Serie TV Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 23 Oct 2024 14:09:55 +0000 it-IT hourly 1 Supersex: anche il porno è stato bambino https://www.fabriqueducinema.it/serie/supersex-anche-il-porno-e-stato-bambino/ https://www.fabriqueducinema.it/serie/supersex-anche-il-porno-e-stato-bambino/#respond Thu, 07 Mar 2024 13:20:49 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18990 Era una delle serie italiane Netflix più attese dell’anno Supersex, disponibile online dal 6 marzo. Sette episodi ispirati alla vita di Rocco Siffredi, icona del porno interpretata da Alessandro Borghi. L’attore romano ne carpisce l’anima rimodulando sul suo volto lo sguardo intenso e la risata larga un po’ obliqua del pornostar, lati noti di Siffredi. […]

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Era una delle serie italiane Netflix più attese dell’anno Supersex, disponibile online dal 6 marzo. Sette episodi ispirati alla vita di Rocco Siffredi, icona del porno interpretata da Alessandro Borghi. L’attore romano ne carpisce l’anima rimodulando sul suo volto lo sguardo intenso e la risata larga un po’ obliqua del pornostar, lati noti di Siffredi. Ma la novità sono le inquietudini e le fragilità di un uomo che è stato prima di tutto bambino e ragazzo, sempre attratto dalle donne fin quasi all’ossessione, ma perseguitato dai suoi demoni del passato.

Si parte da una sua crisi del 2004 per dei flashback che ci mostrano l’infanzia e poi l’adolescenza di un ragazzo abruzzese cresciuto in una casa popolare di Ortona assieme a una famiglia numerosa, ma destinato a diventare un divo. Prima tappa del suo cammino Parigi, ospitato dal fratello maggiore dal volto rude di Adriano Giannini. «L’amore è difficile, Rocco. Tu hai quegli occhi buoni e parli dell’amore, ma manco sai cos’è». Gli dirà la moglie del fratello impersonata da Jasmine Trinca. Con loro si costruisce il principale nucleo di relazioni e contrasti. Il giovanissimo Rocco guarda come esempio il fratellone e custodisce fin da bambino il suo giornalino erotico Supersex come il Don Abbondio di Manzoni teneva al suo breviario. Tutt’intorno si svilupperanno il legame con il cugino manager e lucignolo con il volto di Enrico Borrello, la professionalità del pornoattore con il suo primo mentore, il pornostar francese Gabriel Pontello, con il produttore italiano Riccardo Schicchi e con l’icona nonché amica dispensatrice di piccole saggezze erotiche Moana Pozzi, interpretata con molta verità nel suo fascino un po’ flemmatico da Gaia Messerklinger. La relazione più combattuta e tenera è invece con la madre impersonata da Tania Garribba, mentre una vera sorpresa toccante sarà l’amicizia importante con l’attore Franco Caracciolo, caratterista di tante commedie sexy degli anni ottanta, che ha il volto dell’ottimo Mario Pirrello.

Tra le elucubrazioni di un eroe oscuro, il delirio del sesso attraverso i labirinti del desiderio e gli affetti che hanno circondato il protagonista durante il suo cammino, la sceneggiatura di Francesca Manieri tesse insieme un reticolo complesso di contrasti emotivi, introspezioni, conflitti interni e tra i personaggi che va ben oltre la pornografia. La Manieri ha scritto film, tra gli altri, per Laura Bispuri, Valentina Pedicini ed Emanuele Crialese. Il suo tocco gentile si sente in moltissimi passaggi, assumendosi come lei stessa ha dichiarato «il rischio e il privilegio di raccontare il maschile partendo da un maschio che del maschile occidentale è diventato senza dubbio emblema». Ed è questa forse la vera arma vincente di Supersex. Poi c’è ovviamente l’epopea del porno. Lo chiama potere, superpotere, il Rocco diretto da Matteo Rovere, Francesco Carrozzini e Francesca Mazzoleni. «Il cazzo è un pensiero. Non ero pronto per il soft ma non ero nemmeno pronto per l’hard». O anche, all’apice del successo: «Era così forte quello che vendevamo, che la Chiesa, lo Stato, le guardie, erano tutti contro di noi». Dirà la voce off di Rocco/Borghi.

SupersexNon mancano scene forti, ma questa serie rimane ben allineata tra i prodotti Netflix. In Italia è molto difficile parlare di sesso, ma su una piattaforma ramificata in 190 paesi la questione cambia. E Groenlandia espandendosi in varie direzioni dell’audiovisivo ha aggiunto alle sue produzioni un tassello piuttosto sostanzioso. Non propone in realtà molte idee di macchina da presa Supersex, ma compensa con l’ottima direzione e ricerca attoriale. Presenta una patinatura un po’ sognante sull’infanzia e la giovinezza, dove il ruolo di Rocco è coperto da un energico Saul Nanni, mentre la fotografia sul Rocco in crisi degli anni 2000 assume più profondità visiva. Inoltre racconta a modo suo un po’ di Abruzzo attraverso il dialetto tutto sommato ben proposto, pur con il paese natale del protagonista, Ortona, che viene inquadrato soltanto nelle panoramiche aeree, venendo ricostruito sui set del Trullo e di Ostia, quartieri di Roma.

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Questo mondo non mi renderà cattivo. Ma ci regala Zerocalcare https://www.fabriqueducinema.it/serie/questo-mondo-non-mi-rendera-cattivo-ma-ci-regala-zerocalcare/ https://www.fabriqueducinema.it/serie/questo-mondo-non-mi-rendera-cattivo-ma-ci-regala-zerocalcare/#respond Thu, 08 Jun 2023 14:10:28 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18500 S’intitola Questo mondo non mi renderà cattivo la nuova serie Netflix creata da Zerocalcare. Perché dovrebbe renderci cattivi questo mondo? Perché le ingiustizie si nascondono dietro ogni vicissitudine del nostro eroe Zero. Lui oramai è uno scrittore affermato anche se non ha mai dimenticato le sue origini, lottando o resistendo ogni giorno per i propri […]

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S’intitola Questo mondo non mi renderà cattivo la nuova serie Netflix creata da Zerocalcare. Perché dovrebbe renderci cattivi questo mondo? Perché le ingiustizie si nascondono dietro ogni vicissitudine del nostro eroe Zero. Lui oramai è uno scrittore affermato anche se non ha mai dimenticato le sue origini, lottando o resistendo ogni giorno per i propri ideali. Ma più che altro cerca di non svenderli asfaltandoli come intorno accade a troppi. L’ultimo lavoro di Michele Rech guarda proprio al modo in cui si è cambiati crescendo, ma stavolta nel quartiere Rebibbia il passato ritorna indossando la tuta e la faccia da schiaffi di un vecchio amico bullo. Tornano anche gli amici di sempre come Sara e l’inossidabile Secco, ma soprattutto l’Armadillo impersonato da Valerio Mastandrea.

Il mondo di Rebibbia rappresenta un microcosmo italiano capace d’incamerare, rappresentandole, tutte le beghe e le pecche del Paese a partire da un’effettiva imparità di genere che aspira sempre alla parità. Questa volta i temi scottano più del solito, c’è la preoccupazione per termini inquietanti come “sostituzione etnica” intorno a un centro d’accoglienza che rischia la chiusura. Si parla in maniera tragicomica di un’Italia che bolle di rabbia, ma senza perdere mai leggerezza, comicità e poesia l’autore ci porta proprio vicino al fuoco scatenante spiegandocene le dinamiche. La periferia di Zerocalcare trascende dall’esistenzialismo metropolitano assurgendo a commedia di vita e raggiungendo sempre catarsi su amare prese di coscienza.

Se Strappare lungo i bordi si poneva come un coming of age, un diario di rivelazione, accettazione di sé stessi e crescita dei vari personaggi, nel 2023 si fanno i conti con le aspettative tradite dal proprio operato e con certe scelte adulte che potrebbero minare quanto messo insieme finora. Cosa si cela dietro lo sconforto per la sconfitta? E perché nella vita si continua a perdere? Viene da chiedersi di fronte ai personaggi vinti. “A me non me se bevono! Io ho fatto ‘na serie co’ Netflix, ormai faccio come cazzo me pare!” Si lascia sfuggire Zero sfogandosi al telefono con la mamma Chioccia. La sua posizione rispetto allo scenario che ha intorno è ultra-pasoliniana. Nel senso che se quest’ultimo raccontò la periferia vivendola in prima persona ma da estraneo che sceglieva di essere lì, Zero è la mosca bianca che gioca in casa e sceglie di restare per vivere e raccontare il suo habitat sociale dall’interno. L’imbarazzo del successo e la lotta per restare coerenti emergono chiaramente da questa nuova serie.

Poi non manca il carrozzone di battute destinate a diventare tormentoni dei millenial e situazioni paradossali di pura comicità keatoniana. Buster Keaton era il comico triste, che non rideva mai. In un certo modo anche il personaggio fumettistico Zero è così, riuscendo a ottenere sempre il sorriso del suo pubblico. La risata qui però non è l’obiettivo, ma il mezzo, uno dei tanti, quello più facilmente intercettabile in superficie per catapultarci in un mare di contraddizioni sociali, mancanze politiche e insoddisfazioni popolari che ritrae a perfezione il sottobosco emotivo dell’Italia di oggi.

Così Mastandrea col suo Armadillo dispensa consigli per laurearsi all’Università della Strada mentre i “falliti rancorosi” vengono contrapposti dall’amara riflessione di Calcare a “quelli magnati dar senso de colpa, gli esecrabili, quelli che hanno svoltato da soli”. Svoltare da soli lasciando indietro gli altri, il gruppo. E tra questi Cesare, l’amico bullo, ritornerà da un inferno ancora fumante. Alla fine sono gli amici quelli che contano nella vita di Zero. E il rispetto degli altri, il vero bug, ostacolo, che questo mondo dimentica cercando di renderci cattivi.

Prodotto di punta per la lungimirante Netflix che si è accaparrata il genio di Rech, debutterà dal 9 giugno con tutte le sue sei puntate da circa mezz’ora l’una. La serie di Rech fa bella mostra di un’animazione già iconica e di una regia sempre sua piena di raffinatezze e rimandi stilistici a tanto cinema cult spaziando da Robocop a Guy Ritchie, non evitando mai frecciatine a prodotti della nostra industria culturale, sonnolenti come i Don Matteo o adrenalinici come Breaking Bad, resi parodia di sé stessi nelle locandine che spesso appaiono sullo sfondo. E forse i più gustosi easter egg di questa serie.

 

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Tutto chiede salvezza: sette giorni in istituto psichiatrico e poi rinascere https://www.fabriqueducinema.it/serie/tutto-chiede-salvezza-sette-giorni-in-istituto-psichiatrico-e-poi-rinascere/ https://www.fabriqueducinema.it/serie/tutto-chiede-salvezza-sette-giorni-in-istituto-psichiatrico-e-poi-rinascere/#respond Fri, 14 Oct 2022 12:09:09 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=17812 Con Tutto chiede salvezza Francesco Bruni dirige per il piccolo schermo di Netflix la serie tratta dal romanzo omonimo, vincitore dello Strega Giovani e finalista al premio Strega nel 2020, scritto da Daniele Mencarelli. L’autore figura nella trasposizione – da oggi disponibile sulla piattaforma – anche come sceneggiatore, insieme a Francesco Cenni, Daniela Gambaro e […]

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Con Tutto chiede salvezza Francesco Bruni dirige per il piccolo schermo di Netflix la serie tratta dal romanzo omonimo, vincitore dello Strega Giovani e finalista al premio Strega nel 2020, scritto da Daniele Mencarelli. L’autore figura nella trasposizione – da oggi disponibile sulla piattaforma – anche come sceneggiatore, insieme a Francesco Cenni, Daniela Gambaro e lo stesso Bruni.

Si inizia come in un’allucinazione disorientando il pubblico, agganciato allo sguardo del protagonista Daniele, interpretato da un convincente Federico Cesari, il quale si risveglia una mattina in un ospedale psichiatrico, scoprendo in seguito di essere stato sottoposto al Trattamento sanitario obbligatorio (TSO) per una settimana.

La risposta iniziale di Daniele è un immediato rigetto del luogo in cui si è ritrovato e di chi gli sta intorno; cerca una via d’uscita, si scontra con la situazione, fino a realizzare lentamente il motivo per cui si trova lì e quindi di dover scendere a patti con tutti: dai medici, la dottoressa Cimaroli (Raffaella Lebboroni) e il dottor Mancino (Filippo Nigro), agli infermieri, Pino (Ricky Memphis), Alessia (Flaure B.B. Kabore) e Rossana (Bianca Nappi), fino ai pazienti con cui condivide la camera. Gianluca (Vincenzo Crea), Mario (Andrea Pennacchi), Alessandro (Alessandro Pacioni), ‘Madonnina’ (Vincenzo Nemolato) e Giorgio (Lorenzo Renzi), Daniele condivide con essi il dramma di essere rinchiusi in uno stesso spazio che non lascia, a detta loro, altro che l’immaginazione e la possibilità di stringere amicizia.

Sette giorni per sette episodi, uno dopo l’altro il pubblico è condotto insieme al personaggio principale a scoprire le storie di coloro che abitano quello spazio, ritraendo il muro alzato in una prima fase e mettendosi in ascolto, dando fiato a una sensibilità che aveva bisogno di essere riscoperta. Un viaggio dentro di sé attraverso il confronto con chi, come lui, è stato forzato a una pausa improvvisa dalla propria vita per ricostruirla, con un occhio interessato anche al reparto femminile, dove nel suo stesso giorno arriva una sua vecchia fiamma del liceo, Nina (Fotinì Peluso), accompagnata dalla madre (Carolina Crescentini).

Una storia dura, a tratti opprimente, ma che sa benissimo concedersi dei respiri profondi e lasciar intravedere spiragli di luce, i quali si traducono nei tocchi umoristici che si inseriscono dolcemente nel clima scuro dell’istituto psichiatrico o negli istanti in cui si realizza la felicità di trovarsi o ritrovarsi. Tutto chiede salvezza si muove tra gli anfratti della mente e dell’animo umano per poi rivolgere lo sguardo fuori dalla finestra, dove prende forma la possibilità di resuscitare, metafora resa concreta dall’uccellino sull’albero che solo Mario sembra vedere.

 

 

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Prisma, un balzo in avanti nel teen drama italiano https://www.fabriqueducinema.it/serie/prisma-un-balzo-in-avanti-nel-teen-drama-italiano/ https://www.fabriqueducinema.it/serie/prisma-un-balzo-in-avanti-nel-teen-drama-italiano/#respond Fri, 30 Sep 2022 12:16:39 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=17770 Prisma apre il suo primo episodio con il rosso a tutto schermo e prosegue per i sette successivi con gli altri colori della bandiera dell’orgoglio LGBTQ+, chiudendosi sul bianco, come la luce che li contiene tutti quanti prima che si rifrangano (appunto) in un prisma. Scritta da Alice Urciuolo e Ludovico Bessegato, con quest’ultimo anche […]

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Prisma apre il suo primo episodio con il rosso a tutto schermo e prosegue per i sette successivi con gli altri colori della bandiera dell’orgoglio LGBTQ+, chiudendosi sul bianco, come la luce che li contiene tutti quanti prima che si rifrangano (appunto) in un prisma. Scritta da Alice Urciuolo e Ludovico Bessegato, con quest’ultimo anche alla regia, la serie accoglie con intelligenza i caratteri del teen drama d’importazione per accendere i riflettori su un gruppo di adolescenti di Latina e mostrarne le esperienze di crescita, da quelle più difficili a quelle più tenere. Prodotta da Cross Productions è ora disponibile su Amazon Prime Video.

Volto (doppio) di spicco nella serie è Mattia Carrano, interprete dei due gemelli Marco e Andrea Risorio, diciassettenni dalle attitudini e carattere opposti, a cui dà una pienezza emotiva unica per entrambi e ben distinguibile: Marco è timido, pratica il nuoto, occasionalmente videomaker, e sogna di conquistare il cuore di Carola (Chiara Bordi); Andrea preferisce il basket, ha un conto in sospeso con Nina (Caterina Forza) e finisce nel giro dello spaccio che lo porta un giorno a conoscere Daniele (Lorenzo Zurzolo), membro di un gruppo trap insieme a Vittorio (LXX Blood) e Ilo (Matteo Scattaretico). Per Andrea l’esplorazione della sua identità di genere trova come salvagente il libro di poesie Dolore minimo di Giovanna Cristina Vivinetto, la cui storia è stata d’ispirazione per gli autori nell’ideazione del soggetto di serie, nello specifico per le vicende dei due gemelli.

Mattia Carrano in Prisma

È un merito da non sottovalutare quello di creare personaggi a partire da esperienze di persone che vivono o hanno vissuto condizioni affini a quelle di cui si vuole parlare, così come dimostra la consulenza chiesta a Sofia Righetti, influencer e attivista disabile, per scrivere Carola. Quel che ne risulta nel complesso è un soddisfacente racconto di formazione che infrange pregiudizi di ogni tipo e normalizza radicalmente la presenza sullo schermo di personaggi appartenenti a minoranze, che purtroppo ancora oggi faticano a trovare spazio nei prodotti nostrani. La serie vanta inoltre un’attenta e varia selezione di brani musicali, che fissano i momenti ad alto impatto estetico, su cui Prisma sembra voler puntare molto, e che ben si inseriscono in un ritmo generale tenuto sempre vivo da una struttura narrativa solida e una fotografia che sa catturare lo sguardo, curata da Benjamin Maier.

Con una decisa progressione nel campo del dramma adolescenziale italiano, gli autori di Skam dimostrano di saper continuare a rivolgersi a un pubblico di giovani e giovanissimi. La loro ultima serie aspira a configurarsi come lo specchio della “Gen Z”, e lo fa trattando temi attuali in modo non banale, all’insegna dell’inclusività, anche in fase di produzione, un insieme di dati che se messi uno vicino all’altro restituiscono il valore unico e promettente di Prisma.

 

 

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Esterno notte, la sinfonia della storia di Marco Bellocchio https://www.fabriqueducinema.it/serie/esterno-notte-la-sinfonia-della-storia-di-marco-bellocchio/ https://www.fabriqueducinema.it/serie/esterno-notte-la-sinfonia-della-storia-di-marco-bellocchio/#respond Mon, 23 May 2022 08:44:45 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=17222 Marco Bellocchio è prossimo agli 83 anni ma la sua linfa cinematografica è a un punto inarrivabile, per ispirazione, per ambizioni tematiche e visive, per profondità di indagine sul cinema, sulla Storia, perfino su se stesso: Esterno notte, l’opera monumentale che è stata presentata a Cannes e uscirà nelle sale italiane divisa in due tranche, […]

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Marco Bellocchio è prossimo agli 83 anni ma la sua linfa cinematografica è a un punto inarrivabile, per ispirazione, per ambizioni tematiche e visive, per profondità di indagine sul cinema, sulla Storia, perfino su se stesso: Esterno notte, l’opera monumentale che è stata presentata a Cannes e uscirà nelle sale italiane divisa in due tranche, da tre episodi ciascuna, è un richiamo al Buongiorno, notte del 2003 ma ne rappresenta il controcanto.

Un controcanto sinfonico nella misura in cui quello era una lettura cameristica di una pagina oscura della storia italiana: l’autore getta contro la sua creatura (peraltro, una creatura meravigliosa, considerabile un classico della modernità) un guanto di sfida, un processo condotto con il codice del cinema, cambia l’angolazione da cui osserva l’affaire Moro e lo espande in un affresco corale con tanti protagonisti, ognuno con una statura epica, avvolgendo il tutto nei toni foschi della fotografia di Francesco Di Giacomo e nella partitura drammatica, bellissima, di Fabio Massimo Capogrosso.

La prima grande virtù dell’opera di Bellocchio è già nella scrittura, e un plauso va tributato a Ludovica Rampoldi, Davide Serino, Stefano Bises e il regista stesso: la più coraggiosa e anche più vincente delle idee è stata quella di raccontare la prigionia di Moro attraverso le reazioni dei politici, dei suoi cari, dei brigatisti stessi. Un “colore”, come insegnano nelle scuole di sceneggiatura: un evento che non è in primo piano, ma influenza tutto quello che vediamo sullo schermo.

Mantenendo la struttura corale del racconto, ci sono comunque personaggi che si elevano a protagonisti di puntata (espressione televisiva, non proprio piacevole da usare per un’opera come questa): è il caso di Toni Servillo nel secondo episodio, straordinario per l’intensità sofferta che ha conferito a papa Paolo VI, dapprima apparentemente padrone della situazione quando illustra alla signora Moro “lo sterco del diavolo” e i suoi impieghi, ma poi in preda a una dolente crisi quando arriva il fatidico momento della scrittura della lettera ai brigatisti.

Ma su tutti, probabilmente, svetta il Cossiga di Fausto Russo Alesi, che già era stato Giovanni Falcone ne Il traditore: è stata decisiva la scelta in sceneggiatura di dare la giusta centralità al ministro degli interni, di fatto il primo a dover correre ai ripari quando la situazione precipita, quando c’è uno stato di allerta da gestire e gli equilibri non si decidono più nelle stanze del palazzo fra un compromesso e l’altro. Cossiga era molto affezionato a Moro, il loro rapporto è molto ben raccontato, e l’impossibilità di trovare una soluzione per l’amico rapito (nonostante l’imponente e avveniristico impiego di risorse investigative), la successiva crisi e il definitivo senso di colpa rendono il personaggio drammaturgicamente fondamentale.

Non si può non ammirare, infine, il Moro di Fabrizio Gifuni: il grande, grandissimo attore riesce a fugare fin dalla prima scena, fin dal discorso all’assemblea, il sospetto della semplice imitazione e grazie a un sapiente uso del corpo, delle mani soprattutto, il suo Moro è più vero del vero: la scena del ritorno a casa e della umile cena a base di uova è una vetta poetica, da parte sua e da parte di Bellocchio.

Esterno notteè più vicino a Todo modo e Cadaveri eccellenti che non ad altri film orientati verso la cronaca e la ricostruzione d’epoca: nella modellazione plastica degli uomini di potere, le cui fisionomie e fisicità sono esaltate, sottolineate, scolpite quasi a fare di loro delle maschere piuttosto che fac-simile storici fedelmente ricostruiti col trucco e il parrucco, Bellocchio raggiunge il difficile e sempre insidioso traguardo del grottesco. Ma sarebbe riduttivo limitare a questo aspetto la riuscita dell’opera di Bellocchio: come ha bene scritto su Quinlan Alessandro Aniballi, “Bellocchio si sta imponendo di fare grandi film, grandi affreschi storici. E meno male, viene da concludere. Perché, oltre a Martone, non c’è nessun altro nel cinema italiano contemporaneo che sia in grado di farlo, nessun altro che abbia la volontà, la voglia e la capacità di scavare a fondo nei nostri misteri e nelle nostre ambiguità, in quei fatti e in quegli snodi che in fin dei conti formano la nostra identità”.

 

 

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Spoiler! Serie tv e antropologia da divano https://www.fabriqueducinema.it/serie/spoiler-serie-tv-e-antropologia-da-divano/ https://www.fabriqueducinema.it/serie/spoiler-serie-tv-e-antropologia-da-divano/#respond Thu, 10 Mar 2022 09:54:33 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16898 Le serie hanno ormai un ruolo importante nella nostra esperienza di spettatori. Abbiamo visto tutti almeno una serie, e molti di noi si sono trovati a finire una stagione tutta d’un fiato per sapere come va a finire, quasi in preda a una specie di dipendenza. Possono, però, le serie farci riflettere e discutere su […]

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Le serie hanno ormai un ruolo importante nella nostra esperienza di spettatori. Abbiamo visto tutti almeno una serie, e molti di noi si sono trovati a finire una stagione tutta d’un fiato per sapere come va a finire, quasi in preda a una specie di dipendenza. Possono, però, le serie farci riflettere e discutere su temi sociali importanti? Sono o non sono uno specchio della nostra contemporaneità?

Lo abbiamo chiesto a Elena Garbarino e Mara Surace, due brillanti scrittrici genovesi, che nel loro libro Spoiler! Serie TV e giustizia sociale appena uscito da Meltemi, portano lo sguardo antropologico su molte celebri serie internazionali. Un pretesto per analizzare alcuni tra gli argomenti più urgenti e attuali del nostro tempo, tra cui la costruzione dell’identità, la rappresentazione della diversità e lo spaesamento dell’individuo postmoderno. Orange is the new black, Derry Girls, Sex Education e Vida sono solo alcuni dei titoli citati nel loro libro.

Come nasce l’idea di applicare l’antropologia contemporanea alle serie?

Elena: In realtà è nato un po’ per caso, ci capitava spesso di confrontarci sulle serie e fare dei raffronti con quello di cui avevamo parlato a lezione. Ci siamo dette che sarebbe stato figo usarle come spunto per parlare di questioni che possono essere ricondotte all’antropologia. Le serie sono utili perché le vedono tutti, chiunque dopo la fine di una stagione ne parla e discute con amici e parenti. Per questo motivo abbiamo voluto aggiungerle alla cassetta degli attrezzi dell’antropologo.  Sono utili per tutti coloro che cercano una rappresentazione che non è nei media tradizionali, uno sguardo su altre culture.

Quali serie possono essere dei buoni spunti di riflessione su tematiche sociali importanti?

Elena: Per quanto riguarda l’importanza della rappresentazione, sicuramente Pose. Nell’ultimo episodio, Blanca, Elektra, Angel e Lulu si incontrano per pranzo e parlano dei successi che sono riuscite ad ottenere. La ballroom ha avuto un ruolo fondamentale nella loro crescita, poiché lì sono finalmente riuscite a esprimere loro stesse senza limitazioni e imposizioni per poi ottenere risultati nel mondo “reale”. Emerge quindi l’importanza di avere un luogo, fisico o narrativo, dove potersi autorappresentare senza subire continuamente la narrazione altrui. Se invece parliamo di temi come l’ambiente e la sua protezione, è interessante notare come spesso vengano percepiti, nella quotidianità, come distanti e slegati dalle dinamiche di potere, sia nelle loro cause che nelle loro conseguenze. The Mosquito Coast mostra invece come la narrazione del progresso, industriale e tecnologico, sia una costruzione del capitalismo, che si autoalimenta nella sua necessità di consumo. In Snowpiercer, poi, la medesima narrazione portata al suo estremo causa l’annientamento della vita umana come la conosciamo, ma non delle sue sovrastrutture, come le classi sociali e i privilegi.

Mara: Sex Education, invece, è stata un ottimo spunto per analizzare una società patriarcale e androcentrica. Analisi che abbiamo sviluppato attraverso studi e opere come Il dominio maschile di Bourdieu, La città femminista di Kern e le opere di Françoise Vergès.

serie The Mosquito Coast
The Mosquito Coast.

Perché proprio le serie tv? Quanto ci rappresentano?

Elena: Può sembrare un argomento leggero, ma in realtà sono lo specchio di quello che viviamo. E poi ci sono temi più sentiti in certe parti del mondo: ad esempio il razzismo o la realizzazione individuale negli Stati Uniti o al tema ambientale nel Nord Europa. Sicuramente in questo momento le esigenze del pubblico spingono le produzioni delle piattaforme a proporre uno sguardo più aperto, a progredire nelle loro proposte di rappresentazione e a dare agli spettatori quello che cercano.

Mara: Il cinema o le serie, però, sono legate al mercato. A volte mi chiedo se il fatto di aprire la rappresentazione della società in modo più equo sia spinto dalla volontà di ampliare e rendere più giusta la narrazione, o se invece sia semplicemente la necessità di attirare un preciso target di persone. A quel punto si finirebbe con lo sfruttare chi è già sfruttato. Vedersi finalmente rappresentati sullo schermo, per tutti coloro che fino a ora non lo sono mai stati, è potente. Può essere una forma di accettazione e liberazione personale, ma spesso questo bisogno viene sfruttato per fare soldi. Una rappresentazione sbagliata, inoltre, può essere dannosa. Se penso a serie italiane mi viene in mente Zero, la prima serie nazionale con tutti i protagonisti afro-discendenti, in cui però la stereotipizzazione è imbarazzante. Non sono stati creati personaggi tridimensionali, reali, sono semplicemente stati sostituiti i personaggi bianchi con dei personaggi neri.  

Qual è stato il vostro intento scrivendo questo libro? A chi vi rivolgete?

Mara: Speriamo che Spoiler! possa dare spunti per approfondire le questioni sociali affrontate. Non ci piace ciò che è scritto in maniera complicata, per questo abbiamo cercato di rendere in modo semplice cose complesse. Se siamo riuscite a catturare la sua attenzione, chi legge avrà magari voglia di cercare più informazioni e documentarsi. Ad esempio, parliamo dell’abolizione delle carceri facendo riferimenti anche a Orange is the new black. Ecco, mi piacerebbe che possa essere uno spunto per poi approfondire il tema con i libri di Angela Davis.

 

 

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Fedeltà: la crisi coniugale secondo Netflix https://www.fabriqueducinema.it/serie/fedelta-la-crisi-coniugale-secondo-netflix/ https://www.fabriqueducinema.it/serie/fedelta-la-crisi-coniugale-secondo-netflix/#respond Fri, 11 Feb 2022 13:58:54 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16773 A una domanda sembra voler dare risposta Fedeltà, nuovo dramma originale Netflix prodotto da BiBi Film: un semplice dubbio, un piccolo malinteso, può distruggere una relazione? Lo scrittore Carlo (Michele Riondino) e l’agente immobiliare Margherita (Lucrezia Guidone) sembrano avere una vita e una relazione perfetta, nonostante gli alti e bassi del lavoro e della famiglia. […]

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A una domanda sembra voler dare risposta Fedeltà, nuovo dramma originale Netflix prodotto da BiBi Film: un semplice dubbio, un piccolo malinteso, può distruggere una relazione?

Lo scrittore Carlo (Michele Riondino) e l’agente immobiliare Margherita (Lucrezia Guidone) sembrano avere una vita e una relazione perfetta, nonostante gli alti e bassi del lavoro e della famiglia. L’equilibrio tra i due tuttavia vacilla quando lui è accusato di atteggiamenti inappropriati con una studentessa, Sofia (Carolina Sala). Malgrado sia prontamente negata qualsiasi complicità da entrambe le parti, il dubbio silenzioso e latente si insinua sempre più, attimo dopo attimo, giorno dopo giorno, nella mente di Margherita, dando inizio ad un gioco di gelosie e vendette che potrebbe portare a irrimediabili conseguenze.

Come già intuibile, Fedeltà propone una storia all’apparenza semplice, che riprende il topos del triangolo amoroso e lo declina a proprio modo. Se fin da subito la narrazione vera e propria non appare particolarmente innovativa, la serie tenta però di scavare sotto la superficie, mettendo in scena non solo una crisi coniugale, ma dipingendo anche uno spaccato delle relazioni odierne, una tranche de vie in cui chiunque può rivedersi. Per farlo, si parte non a caso da un romanzo introspettivo, giocato sui detti e i non detti, come quello di Marco Missiroli, scrittore riminese insignito proprio grazie a Fedeltà del Premio Strega.

Fedeltà

E proprio questa introspezione, questo voler andare oltre il mero racconto dei fatti, è il vero punto di forza della serie. In appena sei puntate, più che sufficienti per il tipo di progetto qui proposto, la storia di Missiroli, riportata sullo schermo dalla penna di Alessandro Fabbri, Elisa Amoruso e Laura Colella, conduce lo spettatore in un pas de deux di due (ma forse più) umanità che si scontrano: tra certezze che vacillano ed errori a cui forse non si può più rimediare, prendono vita personaggi – interpretati più che degnamente da Riondino e Guidone – tanto conflittuali, quanto reali, con cui è impossibile non rivedersi, almeno una volta.

La regia, guidata dalla mano esperta di Andrea Molaioli (l’eccellente La ragazza del lago, ma anche il più pop Slam – Tutto per una ragazza) e dal più giovane Stefano Cipani (Mio fratello è figlio unico), sembra quindi seguire i suoi protagonisti, attraverso dei lunghi momenti musicali e l’impeccabile fotografia di Gogò Bianchi (Anna), che incornicia una Milano dai mille volti. Nonostante a volte il passaggio dalla carta allo schermo non sfrutti appieno le proprie potenzialità, Fedeltà riesce però a fare ciò che si prefigge: raccontare, con una buona eleganza e una certa profondità, la crisi di un amore, ma ancor prima la storia di due persone qualunque.

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E liberaci dal male: Saku Cinardi ci racconta la sua nuova serie Christian https://www.fabriqueducinema.it/serie/e-liberaci-dal-male-saku-cinardi-ci-racconta-la-sua-nuova-serie-christian/ https://www.fabriqueducinema.it/serie/e-liberaci-dal-male-saku-cinardi-ci-racconta-la-sua-nuova-serie-christian/#respond Thu, 03 Feb 2022 09:58:15 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16754 Il crime targato Sky si arricchisce della componente supernatural nella nuova serie originale Christian, prodotta insieme a Lucky Red e rilasciata on demand a partire dal 28 gennaio. Nel cast spiccano Edoardo Pesce e Claudio Santamaria, al servizio di una storia che vede un uomo della Roma popolare ricevere un dono mistico che sconvolge la […]

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Il crime targato Sky si arricchisce della componente supernatural nella nuova serie originale Christian, prodotta insieme a Lucky Red e rilasciata on demand a partire dal 28 gennaio. Nel cast spiccano Edoardo Pesce e Claudio Santamaria, al servizio di una storia che vede un uomo della Roma popolare ricevere un dono mistico che sconvolge la sua vita vissuta al soldo di un boss locale.

Abbiamo intervistato l’ideatore della serie, Roberto Cinardi, in arte “Saku”, che ha diviso la regia con Stefano Lodovichi. Saku ci ha raccontato delle sue influenze culturali e di come queste si leghino all’origine dell’idea di Christian, concretizzatasi all’inizio della sua carriera e ora tra le grandi uscite del momento in Italia.

Da dove nasce l’idea per questo progetto?

L’idea è nata da me nel 2012 circa, quando volevo fare il mio primo cortometraggio. All’epoca giravo videoclip e iniziavo a fare pubblicità, ma avevo tanta voglia di buttarmi sulla narrativa. Avevo in testa l’idea di un santo sui generis, un dono che arrivava nelle mani più improbabili, non per forza sbagliate, ma improbabili. Volevo giocare su questo contrasto e la prima occasione fu il videoclip di Salmo. Usai il budget del suo progetto, oltre a quello aggiunto da me e dal produttore dell’epoca, per girare il cortometraggio Christian, che poi è anche sintetizzato nello stesso video di Salmo, Demons to Diamonds. Qualche anno dopo ho fatto uscire il corto su Vimeo. In questa prima stesura, essendo nato e cresciuto nella periferia di Roma est, tenevo molto a raccontare quei luoghi e quel tipo di persone che ho sempre frequentato, ed essendo poi appassionato di sci-fi, supernatural e misticismo, mi piaceva l’idea mischiare le due cose: un background che conoscevo bene e qualcosa che invece mi è sempre piaciuto a livello letterario e cinematografico. Mi è venuto molto spontaneo unire questi due mondi, piuttosto che forzare un tipo di sovrannaturale che in Italia risulterebbe goffo.

intervista-saku-cinardi

Come si inserisce Christian in quel filone soprannaturale italiano al cui centro ci sono dei personaggi che, come avviene nei film di Gabriele Mainetti, si ritrovano ad avere dei superpoteri?

Io non sono d’accordo con la definizione di superpoteri riguardo Christian. Per me è sempre stato un dono che dato a questo tipo di persona diventa una dannazione. Lui può guarire delle persone ma non del tutto coscientemente, non è detto che lo faccia di proposito. È più un dono che viene dall’alto, di cui lui è veicolo, ma che per molti versi, soprattutto all’inizio della storia, è più un problema, qualcosa che Christian non accetta e non capisce. Riguardo al filone io mi auguro che, come fece Lo chiamavano Jeeg Robot, apra delle strade, che insegni ad autori e produttori a usare questo filone in maniera intelligente, senza scimmiottare ciò che si fa all’estero, realizzando la versione italiana di supereroi di stampo anglosassone, ma sfruttando piuttosto quella che è la nostra tradizione, le nostre mitologie, la nostra storia.

Tu hai una lunga esperienza da regista di video musicali. Come ti è tornata utile nel dirigere una serie tv?

Sì, ho una lunga esperienza nei video musicali e altrettanta nella pubblicità. Sicuramente questo aiuta molto, intanto a essere veloce e performante sul set. Sono infatti due mondi, soprattutto quello dei video musicali, in cui c’è poco budget e poco tempo, e bisogna imparare a portare a casa in breve delle immagini che però funzionino nella maniera migliore possibile. Occuparmi di videoclip è stata poi soprattutto un’esperienza che mi ha aiutato a saper raccontare per immagini, oltre che con i dialoghi.

Come ti sei trovato a lavorare con attori come Edoardo Pesce e Claudio Santamaria?

È stato molto stimolante, ho imparato tanto. Mi sono confrontato con un livello di professionalità e talento con cui non avevo mai avuto a che fare nelle mie esperienze passate. Quindi è stato sicuramente interessante e arricchente.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Sto iniziando a sviluppare un lungometraggio e un altro progetto seriale, ma non posso dirvi nulla, anche se mi piacerebbe un sacco. Però diciamo che il macrogenere a cui appartengono queste altre due storie è simile a quello di Christian.

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Blanca: anatomia di una serie di successo (e perché poteva non esserlo) https://www.fabriqueducinema.it/serie/blanca-anatomia-di-una-serie-di-successo-e-perche-poteva-non-esserlo/ Tue, 30 Nov 2021 13:35:45 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16520 Non sappiamo dove arriverà Blanca. Se diventerà uno dei prodotti di punta di Rai Uno e Rai Fiction, se conquisterà anche il pubblico estraneo alla tv generalista, se proseguirà per altre venti stagioni sostituendosi a Don Matteo. Ma oggi, nel pieno del suo debutto e a ridosso del finale di stagione, il fenomeno merita d’essere […]

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Non sappiamo dove arriverà Blanca. Se diventerà uno dei prodotti di punta di Rai Uno e Rai Fiction, se conquisterà anche il pubblico estraneo alla tv generalista, se proseguirà per altre venti stagioni sostituendosi a Don Matteo. Ma oggi, nel pieno del suo debutto e a ridosso del finale di stagione, il fenomeno merita d’essere osservato da vicino per una serie di elementi che, se contestualizzati nel contenitore Rai e in relazione al target di riferimento, indicano un (elettrizzante) cambiamento in corso. 

Il look 

Da subito Blanca si è caratterizzata attraverso i costumi della protagonista, a cura di Monica Saracchini e Angelo Poretti, con un look che rimanda felicemente allo stile comic. Blu elettrico, giallo fluo, rosso e verde sono dominanti nell’abbigliamento di Blanca, mentre il cinturone sempre presente definisce la silhouette e l’armatura di Giannetta, collocandosi nel tradizionale fetish del ‘vitino a vespa’ che ha popolato la narrazione femminile e le sexy villain del fumetto americano. 

Lo stile pop della serie si impone poi con una color correction estremamente satura e irrealistica per il gusto abitudinario della prima serata Rai (virando spesso anche sui toni del verde e strizzando l’occhio al Teal&Orange). Il comun denominatore è proprio la costruzione di un mondo visivo che orbita attorno a un’eroina della porta accanto, la cui cecità si trasforma quasi in un superpotere. Con tutte queste scelte Blanca opta per un biglietto da visita che potrebbe disturbare il suo target, e invece piace (se lo share non è un’opinione). 

Bando alla noia 

Dal modo in cui avrebbero raccontato la cecità di Blanca, si giocava invece buona parte della riuscita della serie. La regia firmata da Jan Michelini e Giacomo Martelli trova l’incontro armonioso tra il fine educativo (strutturando e decostruendo gli ambienti dal punto di vista di una non vedente e portandoci a immedesimarci nella disabilità della protagonista) e una chiave decisamente accattivante. Senza inciampare in soporiferi spiegoni pietisti, il mondo buio di Blanca trova un linguaggio fumettistico, vivace e dissacrante. 

L’olofonia 

Due tecniche su tutte risultano particolarmente interessanti: l’olofonia e l’uso del buio. Blanca è infatti la prima serie ad utilizzare totalmente la tecnica di Audio Immersivo dell’olofonia, che esplora lo spazio sonoro a 360°. Essenziale il lavoro sperimentale in fase di presa diretta sul set (ad opera del fonico Roberto Sestito, del microfonista Leonardo Giambi e di una lunga serie di assistenti e sotto-unità), completato poi da una fase di post-produzione e mix altrettanto raffinata e rischiosa (con Marco Giacomelli e Matteo Lugara). 

Perché è così centrale il merito d’aver utilizzato l’olofonia? Perché è una novità. Perché ci restituisce, se ascoltata in cuffia, una riproduzione del suono vicinissima a quella registrata dall’apparato uditivo umano. E dunque facilita l’identificazione con Blanca (non vedente), sostituendosi a un’ipotetica soggettiva e diventando una sorta di punto macchina sonoro. E poi perché è un’invenzione italiana risalente agli anni Ottanta, che ha richiesto non poca fatica in fase di lavorazione: qualcosa di cui vantarci, dunque. 

L’uso del buio 

Un discorso che si replica nel modo in cui Blanca sperimenta le possibilità tecniche offerte dall’ovvia dicotomia cecità-buio. La regia propone infatti una ‘stanza nera’ che, all’occorrenza, isola Blanca dalla condizione dello spettatore vedente, ponendolo insieme alla protagonista in un non-luogo che si popola poco a poco delle percezioni sensoriali di Blanca. Ogni indizio uditivo e percettivo che lei acquisisce muovendosi nello spazio, si trasforma in vfx e inizia a riempire la stanza nera. Noi siamo con lei. 

Struttura verticale ma godibile

Questo diventa inevitabilmente anche un punto a favore della struttura verticale della serie, che segue comunque lo standard episodico ancora caro alla Rai, dove la narrazione ruota attorno ai vari omicidi da risolvere ogni puntata. Ma se un caso che potrebbe annoiare viene risolto dalla lente della cecità di Blanca, con il gusto dell’olofonia, della stanza nera e del décodage (tecnica in cui la protagonista è specializzata), anche il crimine di puntata scorre in modo godibile. E per noi non si traduce solo in un polpettone riscaldato da buttar giù nell’attesa che succeda qualcosa d’interessante, ma diventa una sfida condivisa. Insomma: non ci interessa scoprire il colpevole, ma come Blanca arriverà a scoprirlo. 

Patrizia Rinaldi e Maria Chiara Giannetta 

E qui chiudiamo, last but not least, con la coppia Rinaldi-Giannetta. Alla prima va il merito di aver creato il personaggio dei romanzi noir da cui la serie è tratta, alla seconda va quello di interpretarlo con tutto il piglio, l’ironia e la verve necessaria. Perché Blanca è un personaggio fortemente caratterizzato, e non solo dalla sua condizione di cecità (niente da invidiare ad alcuni piattissimi e stereotipati protagonisti Netflix). Ha i vizi, i difetti e le sfumature di una persona a cui possiamo affezionarci in fretta: odia cucinare, è spocchiosa, pensa al sesso, è una fanatica orgogliosa dell’umorismo nero. E, vero colpo di scena, è sexy. Non è solo una vittima, ma anche una giovane donna che sa di poter piacere. In sintesi, Blanca possiede quello di cui ha bisogno un buon personaggio: è ben scritto e recitato anche meglio.

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Strappare lungo i bordi, parla il produttore: “All’estero non ci credevano capaci di fare una serie così” https://www.fabriqueducinema.it/serie/strappare-lungo-i-bordi-parla-il-produttore-allestero-non-ci-credevano-capaci-di-fare-una-serie-cosi/ Thu, 25 Nov 2021 09:50:47 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16435 Da quando il 17 novembre è approdata su Netflix, Strappare lungo i bordi, la serie d’animazione scritta da Zerocalcare, continua la scalata verso il successo. Un punto di svolta per il noto fumettista che, ritrovandosi tra nel catalogo della piattaforma di streaming più famosa al mondo, ha avuto l’occasione di allargare ulteriormente il proprio pubblico. […]

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Da quando il 17 novembre è approdata su Netflix, Strappare lungo i bordi, la serie d’animazione scritta da Zerocalcare, continua la scalata verso il successo. Un punto di svolta per il noto fumettista che, ritrovandosi tra nel catalogo della piattaforma di streaming più famosa al mondo, ha avuto l’occasione di allargare ulteriormente il proprio pubblico. Ma si tratta di una tappa importante anche per l’animazione italiana tutta. Dietro alla serie c’è Movimenti Production, una realtà indipendente e lungimirante che ha saputo puntare sul prodotto giusto al momento giusto, quello che potrebbe cambiare le carte in tavola per l’intero settore. In attesa di vedere se ciò accadrà davvero, abbiamo parlato con Giorgio Scorza, che della serie originale Netflix più di tendenza del momento è il produttore.

Quando e perché nasce Movimenti Production?

Nasce nel 2004 da me e Davide Rosio. Ci siamo conosciuti che ero ancora uno studente, abbiamo iniziato a fare dei corti insieme, ma dopo un paio di videoclip ci siamo resi conto che con la partita iva non andavamo da nessuna parte e abbiamo quindi deciso di aprire una società. La nostra idea era quella di fare il più possibile cose firmate da noi, anche se sono stati fondamentali all’inizio i lavori di advertising per altre agenzie. Ma Movimenti Production è nata perché volevamo fare il nostro lavoro senza essere ridotti alle offerte che ci arrivavano dagli altri.

Cosa significa occuparsi di animazione in Italia?

Significa sicuramente avere tanta buona volontà. Il nostro paese adesso è molto più alfabetizzato al linguaggio dell’animazione, grazie a internet e alle piattaforme, ma fino a qualche anno fa non era così. Fare animazione significa quindi formare da zero diverse figure, andare a studiare anche all’estero senza però tradire l’unicità italiana. Di certo non è facile. Negli ultimi anni però sono stati inseriti il tax credit e altri supporti, fondamentali per recuperare terreno ad esempio rispetto al cinema, che riceveva invece sovvenzioni statali a noi negate. Quindi è complicato fare animazione in Italia, ma fortunatamente lo è sempre meno.

strappare lungo i bordi

Parlando invece di Strappare lungo i bordi, da dove deriva l’idea di produrre una serie di Zerocalcare?

Noi da sempre abbiamo cercato di spingere sull’animazione adult animation e non per bambini. L’abbiamo fatto con i videoclip e con delle serie da noi scritte. Senza Zerocalcare però fare un prodotto d’animazione adult in Italia e in così poco tempo non sarebbe stato possibile, perché c’era bisogno della garanzia di un nome forte. Quando Michele [Michele Rech, il vero nome di Zerocalcare], dopo l’esperienza di Rebibbia Quarantine, voleva imparare ad animare meglio e con un software più evoluto, si è appoggiato al nostro studio grazie al consiglio di un amico. Il suo intento iniziale era quindi quello di imparare. Noi non abbiamo mai forzato la mano per fare qualcosa insieme. Quando ha avuto l’idea giusta, passando per altre cose che non lo convincevano, collaborare è stato scontato.

A livello pratico quale è stato il processo di lavorazione di Strappare lungo i bordi e quanto è durato?

Il processo in totale è durato circa nove mesi parlando di produzione stretta, undici se si considerano tutti i passaggi, dallo script alla consegna del master: sono tempi follemente brevi per l’animazione, anche se non tutti lo sanno. Michele ha scritto le sceneggiature, ce le ha passate e a quel punto abbiamo cominciato a prendere le prime decisioni registiche, scegliendo il ritmo sostenuto che caratterizza la serie. Tant’è vero che le sceneggiature erano di trenta pagine, ma noi promettevamo a Netflix di ricavarne puntate di diciotto minuti. Michele ha poi cominciato a registrare i dialoghi su degli sketch che montava e ci mandava per dirci come si era immaginato le varie scene. Noi quindi facevamo lo storyboard, lavorando sulle inquadrature, sulla messinscena e sul respiro del racconto. Parallelamente sviluppavamo i personaggi, cercando di ricreare l’universo di Zerocalcare in una versione che fosse animabile, che avesse continuità con il suo lavoro ma al tempo stesso qualcosa di diverso. La sfida è stata mantenere la sua unicità, ma inserire delle differenze che lo rendessero un prodotto vivo e non semplicemente “un fumetto in movimento”. Abbiamo poi registrato le voci definitive di Michele e Valerio Mastandrea e sulle voci montato i primi effetti sonori per dare atmosfera, per poi mandare tutto in animazione. Quando ci arrivavano le scene facevamo dei test di compositing, per capire come tenere insieme i vari momenti delle puntate, che sono tanti e diversi tra loro. Bisognava trovare un modo per incastrate tutto quanto perfettamente. Michele in tutto ciò è stato davvero un professionista perché ci ha permesso di fare tranquillamente ciò che serviva per far funzionare la serie.

Come è stato quindi lavorare con un autore il cui tratto e la cui identità sono così riconoscibili?

Chi fa animazione è davvero un artigiano certosino e Michele anche, quindi ci siamo trovati subito. C’era una precisione maniacale che portava tutti a non essere soddisfatti finché non si raggiungeva il risultato desiderato. Michele poi è una persona molto collaborativa, nonostante abbia sempre lavorato da solo. All’inizio infatti era terrorizzato, ma una volta ricevute le prime tavole quella paura si è dissolta e ha lasciato spazio all’eccitazione. Certo, c’è stato chi ha dovuto studiarsi il suo stile grafico nel dettaglio, ma come sottolineavo prima, in parte lo abbiamo variato. Il contributo di Michele è stato ovviamente necessario, ad esempio molte scene sono ambientate in casa sua e lui ci ha mandato foto e piantine, ma poi ci ha lasciato espandere il suo universo. Siamo stati meticolosi e filologici, ma anche propositivi. Sembra banale, ma dal momento che i suoi fumetti sono in bianco e nero per lui un grande cambiamento è stato l’inserimento del colore. Abbiamo ragionato tanto su che colori usare e su come usarli, ci siamo inventati ad esempio delle campiture a pennellate secche che dessero profondità e unicità stilistica alla serie, cercando anche di restituire l’effetto analogico della carta.

Strappare lungo i bordi

E invece doversi confrontare con un colosso dello streaming come Netflix ha cambiato qualcosa del vostro normale processo di lavorazione?

Sicuramente Netflix è una major internazionale, ma per noi non era un’esperienza del tutto nuova avendo lavorato con Disney. Eravamo quindi a conoscenza dei meccanismi, della regolamentazione e della gerarchizzazione che vige in ambienti simili. L’approccio è sicuramente molto americano, ma dato che noi siamo particolarmente meticolosi quel tipo di controllo non è stato un ostacolo. Non c’è stato neanche alcun problema editoriale, grazie allo scudo protettivo che rappresenta in Italia il nome di Zerocalcare. Devo dire che siamo stati sempre rispettati in quanto professionisti e artisti, persino il dipartimento adult animation londinese è rimasto stupito da quanto stava succedendo in quello che secondo loro era un paese senza una tradizione forte di animazione alle spalle.

Avete altri progetti in cantiere e pensi cambierà qualcosa per Movimenti Production dopo Strappare lungo i bordi?

Sì, abbiamo altri progetti che erano pronti prima della collaborazione con Michele, ma che sicuramente ne gioveranno soprattutto per quanto riguarda il rapporto con gli editori: se prima potevano essere titubanti sul fatto che stessimo in Italia e che determinate cose potessero non funzionare ora non c’è più questa preoccupazione. Quindi sì, stiamo andando avanti e stiamo lavorando molto con Stati Uniti e Inghilterra, cosa che per il nostro settore è davvero importante. Poi c’è anche tutta la parte dedicata ai bambini la quale a sua volta sta procedendo spedita, sia con delle serie che con un lungometraggio. Siamo molto carichi insomma, perché se prima qualcuno non sapeva che fossimo sulla mappa adesso non può fare a meno di saperlo.

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