Dopo il successo del suo cortometraggio Nuraghes s’Arena, con protagonista il rapper Salmo, Mauro Aragoni, uno dei più promettenti registi esordienti del panorama contemporaneo del cinema italiano, è ora sul set della serie That dirty black bag, prodotta da Palomar in collaborazione con Bron, di cui può Aragoni può rivelare ancora molto poco: si solo che è stata definita “un western, con un pizzico di horror e mistero, e con elementi di steampunk”.
Dopo il fortunato Nuraghes, Mauro Aragoni è al lavoro su una serie internazionale
In esclusiva per Fabrique, ripartendo dal successo di Nuraghes (2017), da poco più di un mese disponibile anche in streaming, lo abbiamo intervistato spaziando tra cinema e serie, tra nuovi e vecchi progetti, tra personalissime fonti di ispirazione e progetti futuri.
Nuraghes, il tuo apprezzatissimo corto, che si potrebbe definire un fantasy proto-sardo, è da poco più di un mese disponibile sulle piattaforme on demand; perché secondo te è ancora attuale?
Molti fan lo riguardano spesso proponendomi diversi significati e interpretazioni, o facendomi parecchie domande su cose che mi chiedo persino io. Una volta lessi il commento di un ragazzo che spiegava il finale ad altri spettatori e ne rimasi affascinato anche io. Credo sia perché è un’opera onirica, che apre diverse strade. Questo rende Nuraghes suggestivo e curioso, e forse per questo resta ancora adesso attuale.
Da dove scaturisce un’idea così insolita?
Per quanto sia una storia inventata, il corto è ispirato da una civiltà realmente esistita della quale purtroppo non si sa molto; questa civiltà è così misteriosa e visivamente potente che ho optato per girare il film nel modo più oscuro. La trama è molto semplice, volutamente banale direi, ma proprio per questo regala spazio alla regia e alle atmosfere creando l’equilibrio tra storia e visione.
Parliamo ora del progetto che ti sta tenendo impegnato in questi mesi: That dirty black bag. Anzitutto, qual è per te la differenza fondamentale tra lavorare a un cortometraggio e lavorare a una serie?
Le serie sono colossi. È molto difficile fare una serie, ci sono infiniti particolari, incastri che complicano le cose, più di quanto accade a un film o un lungometraggio. Spesso basta spostare una pedina, un secondo, un dettaglio per far crollare interamente una linea che dura delle ore. Le serie sono delicate, complesse e lunghe. Sul set devi dare il meglio di te in meno tempo cercando di ottenere la stessa qualità dei film. È una sfida, ma anche un elemento cruciale dell’evoluzione del racconto seriale; tant’è che se oggi le serie non avessero la qualità del cinema e fossero rimaste alle fiction di vecchio stampo, personalmente non avrei scelto di lavorarci.
Quali sono i nomi che ti hanno di più influenzato per la realizzazione di Nuraghes e che continuano a essere una guida anche per la nuova serie?
Ho sempre amato Carpenter, Kubrick e Tarantino. Nuraghes prende anche molta ispirazione dal manga Berserk e da Valhalla Rising di Refn: tutti nomi e titoli che mi guidano anche nella realizzazione di That dirty black bag, oltre ovviamente alla trilogia di Leone.
Come procede questa tua esperienza internazionale a capo di un grossa produzione? E quali sono i progetti futuri?
Procede bene anche se è molto impegnativa. Sto vivendo un periodo molto particolare della mia vita, lavorare in una serie internazionale con i grandi del cinema non è solo un’occasione, ma anche il sogno di una vita e un grande onore. Riguardo al futuro, ho tanti film nel cassetto, tante idee tra cui Nuraghes 2, ma diciamo che per ora non vedo l’ora di avere tra le mani il cofanetto blu ray di That dirty black bag.