Visita guidata agli studi napoletani – decisamente fuori dagli schemi – che hanno dato vita a due degli esperimenti di animazione più riusciti e premiati degli ultimi anni: La Gatta Cenerentola e L’arte della felicità.
MAD Entertainment si trova al secondo piano di un bell’edificio tardo-barocco del centro di Napoli, Palazzo Pandola: è qui lo studio napoletano d’animazione dove sono nati due piccoli grandi fenomeni come L’arte della felicità di Alessandro Rak e La Gatta Cenerentola di Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone. In un paese in cui l’animazione per adulti è quasi inesistente, fare due cartoon in quattro anni è quasi un miracolo, ma farli entrambi bene è certamente opera di San Gennaro. E, come vedremo, non è un modo di dire.
Studio dell’anno al Cartoon Movie di Lione, protagonista nei festival con La Gatta Cenerentola (vincitore fra l’altro dei Fabrique Awards come opera innovativa e sperimentale), la MAD è stata paragonata a una piccola Pixar nostrana. Per la qualità dei prodotti realizzati, alternativi fino al midollo e tecnicamente impeccabili, ma anche per il metodo di lavoro “in condivisione”: tutti fanno tutto, l’opinione di ciascuno è importante, your ideas matter direbbero gli americani. Solo che qui, nel cuore di Napoli, non è fiorito un open space luminoso per giovani hipster cresciuti a bacche di goji, cartoon e tisane. Qui è nata “una bottega”, come ci ripeteranno spesso a palazzo Pandola.
Una bottega divisa in due sezioni, a un capo e l’altro dello stesso pianerottolo: la parte creativa e quella amministrativa, che include anche lo studio di registrazione dove sono state arrangiate, scritte e mixate le musiche dei film, finalizzati poi a Roma. La parte per così dire istituzionale della MAD è amichevole fin dall’ingresso a vetri, dove ad accogliere gli ospiti c’è una voce familiare: quella che appartiene, ne La Gatta Cenerentola, all’assistente del re. «Lui è il nostro Marcello Mastroianni – spiega Marino Guarnieri, indicando un uomo gentile alla scrivania, che di professione farebbe il rivenditore di attrezzature cinematografiche – ogni volta che possiamo gli facciamo fare un personaggio nei nostri film». Lungo i corridoi capita di inciampare in uno strumento musicale abbandonato, visto che «qui sono tutti musicisti, e se a qualcuno viene voglia di suonare lo può fare», o in una coppia di poltroncine da cinema, cimeli della prima vita da esercente del produttore Luciano Stella (leggenda vuole che fu al piano superiore del suo cinema, il Modernissimo, che nacque il primo spunto de L’arte della felicità).
E proprio Stella è il cuore di quest’area. La sua stanza, «dove facciamo le riunioni e dove celebriamo lo “stappo” della bottiglia alla chiusura del film», è un piccolo tempio pagano del cinema, tra locandine, pezzi di set, attestati, una maschera da gatto, foto di scena, una gigantografia di Jack Nicholson, un pupazzo di Bozzetto, coppe, trofei, premi. Due premi spiccano, in particolare, l’uno accanto all’altro: «Questo è il premio San Gennaro, il primo che ha vinto L’arte della felicità. E quest’altro pure è il premio San Gennaro, il primo riconoscimento che ha vinto La Gatta Cenerentola. Speriamo che gli porti la stessa fortuna». Non tutti gli autori gradirebbero lavorare con un produttore così vicino, praticamente in casa. Ma alla MAD «ci troviamo bene fianco a fianco con Luciano perché i film non vengono calati su di noi come una concessione dall’alto. C’è compresenza ma anche tolleranza, qui regna un’orizzontalità benefica per tutti».
Per capire il senso di questa orizzontalità basta esplorare l’area “nuova” degli studi, quella creativa, costruita pezzo dopo pezzo di pari passo col procedere dei lavori per La Gatta Cenerentola. Attraversato l’ingresso, superato il cuore pulsante della modellazione dove si lavora su quattro computer alle scenografie e ai personaggi, si raggiunge la stanza comune. Che è luogo di relax (è l’unico posto dove è ammesso fumare) ma anche di lavoro collettivo, stanza per le riunioni e postazione di montaggio condivisa: «Mentre lavoriamo al film il montaggio viene lasciato aperto sul computer – spiega Dario Sansone – Chiunque può mettersi seduto qua e e vedere la situazione, a che punto siamo arrivati, come sta andando». In questo studio, ci spiegano, animatori e modellatori si scambiano le competenze, «per tenere tutto insieme e non segmentare il lavoro».
Tutti fanno tutto è il refrain – incluso portare il caffè. «Non è questione solo di generosità, ma di uno stile di lavoro nato dall’esigenza. Quando Rak voleva realizzare L’arte della felicità, ha dovuto trovare un metodo di lavoro che fosse in scala con il suo piccolissimo budget – ci dice Ivan Cappiello – E così ha messo insieme le persone che conosceva e che amavano l’animazione: gente non esperta ma appassionata e volenterosa, a cominciare dai ragazzi della scuola napoletana di Comics. Il budget ridotto ha portato a soluzioni atipiche, a schemi che sono riusciti a mettere l’essere umano al centro del lavoro. Più che uno studio di animazione questo è un luogo di condivisione, di passione, una bottega. Ci tolleriamo a vicenda per anni puntando al risultato finale». Non c’è distanza gerarchica, per dire, tra la stanza dei quattro registi, con i muri pieni di disegni di bambini («Tra un film e l’altro ne sono nati parecchi»), le tavole di scenografia e un cimelio del film Videodrome, e la stanzetta dove tre stagisti hanno lavorato al corto che precede La Gatta Cenerentola, schizzi alle pareti e un omino di marzapane in cartone che spunta da una scatola (in ogni stanza della MAD c’è un oggetto fuori posto, come in un gioco de La Settimana Enigmistica).
Il prossimo lungometraggio dello studio, l’adattamento della graphic novel di Rak A Scheleton Story, è per il momento in fase di preproduzione. Ma anche se oggi lo studio è fermo, c’è un via vai di persone che arrivano, si propongono, provano un computer, discutono, fumano. «In questa fase lo studio resta a disposizione dei ragazzi che possono usarlo per sviluppare progetti personali – racconta Rak, circumnavigando un albero di Natale crollato a un lato della stanza – In questa specie di anarchia si punta molto sull’iniziativa dei singoli, sulla loro propositività. E chissà che così non nascano nuovi progetti».
Nuovi progetti per cui servirà, inevitabilmente, del tempo. Perché lo studio non cede di un millimetro a tentazioni più commerciali («Le serie a cartoni? Oggi sono un lavoro a catena di montaggio. Rispettiamo chi le fa, ma richiedono competenze diverse dalle nostre»), anche se a budget più grandi, si intende, non direbbe di no. «Però da grandi budget derivano grandi responsabilità. Certo ci piacerebbe strutturarci meglio, ma da outsider possiamo permetterci il lusso della sperimentazione, perché il rischio di investimento è ridotto». Meglio essere liberi creativamente che sudditi della produzione a ogni costo.