“Vissi d’arte, vissi d’amore”, cantava la Tosca di Puccini. E la serialità per il web si reinventa attraverso due progetti che li raccontano entrambi nell’era dell’online e della crisi.
Roma. Giulia (Elena Radonicich), laureata con lode in sociologia, lavora come barista in un pub. In seguito a un rapporto occasionale, rimane incinta di Michele (Valerio Di Benedetto), sfaticato trentenne che vive con i suoi e cambia lavori come fossero calzini. In quella che sembra una potenziale catastrofe, Giulia trova inaspettatamente l’opportunità, presso l’Università Cattolica, per avviare il suo progetto di tesi… a patto che dimostri di avere una famiglia. Michele, messo alla porta dai genitori, accetta di trasferirsi dalla ragazza e fingere di esserne il marito.
L’amore ai tempi del precariato, diretta da Michele Bertini Malgarini, è la webserie in cinque puntate prodotta dalla The Young Films di Carla Altieri e Roberto de Paulis. Giuseppe Mele, organizzatore generale, racconta che tutto è cominciato da un laboratorio per nuovi progetti web organizzato dal Premio Solinas: «Il soggetto di Michele ha partecipato e, con l’aiuto della Young Films, nel 2014 è stato girato il teaser, ottenendo poi un piccolo finanziamento dalla RAI. Si tratta di un tipo di commedia inedito per il panorama italiano, che si ispira a pellicole americane di successo come SuXbad o le commedie romantiche con Cameron Diaz. La novità sta nel raccontare l’amore come un posto precario, un progetto che ha un inizio e una fine. A mischiare le carte in tavola, inoltre, c’è il ritorno di Elisa (Daniela Virgilio), nuovo capo di Michele nonché ex fiamma mai davvero dimenticata».
Una narrazione serrata, un montaggio dinamico e insolite trovate registiche sono i punti di forza di una storia che conquisterà la curiosità del pubblico: «La vicenda di Giulia e Michele piacerà per la sua ironia e freschezza. Il segreto della sua riuscita è la solida e costruttiva collaborazione del regista con tutti i reparti. Dalla realizzazione del teaser si è creato un gruppo di lavoro molto coeso fatto di giovani tra i 20 e i 28 anni. C’erano pochi fondi, compensati però da una grandissima creatività, e tanti attori da coordinare. Il lavoro di squadra ha aiutato a rientrare nel budget e a dare energia al set. La troupe aveva mezzi minimi, eppure, grazie al talento, ha dato alla serie un’impronta personale e uno stile. Il merito va, tra gli altri, alla costumista Ginevra De Carolis, al direttore della fotografia Fabio Paolucci, alla scenografa Serena Agneti, alla make up artist Alice Gentili. Chi ha realizzato L’amore ai tempi del precariato si è formato nel mondo del cinema e ha saputo offrire una nuova chiave di lettura, dalle inquadrature al montaggio».
Perché scegliere di investire in un format come la webserie? «Il nome della casa di produzione la dice lunga: crede nei progetti giovani e cerca nomi emergenti. La webserie è il futuro: pensiamo al lavoro di piattaforme come Netflix o HBO, che danno spazio a cinema e serie in maniera innovativa. Con internet si arriva dappertutto e in Italia dobbiamo tenerci al passo, puntando a una comunicazione veloce e pratica».
Max Giovagnoli, coordinatore dell’Area Cinema e New Media dello IED di Roma, ha condiviso con noi i dettagli su Fabbrica, docufiction dedicata al mondo degli artisti teatrali, di cui è direttore creativo: «È la prima webserie dello IED. Il nome viene dallo Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma, riservato a venti artisti provenienti da tutto il mondo. La tentazione di mettere una macchina da presa nei loro occhi è stata, da parte nostra, fortissima. In più, in passato ho fatto parte del Corpo di Ballo del Teatro e conoscevo bene la magia nascosta dietro le quinte. Da lì è nata la proposta alla Fondazione, che ha risposto con entusiasmo. Lo stesso mostrato dal neodirettore di IED Roma, Nerina Di Nunzio, e dai tredici studenti di Video Design, Sound Design e Media Design che hanno seguito i protagonisti tutti i giorni, per sei mesi di riprese, diventati sette episodi da sei minuti ciascuno. L’opera lirica è universale, come il web, e Fabbrica è stata preceduta da sei mesi di “pillole” distribuite online sui canali social del Teatro. È stata una palestra importante per conoscere il suo pubblico futuro, molto più giovane di quanto pensassimo. Nonostante non ci sia nulla di sceneggiato (a parte la voce narrante in testa e coda), la serie racconta momenti e questioni determinanti per qualunque artista: l’uso del tempo, il valore del sacrificio, la fortuna di possedere un talento e allo stesso tempo il timore di sprecarlo o di fallire… Si passa da un’emozione all’altra senza filtri. Come in ogni docuserie, non avevamo “attori”, ma artisti riservati e bisognosi di grande concentrazione. In altri momenti, abbiamo girato in magazzini giganteschi, con decine di operai intenti a segare, piallare e a costruire scenografie che avrebbero dovuto essere usate sul palco la sera stessa. Il piano di produzione ha seguito, allo stesso tempo, le masterclass degli studenti e gli spettacoli in cartellone, le trasferte e le produzioni… tutto in tempo reale. Non solo gli artisti di Fabbrica sono diventati ottimi professionisti, in questi mesi, ma anche i giovani diplomati che hanno lavorato alla serie. Sono loro il piccolo miracolo di questa produzione e hanno dato al progetto tutto l’amore possibile».
La serialità worldwide è un focolaio inesauribile di storie, linguaggi e progetti. Come collocare Fabbrica al suo interno? «La serie sperimenta inquadrature antitelevisive e colleziona dettagli, raccontando la magia del palcoscenico in maniera completamente nuova. Il web ha dato a Fabbrica tutta la libertà di cui aveva bisogno e riceverà in cambio un prodotto unico che, grazie all’Opera di Roma, girerà tra i teatri più importanti d’Europa. E magari darà vita ad altri progetti di questo tipo: confrontarsi con modi originali di raccontare l’arte è una delle opportunità più ispiranti per un narratore d’immagini».