuffarmi, senza nascondermi, ma cercando di trovare ogni volta una pelle nuova.

È il motivo per cui hai iniziato a fare l’attore?

Un po’ sì. Volevo vivere una vita che nella realtà mi costerebbe delle scelte da cui non si torna indietro. Volevo fare il maggior numero di esperienze possibili, però a rischio zero.

Quindi fino a che punto spingersi?

A volte mi è successo di rischiarmela. Psicologicamente ti puoi frammentare, nel nostro mestiere questo esiste e mi attrae. Per Lovely Boy sono stato quel personaggio dalla mattina alla sera, scrivevo canzoni, le registravo, per me il gioco era su tre livelli: non essere Enrico che interpretava il personaggio del film, ma essere un trapper che faceva un film sulla trap. Poi è stato problematico, ho capito che ci sono degli orari per fare certe cose, che la sera devi recuperare il tuo ritmo. Non sono Heath Ledger che sta facendo Joker, ma è vero che ti vesti dei panni di qualcun altro e certi vestiti te li porti dietro tutta la vita.

Questa è scuola Volonté o scuola Borello?

Macché Volonté! [ride] Queste sono esperienze collezionate. Per me non c’è scuola, maestro o persona che possa insegnarti a recitare. Quando sono entrato alla Volonté mi sono spaccato in quattro e alla fine ho capito che l’unica vera esperienza che si fa in un’accademia di recitazione è quella di misurarsi con l’altro: la lezione più importante, il banco di prova più utile. Ma se si tratta di stare in scena, io provo sempre a ricordarmi: cosa facevi quella volta che volevi essere il più bullo del quartiere? O quando pensavi che saresti diventato un medico psichiatra? Come ti comportavi, come hai cambiato pelle per stare all’interno di un ambiente?

Sei laureato in riabilitazione psichiatrica. Appartiene a un altro Enrico, oppure?

La pelle te la porti sempre dietro. Non credo a quello che dicono i Jedi, che devi disimparare ciò che hai imparato. Quando ho lavorato con le realtà più fragili dell’essere umano ho imparato a conoscere l’altro, anche negli aspetti che definiamo folli. L’esperienza di una psicosi è inafferrabile e incomprensibile, puoi simularla con delle sostanze stupefacenti ma non saprai mai che cazzo è.

Ti piace o ti spaventa l’idea di interpretare una psicosi che eri pronto a curare?

A un ruolo del genere mi affezionerei tanto, ma mi spaventa tutto. Io amo i ruoli morbidi, se potessi starei solo comodo. Quando interpreto personaggi violenti campo male, non sto bene, perché la violenza lavora dentro di te. Fare uno psicotico significherebbe fare i conti con un mare di violenza percepita.

Quando ti sei iscritto al primo corso di teatro lo hai nascosto a tutti: perché ti imbarazzava?

A ventidue anni era difficile raccontarlo agli amici. Sono sempre stato immerso nella Roma di tutti i giorni, che non è borgata ma è anche quella di chi lavora nelle officine o nei ristoranti, la cocaina la sera, le birre, e se dici che vuoi fare l’attore o sei un coglione oppure sei Billy Elliot. Quando ho iniziato a lavorare sul corpo e muovermi in modo strano, pensavo: “Mo’ sbuca l’amico mio Paoletto dalla finestra, me guarda e me fa: Enriche’, ma che cazzo stai a fa’?”

Hai raccontato che su Supersex Borghi ha sbloccato qualcosa dentro di te.

Ho sempre visto Borghi come una figura lontana, mitologica. Poi Alessandro mi ha sbloccato un processo umano: da lui mi sono sentito accolto, e sentirsi accolti in quelle situazioni non è una cosa da poco. Saper mettere l’altro a proprio agio richiede una grande forza, e questo mi ha fatto capire che davanti non avevo solo un grande attore che faceva parte del sistema.

Verso il sistema sei diffidente?

L’ho giudicato per tantissimo tempo. Poi Alessandro ha  rimosso una reticenza verso una realtà che per me era solo tossica. Quando “slivelli” ti accorgi che contano gli esseri umani e incontrarne uno del genere, nonostante il potere che il sistema gli riconosce, non è scontato. Mi capita di incontrarne altri e pensare: “Meno male che te vedo oggi e poi non te vedo più”.

Invece Gabriele Mainetti ti ha fatto capire cosa significa trasformare delle sensazioni in azioni. Vale a dire?

Che il mestiere dell’attore non è necessariamente sentire l’esperienza, ma a volte agirla, quando ti capita di non sentirla. Poter raggiungere la sensazione attraverso l’azione. Con Gabriele i take erano tanti, le scene difficili, le giornate lunghe. Lì se ti affidi solo alla sensazione, il corpo ti saluta. Deve subentrare l’aspetto atletico dell’attore.

L’attore che non è solo atleta delle emozioni.

Esatto. Con Gabriele ho trovato chiavi che aprono nuovi elementi del mio corpo. Ecco perché dico che la recitazione non te la può insegnare nessuno: arriva un momento in cui devi sopravvivere a quella scena. Ed è nell’urgenza che impari sempre qualcosa, il tuo corpo ti regala delle verità su se stesso e allora dici: “Questo farà parte del mio repertorio. Oggi ho capito che non so soltanto camminare, posso anche correre”.

Te lo sei meritato questo ruolo?

Me lo so’ faticato. Ho lottato, tanto. Per me è come una partita a poker, e io il punto ce l’ho. Non bluffo, non prometto cose che non ho in mano, il punto lo dichiaro sempre. Poi vediamo chi viene a vedere.

Credi che nella tua carriera stia per succedere qualcosa di grosso?

Io voglio crescere. Non faccio questo mestiere per la fama, anche perché, una volta ottenuta, che farei? A me piace il gioco, fare le foto per questa nostra cover, esprimermi. E quando la rivedrò tra qualche anno penserò: “Quante cazzate ho detto”.

Fotografa @robertakrasnig assistente @_davide.valente_

Stylist @flavialiberatori_ assistente @carlottagallina_

Hair @adriare

Makeup @idlmakeup

Abiti: @paulsmithdesign, calvinklein, @fendi @seafarer_since1900

 

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Supersex: anche il porno è stato bambino https://www.fabriqueducinema.it/serie/supersex-anche-il-porno-e-stato-bambino/ https://www.fabriqueducinema.it/serie/supersex-anche-il-porno-e-stato-bambino/#respond Thu, 07 Mar 2024 13:20:49 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18990 Era una delle serie italiane Netflix più attese dell’anno Supersex, disponibile online dal 6 marzo. Sette episodi ispirati alla vita di Rocco Siffredi, icona del porno interpretata da Alessandro Borghi. L’attore romano ne carpisce l’anima rimodulando sul suo volto lo sguardo intenso e la risata larga un po’ obliqua del pornostar, lati noti di Siffredi. […]

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Era una delle serie italiane Netflix più attese dell’anno Supersex, disponibile online dal 6 marzo. Sette episodi ispirati alla vita di Rocco Siffredi, icona del porno interpretata da Alessandro Borghi. L’attore romano ne carpisce l’anima rimodulando sul suo volto lo sguardo intenso e la risata larga un po’ obliqua del pornostar, lati noti di Siffredi. Ma la novità sono le inquietudini e le fragilità di un uomo che è stato prima di tutto bambino e ragazzo, sempre attratto dalle donne fin quasi all’ossessione, ma perseguitato dai suoi demoni del passato.

Si parte da una sua crisi del 2004 per dei flashback che ci mostrano l’infanzia e poi l’adolescenza di un ragazzo abruzzese cresciuto in una casa popolare di Ortona assieme a una famiglia numerosa, ma destinato a diventare un divo. Prima tappa del suo cammino Parigi, ospitato dal fratello maggiore dal volto rude di Adriano Giannini. «L’amore è difficile, Rocco. Tu hai quegli occhi buoni e parli dell’amore, ma manco sai cos’è». Gli dirà la moglie del fratello impersonata da Jasmine Trinca. Con loro si costruisce il principale nucleo di relazioni e contrasti. Il giovanissimo Rocco guarda come esempio il fratellone e custodisce fin da bambino il suo giornalino erotico Supersex come il Don Abbondio di Manzoni teneva al suo breviario. Tutt’intorno si svilupperanno il legame con il cugino manager e lucignolo con il volto di Enrico Borrello, la professionalità del pornoattore con il suo primo mentore, il pornostar francese Gabriel Pontello, con il produttore italiano Riccardo Schicchi e con l’icona nonché amica dispensatrice di piccole saggezze erotiche Moana Pozzi, interpretata con molta verità nel suo fascino un po’ flemmatico da Gaia Messerklinger. La relazione più combattuta e tenera è invece con la madre impersonata da Tania Garribba, mentre una vera sorpresa toccante sarà l’amicizia importante con l’attore Franco Caracciolo, caratterista di tante commedie sexy degli anni ottanta, che ha il volto dell’ottimo Mario Pirrello.

Tra le elucubrazioni di un eroe oscuro, il delirio del sesso attraverso i labirinti del desiderio e gli affetti che hanno circondato il protagonista durante il suo cammino, la sceneggiatura di Francesca Manieri tesse insieme un reticolo complesso di contrasti emotivi, introspezioni, conflitti interni e tra i personaggi che va ben oltre la pornografia. La Manieri ha scritto film, tra gli altri, per Laura Bispuri, Valentina Pedicini ed Emanuele Crialese. Il suo tocco gentile si sente in moltissimi passaggi, assumendosi come lei stessa ha dichiarato «il rischio e il privilegio di raccontare il maschile partendo da un maschio che del maschile occidentale è diventato senza dubbio emblema». Ed è questa forse la vera arma vincente di Supersex. Poi c’è ovviamente l’epopea del porno. Lo chiama potere, superpotere, il Rocco diretto da Matteo Rovere, Francesco Carrozzini e Francesca Mazzoleni. «Il cazzo è un pensiero. Non ero pronto per il soft ma non ero nemmeno pronto per l’hard». O anche, all’apice del successo: «Era così forte quello che vendevamo, che la Chiesa, lo Stato, le guardie, erano tutti contro di noi». Dirà la voce off di Rocco/Borghi.

SupersexNon mancano scene forti, ma questa serie rimane ben allineata tra i prodotti Netflix. In Italia è molto difficile parlare di sesso, ma su una piattaforma ramificata in 190 paesi la questione cambia. E Groenlandia espandendosi in varie direzioni dell’audiovisivo ha aggiunto alle sue produzioni un tassello piuttosto sostanzioso. Non propone in realtà molte idee di macchina da presa Supersex, ma compensa con l’ottima direzione e ricerca attoriale. Presenta una patinatura un po’ sognante sull’infanzia e la giovinezza, dove il ruolo di Rocco è coperto da un energico Saul Nanni, mentre la fotografia sul Rocco in crisi degli anni 2000 assume più profondità visiva. Inoltre racconta a modo suo un po’ di Abruzzo attraverso il dialetto tutto sommato ben proposto, pur con il paese natale del protagonista, Ortona, che viene inquadrato soltanto nelle panoramiche aeree, venendo ricostruito sui set del Trullo e di Ostia, quartieri di Roma.

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Delta: un cast perfetto, una sceneggiatura alla deriva https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/delta-un-cast-perfetto-una-sceneggiatura-alla-deriva/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/delta-un-cast-perfetto-una-sceneggiatura-alla-deriva/#respond Thu, 23 Mar 2023 08:37:27 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18296 Il delta del Po è un posto speciale per girare film, ce lo aveva già dimostrato Claudio Cupellini col bellissimo La terra dei figli, tratto da uno dei capolavori di Gipi. È un luogo geografico che diventa immediatamente luogo dell’anima. È un mondo diverso e quasi alieno, tutto è grigio-fango, il cielo, la terra e […]

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Il delta del Po è un posto speciale per girare film, ce lo aveva già dimostrato Claudio Cupellini col bellissimo La terra dei figli, tratto da uno dei capolavori di Gipi. È un luogo geografico che diventa immediatamente luogo dell’anima. È un mondo diverso e quasi alieno, tutto è grigio-fango, il cielo, la terra e l’acqua, e grigie sono anche le persone, anfibie. La terra dei figli era un film di fantascienza ambientato in un mondo post apocalittico, Delta di Michele Vannucci è una storia di questo mondo, fatta di ambientalisti, pescatori e bracconieri, fratelli e sorelle.

Osso (Luigi Lo Cascio) e Nani (Greta Esposito), fratello e sorella, sono dei volontari ambientalisti che, perlustrando il delta, in mezzo a plastiche e frigoriferi abbandonati, ritrovano una quantità di pesci morti in modo anomalo. Osso, che è un attivista vecchio stampo, se la prende subito con i “padroni”, con le grandi fabbriche che avrebbero ricominciato a sversare sostanze tossiche nel delta, ma il pescatore Zanin (Denis Fasolo) li avverte che no, gli sversamenti non c’entrano: è colpa dei bracconieri, che pescano con l’elettricità. Ed effettivamente i bracconieri ci sono, ce li ha portati Elia (Alessandro Borghi), un ragazzo cresciuto da quelle parti, ma scappato presto verso la Romania, accolto dalla famiglia che si è scelto, quella appunto dei bracconieri.

C’è un problema fondamentale in Delta, che si intravede all’inizio della seconda parte e diventa macroscopico alla fine. Gli sceneggiatori Massimo Gaudioso, Fabio Natale, Anita Otto e Michele Vannucci hanno creato una miriade di tensioni e hanno deciso di chiuderle tutte, costringendosi a delle forzature. C’è il conflitto generazionale tra fratello e sorella, quello di principio tra ecologisti/pescatori e bracconieri, ci sono le tensioni d’amore tra Osso e Anna (Emilia Scarpati Fanetti) e tra Elia e Anna, c’è il dissidio di un uomo buono, Osso, che vede avvicinarsi la possibilità di fare del male, c’è per Elia il ritorno alla terra natia da cui è scappato, e c’è anche la questione morale del doppiogiochista Causo (Sergio Romano).

Delta
Luigi Lo Cascio.

Capita che la vita assomigli al cinema, e, ancor più spesso, che il cinema voglia assomigliare alla vita. Il problema sopraggiunge quando si vuole fare un film che, nelle sue pieghe, rimandi alla vita di tutti i giorni, in cui a farla da padrone è la durezza dell’esistenza, con tutte le complicazioni del caso – relazionali, esistenziali, lavorative, ambientali – ma per sciogliere i nodi, poi, si ricorra a dei “luoghi comuni” (inteso proprio come situazioni ricorrenti) del cinema. E così, dopo aver messo le carte sul tavolo e aver lasciato intravedere una serie di direzioni possibili, Delta, come le famose caramelle di Harry Potter, le imbocca tutte più una, con l’ovvia conseguenza di perdersi. Iniziano allora ad accadere una serie di assurdità, succede che le autorità si mettano sulle tracce di un uomo con tutti i mezzi a disposizione, elicotteri e quant’altro, ma che a trovarlo siano solo i protagonisti (per ben due volte!), capita che un SPOILER! pluriomicida ricercato che si rifugia nel bosco si metta a urlare a squarciagola di notte, e, infine, capita che, braccato dalla polizia fino a una sponda del fiume, il fuggitivo ferito ed esausto trovi, pronto a raccoglierlo dall’altra parte, il suo nuovo nemico e non la polizia che appunto lo stava braccando e che sembra essersene dimenticata.

Insomma smettiamo presto di credere a Delta, ed è un peccato, perché oltre a un cast perfetto (menzione speciale per Greta Esposito, oltre a un Borghi fenomenale, ma questa non è una notizia) e una fotografia giustissima, Delta può contare su una colonna sonora di Teho Teardo meravigliosa come al solito. Vannucci dirige in modo ambizioso, è evidente che voglia fare un film di respiro internazionale, ma tutte queste componenti, di rilievo se prese singolarmente, non riescono a tenere in piedi un film che implode a causa della sceneggiatura, fino a un finale che assomiglia molto a una deriva.

 

 

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Il primo re, piccolo kolossal e grande film https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/il-primo-re-piccolo-kolossal-e-grande-film/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/nuove-uscite/il-primo-re-piccolo-kolossal-e-grande-film/#respond Fri, 25 Jan 2019 09:39:39 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=12493 A luci spente, ci fa chinare subito il capo su una roccia porosa Matteo Rovere, permettendoci di ascoltare giusto la litania di Alessio Lapice, Romolo, che con mani sporche e cariche di fede prega la “triplice Dea”. Le dita sfiorano quella pietra tabernacolo supplicando un futuro, una sicurezza che per il momento soltanto il fratello […]

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A luci spente, ci fa chinare subito il capo su una roccia porosa Matteo Rovere, permettendoci di ascoltare giusto la litania di Alessio Lapice, Romolo, che con mani sporche e cariche di fede prega la “triplice Dea”. Le dita sfiorano quella pietra tabernacolo supplicando un futuro, una sicurezza che per il momento soltanto il fratello Remo, Alessandro Borghi, può impegnarsi a procacciare insieme a lui. Gli occhi blu dell’ex Stefano Cucchi costituiscono l’unica pennellata di colore brillante in un mondo plumbeo, boschivo e inospitale. Siamo nel periodo che culminerà con il cruciale 753 a.C., anno della fondazione di Roma. Siamo davanti al nuovo film prodotto da Groenlandia di Rovere e Sydney Sibilia con RAI Cinema, Il primo re. Siamo dentro un’avventura leggendaria di rara potenza cinematografica che cattura i sensi dello spettatore trascinandoci in un mondo antico totalmente italiano mai portato sul grande schermo con tale sensorialità e fedeltà al passato.

Nelle sale con più di 300 copie dal 31 gennaio, l’ultima fatica del regista di Veloce come il vento maneggia la leggenda di Romolo e Remo stringendone i tiranti storiografici grazie a una ricostruzione archeologica e antropologica basata sulle usanze religiose, le capanne di fango e paglia e le armi in ferro che determinavano la vita e la morte delle tribù protolatine. A questo si unisce il latino arcaico, unica lingua parlata nel film, che adeguatamente sottotitolata ci scaraventa in un mondo sconosciuto e impervio, seppur nell’Italia centrale, nei dintorni della capitale che quasi 2800 anni fa non esisteva. Al suo posto foreste impenetrabili, cave di roccia, paludi, radure e soprattutto il Tevere. Fiume ricurvo e ostile con le sue correnti che segna spesso le scenografie come una meridiana, o la lancetta di una bussola amara e contorta per questi uomini preistorici che vivono allo stato barbarico. Come location sono stati scelti dintorni della capitale come il Parco Regionale dei Monti Simbruini, il Parco dei Monti Lucretili, la Riserva dell’Aniene, quelle di Decima Malafede e del Circeo con il lago dei Monaci e la selva di Circe, e infine la riserva di Tor Caldara ad Anzio.

il primo rePer ottenere l’idioma latino arcaico un gruppo di semiologi dell’Università La Sapienza di Roma ha messo insieme le vestigia di una lingua in parte perduta completandone le basi mancanti con antichi ceppi indoeuropei. Ne viene fuori un’atmosfera orale molto vicina agli Apocalypto e The Passion di Mel Gibson. Rovere insudicia i suoi attori. Li abbrutisce ma li lega indissolubilmente in una fratellanza fortissima resa ancora più reale da questa lingua inedita. Romolo e Remo si completano, sono indispensabili l’uno all’altro, si identificano come uno solo. Ma sarà la storia a separarli, come noto. Non dev’esserlo il come, visto che Rovere, firmando la sceneggiatura insieme a Filippo Gravino e Francesca Manieri, tesse una narrazione che intreccia sapientemente storia, legenda e drammatizzazione cinematografica senza però concedersi licenze spettacolarizzanti. Anzi, spiazza l’essenzialità di questo film pur venendo attraversato da una moltitudine di elementi e letture possibili.

il primo reSi mescolano sacro e profano quando il fuoco tenuto acceso dalla vestale, Tania Garribba, viene protetto come prezioso talismano, auspicio di sopravvivenza ancor prima che d’abbondanza. Si toccano i temi della fede e della profanazione, il confine tra regno e dittatura, la ribellione e la guerra per la sopravvivenza, la conquista e la fuga. Il personaggio di Remo esplode con il suo carisma sugli schiavi, suoi primi alleati e sudditi guerrieri, ma il fratello Romolo ha dalla sua parte un potere più spirituale, profondo, che agisce sui cuori anche senza la necessità della spada. In questo Primo re, forse più vicino ai nostri tempi di quanto non sembri, si parla già di una Roma e di un’Italia prosaiche, da una parte rappresentate da Remo, offuscate dal potere del possesso, guerresche e per estensione filosofica imperiali, monarchiche e di coercizione ottenuta con la forza e la paura, quindi protofasciste. Dall’altra invece le prime tracce della nostra civiltà, intorno alla figura di Romolo, risultano pre-cardinalizie, religiose, legate al cerimoniale e alla coesione sociale per la fede intorno alle vergini detentrici del fuoco sacro della dea Vesta. Si nutrono di libertà e fierezza e collaboratività tra villaggi.

La produzione ha compiuto un miracolo nel mettere su un piccolo kolossal interamente italiano, inedito nel suo narrare, gonfio di effetti speciali sempre credibili e mai invasivi, scene di combattimento corpo a corpo esemplari e finalmente credibilissime, di cui il cinema italiano spesso risulta carente. Se la regia di Veloce come il vento trovava la sua dirompenza del montaggio convulso e straordinariamente dinamico intorno all’automobile in corsa, nel Primo re tutto ruota intorno a corpi quasi nudi, sporchi nella loro essenza e raccontati un po’ come il DiCaprio in The Revenant di Iñárritu. Non più macchine ma uomini, non più asfalto nero ma natura inconoscibile, la nuova dimensione selvaggiamente bucolica di Rovere non risparmia al pubblico scene spietate, però mai asservite a una vuota spettacolarità d’intrattenimento. Tutti gli attori, dai protagonisti sino a ogni singola comparsa, forgiati ognuno nella propria parte, risultano in stato di grazia. In due ore tonde il film sgomenta come pochi italiani hanno fatto negli ultimi anni.

il primo rePredire il futuro come fa lei non ci compete, ma da una prima visione s’intuiscono chiaramente le potenzialità di un lavoro che potrebbe andare molto lontano. Ma il qui e ora di questo piccolo grande passo per il cinema italiano adesso si trova nelle mani della 01 Distribution. Oltre all’attenzione del pubblico nostrano, fondamentale primo passo per l’esportazione, sarà la giusta comunicazione di un film europeo che guarda alla pari alcuni colossi hollywoodiani che lo precedono a far entrare il film nei giusti circuiti internazionali di sala per farlo apprezzare da un pubblico trasversale di cinephile, appassionati di storia e spettatori di action.

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Venezia 75: Sulla mia pelle dalla Mostra del Cinema a Netflix https://www.fabriqueducinema.it/festival/venezia-75-sulla-mia-pelle-dal-festival-del-cinema-a-netflix/ Wed, 29 Aug 2018 12:02:26 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=11183 Quando Stefano Cucchi era al CEIS per disintossicarsi i suoi compagni lo chiamavano Pisellino. Perché era piccolo di statura ma col carattere roccioso e la battuta sempre pronta. Boxe nelle mani e impicci nella vita, geometra col viziaccio delle sostanze, aveva provato a uscirne fuori più d’una volta. Per lui si fa piccolo e smagrito […]

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Quando Stefano Cucchi era al CEIS per disintossicarsi i suoi compagni lo chiamavano Pisellino. Perché era piccolo di statura ma col carattere roccioso e la battuta sempre pronta. Boxe nelle mani e impicci nella vita, geometra col viziaccio delle sostanze, aveva provato a uscirne fuori più d’una volta. Per lui si fa piccolo e smagrito Alessandro Borghi (qui la nostra intervista), attore-meraviglia emerso con Non essere cattivo che stavolta trasforma anche la voce, plasmandola sull’ultima telefonata di Stefano. Una registrazione affaticata e inquieta da una di quelle notti dove iniziò la sua fine.

È stato scelto come film d’apertura Sulla mia pelle (qui il trailer ufficiale), in Concorso per la sezione Orizzonti. Quest’anno la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia comincia con un film dolente e impegnato nel mostrare agli occhi del mondo lo scandaloso caso di un ragazzo arrestato per spaccio, pesantemente picchiato senza motivo dalle forze dell’ordine, infine malcurato e malnutrito in ospedale fino alla dipartita. L’ultima settimana raccontata dal film di Alessio Cremonini respira forte come il suo protagonista e ha soffiato sull’internazionale Venezia un vento gelido di malasanità e malagiustizia italiane. Strutturato rispettando seccamente la cronologia dei fatti, si arma di una didascalicità necessaria e severa di luoghi e orari per disegnare la picchiata di un ragazzo capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato.

 

sulla mia pelleBorghi ricostruisce la figura di Cucchi con l’innocenza colpevole negli occhi di un uomo che pur sbagliando viene punito ben oltre le sue colpe. L’attore accompagna la cronaca cinematografica prodotta da Lucky Red con rigore e fedeltà stupefacenti. Il respiro che viene meno e i dolori fisici sempre più insopportabili si vedono nel loro crescendo in ogni singolo fotogramma. Max Tortora e Jasmine Trinca interpretano padre e sorella della vittima. Ogni ruolo viene ripreso con appassionata attenzione alla realtà. Anche ogni numero della tragedia.

Dramma civile dei nostri giorni, poteva essere traslato in cinema come un legal thriller sull’infinita lotta di Ilaria Cucchi in tribunale, invece mantiene il pudore di una storia essenziale per farci conoscere il ragazzo, la vittima e la sua famiglia tenuta allo scuro di tutto. Il fatto è divenuto simbolo suo malgrado, e questo film, con tutta la sua scrittura penetrante e la sua regia piena di idee sobrie ed efficacissime sarà senz’altro uno dei titoli più applauditi della Mostra. Ci sono momenti toccanti come certi interrogativi sulla fiducia nella legge del padre Giovanni, o di riflessioni e consigli offerti a Stefano da un compagno di cella albanese.

Sicuramente Borghi riceverà molti premi e riconoscimenti anche per questo nuovo lavoro, ancor più coscienzioso e impegnativo di quello per Caligari. Dal 12 settembre Sulla mia pelle sarà sotto gli occhi del mondo perché non uscirà soltanto nei cinema italiani, ma anche sui milioni di dispositivi abbonati a Netflix. Resta curioso come proprio la distribuzione del Presidente dei Distributori Anica, la Lucky Red di Andrea Occhipinti, non abbia concesso alla sala neanche un paio di settimane esclusive prima di far lanciare il film in scala globale su tutti gli schermi possibili, compresi i cinema. Competizione alla pari?

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Alessio Lapice, da Gomorra all’antica Roma https://www.fabriqueducinema.it/magazine/cover/alessio-lapice-gomorra-allantica-roma/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/cover/alessio-lapice-gomorra-allantica-roma/#respond Thu, 28 Dec 2017 09:10:36 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=9788 Romano d’adozione, napoletano nel sangue, nel cuore e (soprattutto) nello spirito, Alessio Lapice racconta una carriera intrapresa quasi per caso e arrivata sui più importanti set italiani, con un obiettivo costante: ricercare nuove sfide. Ma sempre con ironia. Alessio, 26 anni, originario di Castellammare di Stabia, conquista immediatamente con la sua spontanea loquacità, che dà […]

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Romano d’adozione, napoletano nel sangue, nel cuore e (soprattutto) nello spirito, Alessio Lapice racconta una carriera intrapresa quasi per caso e arrivata sui più importanti set italiani, con un obiettivo costante: ricercare nuove sfide. Ma sempre con ironia.

Alessio, 26 anni, originario di Castellammare di Stabia, conquista immediatamente con la sua spontanea loquacità, che dà l’impressione di conoscerlo da sempre. E ci confessa:«Da piccolo non avevo idea che sarei diventato attore, ero uno “scugnizzo” incostante e impulsivo. Nella mia famiglia nessuno fa parte del mondo deI cinema e il mio avvicinamento è stato un crescendo, una goccia che scivola su una parete… (riflette) Wow! Che metafora mi è uscita: mi raccomando, scrivila!».

A proposito, toglimi una curiosità: davvero volevi fare il meccanico?

E questa dove l’hai sentita? Con chi mi è sfuggito? (ride) No, non proprio. Durante l’adolescenza cambiavo passione ogni giorno. Certamente adoro i motori, mi hanno sempre affascinato quegli ingranaggi in movimento… Sarei diventato anche pilota di Formula1!

Come in Veloce come il vento! Non a caso sei il protagonista, accanto ad Alessandro Borghi, del prossimo film di Matteo Rovere…

Veloce come il vento è una bomba! Mi son fatto raccontare da Matteo tutte le peripezie affrontate per girare le scene in auto e, combinazione, ho visto il film appena tre giorni prima di essere contattato per il provino de Il primo re, sua ultima creazione sulla leggenda di Romolo e Remo. Per inciso, è stato il primo provino della mia vita in latino! Anzi, in proto-latino: un linguaggio ancora più arcaico di quello che si impara al liceo! L’incontro con il regista è stato spontaneo e naturale, lui ripone totale fiducia nei suoi attori e questo ispira tranquillità. Ha le idee chiare, è deciso, e questo mi ha stimolato a cercare maggiore libertà nell’interpretazione.

Prima che nei panni di Romolo, però, ti vedremo in Nato a Casal di Principe di Bruno Oliviero.

Si tratta della storia vera di Amedeo Letizia, aspirante attore che, negli anni Ottanta, fa ritorno nella sua città natale perché il fratello minore è misteriosamente scomparso. Il lavoro svolto con Bruno è stato insolito. Mi spiego: di solito, un attore studia e crea un personaggio per poi dargli vita nell’interpretazione. Noi, al contrario, ci siamo concentrati su quello che di me potesse essere utile al ruolo. In breve, Alessio diventava Amedeo e viceversa: sono stati i mesi più belli e più difficili della mia carriera. Ho attraversato momenti di grande confusione e conosciuto me stesso ancora più a fondo. È uno degli aspetti di questo mestiere che amo di più: ogni lavoro su un nuovo ruolo accende nuove sfumature e offre l’occasione di provare sensazioni in crescendo. Per raccontare questa storia servivano dinamiche vicine alla realtà e infatti ho creato un legame molto forte con gli attori di questo film, eravamo una famiglia a tutti gli effetti.

Come cambia il tuo approccio a una storia vera rispetto a una di finzione?

Nel caso di Nato a Casal di Principe è come se una famiglia ti affidasse le chiavi della sua casa. Sono stato attentissimo ai dettagli e al rispetto verso questa vicenda importante. Volevo realizzare qualcosa di solido, rendere giustizia ai fatti. Affrontare una storia vera fa paura, ma è anche uno stimolo in più.

Parlando di fiction, tra le altre, hai recitato in Gomorra 2, ambientata nella tua città.

Una premessa è d’obbligo: senza esagerare, devo il 70% delle mie occasioni lavorative alla mia città. Gomorra è ambientata nei suoi quartieri più difficili e sono stato un grande fan della prima serie. Girare le scene d’azione è stato stupendo, ma ci tengo a precisare che descrive una realtà romanzata di Napoli. È vero, esistono quartieri disagiati che andrebbero alleggeriti dalle difficoltà, ma questo non è compito della TV, che ritaglia uno spaccato e lo trasforma in spettacolo. Io la vivo così, come intrattenimento. Gomorra non ha aumentato le problematiche di Napoli, è una gangster story di ottimo livello e come tale va presa. Dubito che chi la segue voglia approfondire le problematiche sociali di Napoli.

Sei davvero molto legato a Napoli…

La amo follemente e questa voglia di cambiamento che si respira nel cinema italiano mi riempie di fiducia perché desidero continuare a lavorare in Italia. Per quanto riguarda la mia “napoletanità”, chiaramente recitando in latino per Rovere non la percepisco granché. Tuttavia, a livello storico, sento una responsabilità fortissima nei confronti dei romani e dell’Italia. Perché la storia di Romolo e Remo, per assurdo, è quella d’italia… Quindi anche di Napoli!

Vedo che hai studiato!

Altroché! A scuola non ero un secchione, anzi, ma lo sono diventato facendo l’attore. Sono talmente meticoloso che, quando sono su un set, sparisco dalla circolazione: famiglia e amici mi danno per disperso!

Che farai finite le riprese di Il primo re?

Sinceramente? Ho una fame assurda, sto seguendo una dieta ferrea sul set di Rovere e la notte mi capita di sognare la spesa che farò una volta libero dal set.

Scherzi a parte, desideravo tentare la strada della comicità e ne ho avuto la possibilità interpretando il protagonista di Tafanos, horror comedy girata in lingua inglese, diretta da Riccardo Paoletti e prodotta da Sky Cinema. L’approccio a un registro diverso è stato divertente, ma continuo a preferire il dramma, che si tratti di cinema o di fiction. Di fronte alla macchina da presa, quando parte l’azione, penso solo a vivere la scena.

Hai altri progetti, che non riveli per scaramanzia?

Scaramanzia? Ti racconto questa: in uno dei primi articoli in cui si parlava di me, l’autore mi ha citato come Alessio Lapide! Lapide! Mia mamma mi ha telefonato preoccupata: «Facciamoci il segno della croce, mica porterà male?». Ad oggi posso dire di no…

Foto: Roberta Krasnig Stylist: Stefania Sciortino Trucco: Ilaria di Lauro Hair: Adriano Cocciarelli @Harumi Assistenti foto: Luca Caputo e Giulia Terenzi Total look: Diesel Black Gold

 

 

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Scatti d’autore: Roberta Krasnig per Fabrique https://www.fabriqueducinema.it/focus/scatti-dautore-roberta-krasnig-fabrique/ https://www.fabriqueducinema.it/focus/scatti-dautore-roberta-krasnig-fabrique/#respond Mon, 02 Oct 2017 12:17:02 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=9419 Durante lo scorso Festival di Venezia Fabrique ha aperto una Casa dove si sono incontrati autori, attori, filmmakers per parlare di cinema, cultura e moda. La fotografa Roberta Krasnig (Vogue, F magazine, Vanity Fair) era lì e ha coinvolto in un gioco di stile gli attori e attrici italiani, quelli già celebri e quelli in ascesa, complice […]

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Durante lo scorso Festival di Venezia Fabrique ha aperto una Casa dove si sono incontrati autori, attori, filmmakers per parlare di cinema, cultura e moda.

La fotografa Roberta Krasnig (Vogue, F magazine, Vanity Fair) era lì e ha coinvolto in un gioco di stile gli attori e attrici italiani, quelli già celebri e quelli in ascesa, complice la stylist Stefania Sciortino e Manila Grace, che ha supportato il progetto, dando vita a un portfolio unico.

Nella Fotogallery trovate tutte le immagini delle celebrities che si sono divertite davanti all’obiettivo di Roberta Krasnig, da Alessandro Borghi a Greta Scarano, da Anna Foglietta ad Alessio Lapice, tutti i protagonisti del cinema italiano di oggi e di domani.

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Premio Fabrique 2016: i vincitori https://www.fabriqueducinema.it/festival/italia/premio-fabrique-2016-i-vincitori/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/italia/premio-fabrique-2016-i-vincitori/#respond Mon, 12 Dec 2016 09:18:51 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=3842 C’era tantissima gente, amanti del cinema e celebrities, il 7 dicembre a Spazio 900 ad applaudire gli attori e i registi candidati per il Premio Fabrique du Cinéma alla creatività e alla sperimentazione, arrivato alla seconda edizione. In una serata piena di musica, con i concerti dei Joe Victor e di Wrongonyou, di proiezioni di cortometraggi (Oggi […]

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C’era tantissima gente, amanti del cinema e celebrities, il 7 dicembre a Spazio 900 ad applaudire gli attori e i registi candidati per il Premio Fabrique du Cinéma alla creatività e alla sperimentazione, arrivato alla seconda edizione.

In una serata piena di musica, con i concerti dei Joe Victor e di Wrongonyou, di proiezioni di cortometraggi (Oggi offro io di Valerio Groppa e Alessandro Tresi, Uomo in mare di Emanuele Palamara, Ratzinger è tornato di Valerio Vestoso) e di arte, con le mostre di Martina Mammola, Philippe Antonello, Arianna Lanzuisi e Adamo Pinto, i conduttori Martina Catuzzi e Dario Ceruti hanno accompagnato, in stile hollywoodiano, la cerimonia.

Questi i vincitori:

MINE – Miglior Opera innovativa e sperimentale
LA RAGAZZA DEL MONDO – Miglior Opera prima
MATILDA DE ANGELIS – Attrice rivelazione
ALESSANDRO SPERDUTI – Attore rivelazione
TEHO TEARDO Miglior Tema Musicale per il film La verità sta in cielo

La giuria era composta da Alessandro Borghi, Valentina Lodovini, Piero Messina, Ivan Carlei e Federico Zampaglione. Appuntamento al prossimo anno!

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Italiani a Venezia https://www.fabriqueducinema.it/festival/italia/italiani-a-venezia/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/italia/italiani-a-venezia/#respond Sun, 02 Aug 2015 11:02:15 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=1786 A capitanare le fila degli italiani a venezia è Piero Messina, il giovane autore che con la sua opera prima L’attesa è già in concorso al festival del cinema più ambito in Italia. Piero Messina è stato intervistato sul primo numero della nostra rivista proprio all’interno del dossier sui festival del cinema. Altro giovanissimo nella […]

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A capitanare le fila degli italiani a venezia è Piero Messina, il giovane autore che con la sua opera prima L’attesa è già in concorso al festival del cinema più ambito in Italia. Piero Messina è stato intervistato sul primo numero della nostra rivista proprio all’interno del dossier sui festival del cinema.

Altro giovanissimo nella sezione Orizzonti è Alberto Caviglia con Pecore in erba.

In concorso ufficiale insieme a Messina, Marco Bellocchio (leggi intervista su Fabrique 2) con Sangue del mio sangue e il più “estero” di tutti ma sempre italiano, Luca Guadagnino, che dai fasti internazionali di Io sono l’amore si presenta con la sua attrice feticcio Tilda Swinton (già in due suoi film precedenti) nel film A bigger splash.

E al suo secondo film di finzione, Per amore vostro, Beppe Gaudino: un film prodotto da una fucina di talenti napoletani tra cui I Figli del Bronx (Produttori di Là-Bas, recensito su Fabrique 0), con Valeria Golino e Adriano Giannini.

Il documentario Italiano è presente con Renato De Maria, Franco Maresco e Gianfranco Pannone.

Film evento fuori concorso l’opera postuma di Claudio Caligari Non essere cattivo, pellicola molto interessante per Fabrique perché vede per protagonisti quattro giovani attori che a nostro avviso segneranno il futuro del cinema italiano:  Luca MarinelliAlessandro BorghiSilvia DAmico, Roberta Mattei. Il film è stato coprodotto da Kimera Film (Fabrique 3), Valerio Mastandrea e Andrea Leone.

Nelle sezioni parallele: in Settimana della critica Antonio Capuano con Bagnoli Jungle  (evento di chiusura) e Adriano Valerio con il suo Banat, il viaggio. In Giornate degli autori una parte rilevante è dedicata all’Italia con Andrea Segre I sogni del lago salato, Carlo Lavagna Arianna, ancora Ascanio Celestini con Viva la Sposa e Vincenzo  Marra con Prima luce.

Evento Speciale di questa sezione AA.VV. – MILANO 2015 il film documentario diretto a sei mani da Elio, Walter Veltroni, Riccardo Bolle, Cristiana Capotondi, Giorgio Diritti e Silvio Soldini, 6 episodi che ritraggono Milano e la sua evoluzione nel 2015, prodotto dalla Lumière del produttore “illuminato” Lionello Cerri.

Il festival di Venezia ha la bandiera italiana che sventola forte, c’è finalmente una rinascita per il nostro cinema?

Per noi di Fabrique sicuramente sì.

See you soon in Venice 2015.

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