E se le persone fossero costituite da un insieme di fogli impilati, di quei fogli di quando si stava alle elementari e si doveva ritagliare seguendo lungo la linea, lungo i bordi, senza sbagliare, perché poi non si poteva rimediare allo strappo? Se tutti gli altri riuscissero a seguire bene quelle istruzioni, mentre noi invece vagassimo senza sapere cosa vogliamo nella vita? Ragionandoci, ci rendiamo conto che alla fine «è dal tempo degli antichi Greci che l’uomo se domanda se è meglio conoscere l’ignoto col rischio che sia un accollo o rimane’ nell’ignoranza, dove però nessuno te caga il cazzo».
Questa è la premessa della nuova miniserie disponibile dal 17 novembre su Netflix: Strappare lungo i bordi, ideata da Michele Rech, alias Zerocalcare (qui, a pag 10, una nostra intervista agli esordi). Prodotta da Movimenti Production in collaborazione con BAO Publishing, questa miniserie italiana (dalla forte risonanza internazionale) nasce dopo il successo raggiunto dall’artista romano durante i lockdown con i suoi corti trasmessi a Propaganda Live Rebibbia Quarantine. Così, collaborando nuovamente con Valerio Mastandrea (come in La profezia dell’armadillo, presentato nella sezione Orizzonti alla 75esima Mostra internazionale d’arte cinematografica del cinema di Venezia), Zerocalcare ha incorporato lo stile delle pillole (ogni puntata dura tra i 15 e i 20 minuti) in una struttura più compatta, costruendo un mosaico ricco e complesso al di fuori delle Mura romane.
Se infatti le opere di Michele Rech hanno da sempre avuto come sfondo la cultura capitolina (basti anche pensare al suo minicorto su Instagram, sul perché il carciofo fosse il male, o al suo accento che non nasconde le flessioni del romanaccio), i temi che decide di trattare e il modo in cui lo fa non possono non ritrovare un riscontro emotivo su un pubblico molto più ampio, com’è ancora più evidente nella miniserie.
In un racconto costellato di flashback e aneddoti che spaziano dalla sua infanzia, a lezioni di storia e filosofia, fino ai problemi di tutti i giorni, Zerocalcare tratteggia un percorso fatto di pochissime certezze, ma che proprio grazie a questo lascia un forte impatto nello spettatore. Lo stile è sempre quello, il suo marchio di fabbrica, la sua capacità di costruire un pensiero acuto e profondo, per poi catarticamente ironizzare su ciò che ha appena detto, decostruendolo con citazioni di ogni tipo.
Seguendo la caratteristica voce a macchinetta del fumettista, in ogni puntata lo spettatore viene catapultato in un pastiche di eventi, ricordi e considerazioni, che, oltre a non marcare nettamente la distinzione tra personale e universale (come lo spezzone sulla spinosa questione del “visualizzato” o dell’”online” su Whatsapp), si incastrano, come dei tasselli, con elementi della cultura mondiale.
Si parte da citazioni più implicite, come le strade di Roma di notte che ricordano La notte stellata di Van Gogh (non a caso la scena successiva, ambientata in un museo con L’urlo di Munch, illustra in décadrage proprio il dipinto del pittore olandese), o Le follie dell’Imperatore, quando Zerocalcare manda avanti e indietro l’episodio, per spiegare le parole del suo amico Secco al pubblico, o Tim Burton, di cui riprende lo stile anche visivo nell’illustrare il suo primo fumetto; per arrivare a quelle più esplicite, dalla Seconda Guerra Mondiale, all’abisso di Nietzsche (citazione mainstream sui social), ad Achille e la tartaruga che, tra black humor e dura consapevolezza, servono ad abbozzare il discorso della linea tratteggiata che dà nome e sostanza all’intera miniserie.
Strappare lungo i bordi è questo che dona: tantissimi momenti di distrazione e battute (come la legge del maschio contemporaneo, che con il femminismo non può più neanche lamentarsi del Vietnam a cui è costretto quando deve andare in un bagno pubblico), a cui seguono repentine strette al cuore. E tu, spettatore, vieni immerso in una tempesta, in un turbinio di ironia e consapevolezza in cui sembra che il fumettista romano stia parlando proprio di te e inizi a osservare meglio quel foglio strappato male, cadendo nel nero.
Numerosi sono i “neri” presenti nelle pillole di questa miniserie. Neri metaforici e neri visivi. In uno di questi ultimi echeggiano le parole della canzone Non abbiam bisogno di parole di Ron: «Non abbiam bisogno di parole per spiegare quello che è nascosto in fondo al nostro cuore». E insomma, alla fine, se bisogna descrivere l’esperienza (perché parlare di visione è troppo limitato per un prodotto del genere) di Strappare lungo i bordi basterebbe ciò, basterebbe sapere che è quel qualcosa che ci permette di spiegare quell’area buia dentro di noi. La miniserie di Zerocalcare è sicuramente qualcosa da non perdere, capace di farti ridere, riflettere e, infine, farti sentire meno solo e incasinato, dandoti risposte senza accennarne nemmeno una.