Che tempo che fa, il programma condotto da Fabio Fazio, trasferito da RAI 3 a RAI 1 in questa stagione televisiva, è da mesi oggetto di polemiche e anche di scontro politico, con riferimento ai costi, ai compensi, agli aspetti produttivi e alla stessa validità editoriale di questa importante novità del palinsesto di RAI 1.
I toni sono stati particolarmente accesi, a volte eccessivi, come spesso succede quando le polemiche riguardano personaggi famosi che non solo dividono il pubblico in sostenitori e detrattori, ma che offrono spunti per attacchi mediatici sul piano politico-ideologico e valutazioni di “tipo etico-sociale”, che poi trovano nel web il terreno adatto per infiammare gli animi.
Il programma ha debuttato su RAI 1 il 24 settembre scorso con un esito brillante, oltre 5 milioni di telespettatori e 21% di share, poi l’ascolto è leggermente calato nelle settimane successive, e nella quarta puntata, quella del 15 ottobre, ha registrato uno share del 14,9%, pari a 3.762 mila telespettatori. Un risultato che, nonostante l’evidente attenuante dovuta al boom di ascolti su Sky del derby Inter-Milan, e all’impostazione “di servizio” della puntata, ha rivitalizzato il fronte dei detrattori.
Fin dall’inizio della programmazione, del resto, lo scontro si era inevitabilmente concentrato sul terreno dei risultati Auditel, considerati, da entrambi gli schieramenti, la controprova finale del valore del programma e della correttezza dei suoi costi. Un giudizio correlato sia alle aspettative di ascolto dichiarate, sia al confronto diretto con la fiction di Canale 5, L’isola di Pietro, dove la presenza di Gianni Morandi, come protagonista, in qualche modo lasciava trasparire anche una sfida in termini di popolarità.
In un articolo del Corriere della sera di domenica 15 ottobre, quindi precedente alla serata in questione, intitolato Tre chiavi di lettura per interpretare gli ascolti di “Che tempo che fa”, veniva osservato che nei confronti del programma di Fazio «i dati sono stati più “usati” che “interpretati”» e che una valutazione “senza pregiudizi” indicava che la media, allora pari al 19% (sceso al 18,6% dopo la quarta puntata), era superiore alla media della domenica di RAI 1 nel corso dell’anno (16,8%), e che quindi «Fazio ha portato un paio di punti alla serata» e che «I conti si fanno a fine stagione, ma per ora Che tempo che fa rispetta quanto meno le aspettative». In effetti, salvo sorprese eclatanti, è corretto attendere la fine dell’intera stagione per formulare un giudizio definitivo e statisticamente significativo, considerando che le variabili che possono influenzare i risultati d’ascolto delle singole domeniche sono molteplici: la stessa programmazione di Mediaset è una variabile decisiva. Che succederà, per esempio, dopo le sei puntate della fiction con Morandi?
Evitando quindi giudizi affrettati sui numeri, è comunque legittimo proporre alcune osservazioni più generali sulle strategie editoriali. Poiché questa scelta di palinsesto incide direttamente sull’assetto di due reti RAI, e anche sulle strategie di programmazione della fiction RAI, che, peraltro, oggi vede in campo non solo RAI 1 ma anche RAI 2, occorrerà riflettere sugli equilibri complessivi del nuovo assetto di programmazione. Per quanto riguarda RAI 3, per esempio, ci si domanda quali saranno le ricadute in termini di ascolto e di visibilità di quest’operazione che non ha avuto il tempo per essere “ammortizzata”. Va rilevato che oggi, in uno scenario caratterizzato da un’offerta sempre più frammentata, l’incidenza del brand di un programma e di un conduttore assume un peso strategico crescente sulla visibilità e sul valore attrattivo di una rete (si pensi all’impatto di X factor su TV8 e di Crozza sulla NOVE). Nel caso di RAI 3, la storia del programma indica che la sua incidenza sulla crescita della rete è andata al di là del solo valore del brand.
Che tempo che fa debutta su RAI 3 nel settembre del 2003, come programma dell’access prime-time (dalle 20.00 alle 21.15) del weekend (sabato e domenica con una breve anteprima di lancio il venerdì), cioè come “programma-traino” della prima serata. In effetti, a quell’epoca la rete, dopo aver risolto il problema dell’access nei giorni feriali con la soap Un posto al sole, soffriva, nelle serate del fine settimana, la mancanza di una soluzione editoriale sufficientemente competitiva. Il ritorno di Fabio Fazio alla RAI, dopo l’esperienza a La7, offrì alla rete l’opportunità di avvalersi di un importante conduttore per sperimentare, in quello spazio, un nuovo e ambizioso progetto editoriale.
Inizialmente, con un titolo ispirato al Che tempo fa di Bernacca, prendendo spunto dall’abitudine, molto british, di “attaccare bottone” parlando del tempo, il programma dava spazio alle informazioni metereologiche italiane e internazionali, collegandosi con personaggi noti e con corrispondenti, per poi allargare il discorso a temi, fatti ed eventi di attualità. In seguito, il programma abbandonerà progressivamente la meteorologia per trasformarsi in un vero e proprio talk show di costume che, grazie anche all’ingresso della Littizzetto nel 2005, e ai prestigiosi ospiti intervistati da Fazio sul modello dei “late show” americani, diventerà un programma-cult, un brand di successo, che identifica fortemente la terza rete.
La forza del brand e la conseguente intensa fidelizzazione del pubblico, unite alla sua strategica collocazione di palinsesto hanno offerto alla rete un’ulteriore opportunità editoriale: la possibilità di sperimentare una programmazione modulare, abbinando Che tempo che fa a quei programmi informativo-divulgativo di prima serata, che avevano target omogenei e durate contenute. E così sono nate le accoppiate vincenti con Ulisse di Alberto Angela, il sabato, e con Report di Milena Gabanelli, la domenica.
Il progetto editoriale si è poi implementato allungando la durata di Che tempo che fa fino alle 21.30, anche nella prospettiva di valorizzare quest’asset strategico per un eventuale traino di nuove produzioni sperimentali.
Va detto che negli ultimi anni questa programmazione modulare è stata abbandonata a seguito dell’allungamento della durata di Che tempo che fa fino a coprire l’intero prime-time. Una scelta discutibile in termini di strategie aziendali (anche per via degli effetti penalizzanti sugli ascolti delle fiction di RAI 1), ma che, comunque, aveva mantenuto alte le performance della fascia prime-time di RAI 3 con share superiori al 10%.
Con il passaggio di Fazio a RAI 1, in questo inizio di stagione 2017, gli ascolti della domenica della fascia prime-time di RAI 3 sono calati al 4,4% di share e il palinsesto appare vincolato alla programmazione di film. Anche la somma degli ascolti di RAI 1 e RAI 3, della stessa fascia, è calata di qualche punto rispetto a quella degli autunni passati: dal 26,6% del 2015, al 23% della stagione autunnale in corso. Per ora ad avvantaggiarsi sembra essere Canale 5, che incrementa il suo share di oltre 2 punti. Ma al di là degli aspetti numerici, sul piano strettamente editoriale occorre notare che il nuovo palinsesto domenicale di RAI 1 offre a Canale 5 un’invitante “zona franca” per collocare la propria fiction di produzione, dopo che, negli ultimi anni, la netta supremazia dei titoli di RAI 1e la discesa in campo di RAI 2, con una propria offerta di fiction, avevano notevolmente ridotto gli spazi di manovra di Mediaset, creandole serie difficoltà di programmazione.
Si tratta di vedere se Mediaset saprà sfruttare quest’opportunità con fiction competitive, in grado perlomeno di eguagliare gli attuali risultati de L’isola di Pietro.
Quella della domenica è stata storicamente una collocazione canonica per le miniserie e per la fiction seriale di RAI 1, che ha registrato in passato ascolti record, anche con produzioni sperimentali: si pensi alla prima serie di Braccialetti rossi che nel 2014 superò i 7 milioni di spettatori con il 26 % di share.
Fino a quando Che tempo che fa, su RAI 3, aveva avuto come orario di chiusura le 21.30, si era creata con RAI 1 un’efficace sinergia, una sorta di staffetta, che vedeva un consistente flusso di pubblico migrare, alla chiusura di Fazio, verso la fiction della rete ammiraglia. Inoltre la forte complementarità dell’offerta delle tre reti RAI (fiction, telefilm, talkshow), rendeva pressoché inattaccabile la sua programmazione domenicale di prima serata, costringendo spesso Mediaset a soluzioni rinunciatarie.
L’indubbia esigenza della rete ammiraglia di diversificare la propria offerta con generi televisivi diversi dalla fiction e dall’intrattenimento, ha trovato una risposta immediata e potenzialmente efficace nell’acquisizione di un programma e di un conduttore di successo, già ampiamente “sperimentati” su un’altra rete, si tratta ora di vedere quali saranno, nel lungo periodo, gli effetti di questa scelta, dalla quale ritengo sia difficile tornare indietro, sull’insieme e sugli equilibri delle componenti editoriali coinvolte.