Uno degli eventi più attesi dell’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma è stato la proiezione dei primi due episodi di Romulus, la serie scritta, diretta e prodotta da Matteo Rovere che dal 6 novembre andrà in onda su Sky Atlantic nella doppia versione in lingua originale (protolatino) e doppiata in italiano.
Come Il primo re, il film dello scorso anno diretto sempre da Rovere, anche Romulus è stato girato nella lingua ipoteticamente parlata dagli abitanti del Latium Vetus nel corso dell’VIII secolo a.C.: un accorgimento che aiuta lo spettatore a entrare in una società completamente diversa dalla Roma imperiale che in parecchi casi il cinema ci ha dato occasione di rivivere. Altra caratteristica che accomuna i due progetti è la scelta di girare in luoghi impervi e in situazioni difficili per gli attori che hanno dovuto affrontare un’esperienza decisamente spiazzante sia a livello fisico che psicologico. Così come hanno fatto, ad esempio, Alessandro Borghi e Alessio Lapice, rispettivamente Romolo e Remo nel Primo re, anche Andrea Arcangeli e Giovanni Buselli, che nella serie interpretano Yenos ed Enitos, i nipoti di Amulio (Sergio Romano), altro personaggio carismatico assente nel film, oppure i giovani Luperci, protagonisti importanti della serie, si sono allenati per affrontare sanguinosi combattimenti.
Se nel lungometraggio a essere al centro era la mitologica vicenda dei due fratelli costretta a risolversi in poco più di due ore, in Romulus c’è più spazio per un’indagine più approfondita dei singoli personaggi con i loro caratteri, i loro desideri e i loro sentimenti che Rovere, insieme a Filippo Gravino e Guido Iuculano, cercano di rendere universali. L’amore della vestale Lilia, interpretata da Marianna Fontana, è quello di una donna che va incontro alla morte quando vede che ha perso il proprio amore, diventando una sorta di arcaica Giulietta. La bramosia di potere di Amulio, resa ancora più viva dalla moglie Gala (Ivana Lotito), è il sentimento che muove tutta la serie, stravolgendo le vite dei due ragazzi e anche quelle degli altri giovani Luperci, tra cui il giovane Wiros (Francesco di Napoli), mandati a compiere il loro rito di iniziazione.
La nuova idea di Matteo Rovere, sostenuta da Groenlandia e Cattleya, promette molto bene. È capace di mantenere la sacralità del mito, con le figure di Numitore, Amulio e Rea Silvia (Vanessa Scalera) e gli antichi riti dei popoli italici, modernizzando al contempo un periodo oscuro, poco conosciuto e dominato dalla triade sangue-divinità-natura, grazie anche all’innesto di dinamiche psicologiche più attuali. Un prodotto originale che, come un ponte, unisce passato e presente.