Amico e collaboratore di Rodolfo Migliari di Chromatica (due David di Donatello per Il divo e La grand bellezza), il giovanissimo Luca Della Grotta, orgogliosamente autodidatta, racconta le sfide tecniche affrontate con Sorrentino.
Come sei arrivato agli effetti visivi?
Tutto è iniziato quando ho lasciato l’università perché sentivo che mi dava ben poco, e non potevo permettermi di frequentare una scuola professionale all’estero. Mi sono messo a studiare per conto mio e da lì ho iniziato il mio percorso partendo dalla grafica, la cosa più semplice che si può fare a casa quando si hanno vent’anni. Sono passato al web, poi ho scoperto il 3D e quindi ho iniziato a lavorare con illustrazioni per l’architettura. Da lì sono approdato al video e ho iniziato a fare effetti visivi per clip musicali. All’inizio ero solo un ragazzino che cercava una strada alternativa, e ora eccomi alle prese con il grande cinema.
Come lavori in concreto?
Nel cinema italiano lo scopo del nostro lavoro è fare quello che serve senza far vedere che è stato fatto. In America, dove si realizzano prodotti più eclatanti e volutamente tutti finti, ovviamente è diverso. Ma se fai un film come La grande bellezza Roma deve essere Roma, al massimo un po’ “ripulita”: a volte si tratta proprio degli inestetismi della città, da parabole e condizionatori montati su palazzi dell’Ottocento a lunghi piani sequenza che vanno “perfezionati”, perché con sampietrini e dislivelli ottenere dei movimenti sempre fluidi è complesso. Poi ci sono gli interventi più massicci. Ad esempio girare nelle proprietà del Vaticano è molto difficile, per cui la scena della Scala Santa è stata filmata dentro Palazzo Spada, e noi l’abbiamo trasformata. Sempre nel caso della Grande bellezza appaiono anche animali, che dovevano sembrare molto statuari, quindi molto difficili da realizzare. In America, dove per un solo animale ci lavorano magari trenta persone per un anno e mezzo, quando vengono proposti animali simili il linguaggio visivo è diverso: spesso c’è un montaggio veloce, un’azione concitata. Qui invece gli animali si vedono a lungo: penso ad esempio ai fenicotteri, che sono stati la sfida più difficile. La giraffa invece è un effetto non previsto, perché all’ultimo momento era saltata la possibilità di usarne una vera.
Seguite molti progetti, anche se in teoria siete una piccola società…
In parte dipende dal fatto che siamo in pochi a essere integrati da tempo nell’industria cinematografica. Però sono nate e continuano a nascere molte società di effetti visivi: sono tantissimi i giovani che si mettono sul mercato. La nostra fortuna è che ci sono persone che hanno creduto in noi e da anni continuano a farlo. Ma il motivo principale per cui lavoriamo tanto è che siamo spinti dalla passione: non siamo una multinazionale gelida in cui parli con dei rappresentanti. A noi al contrario piace definirci uno studio artigianale.
Conosciamo i problemi che ci sono nel nostro paese per chi vuole produrre un film, o fare il regista o l’attore. Ma com’è la situazione del vostro ambito?
Credo che i clienti in un momento di difficoltà come questo vogliano sincerità. Occorre essere onesti rispetto al budget necessario, dire chiaramente che certe cose verranno male con i soldi che ci sono a disposizione, ed è meglio non farle. Tante aziende lo farebbero comunque, o magari anche chi deve imparare perché è giovane. Il fatto che ci siano società giovani che vogliono crescere è solo un bene, ma i problemi ci sono e bisogna stare attenti. In primo luogo c’è il rischio di uccidere il mercato, e poi di fare cose di scarsa qualità. Si vuole chiudere il prodotto con pochi euro, e se vende pur essendo scarso la qualità passa in secondo piano. La liberalizzazione totale di tutto comporta questo, oltre a una mobilità che sta spiazzando tutti. Ad esempio in Italia non esiste ancora un’associazione di categoria: per lo Stato siamo generici artigiani…
C’è un film a cui sei particolarmente affezionato ?
Ogni prima volta di qualcosa per me è stata importante. La primissima volta però è stata Il divo: ho avuto la fortuna di fare un film bello e difficile. Ero un po’ spaventato: la più grande emozione è stata vedere proiettato a Cannes il nostro lavoro in grande con la sala strapiena. Hai paura di aver fatto un errore, che nessuno se ne sia accorto prima e che lì si veda. Ad esempio, la cosa a cui ho lavorato principalmente è la sequenza dei titoli di testa con gli omicidi, con i titoli scritti in rosso e “incollati” alla scena, una cosa che all’epoca non si era ancora vista.
Ma ci sono state anche altre prime volte. Una che ricordo con simpatia è La kryptonite nella borsa, per cui ho creato dei pulcini finti. Al piccolo protagonista muore un amico e il padre per consolarlo gli porta a casa dei pulcini da accudire; il problema è che il padre dà da mangiare a questi pulcini cibo inadatto, e loro iniziano a morire uno dopo l’altro. L’ultimo scappa e si suicida dal balcone, che è una cosa triste, ma come in ogni buona commedia all’italiana fa anche ridere. Per cui lo scopo del gioco era creare dei pulcini che sembrassero veri ma facessero ridere, degli attori a tutti gli effetti. E lì abbiamo fatto un bel lavoro: vedere le persone in sala che ridono dà una grande soddisfazione. Ma dà anche una grande soddisfazione creare effetti che la maggior parte le persone non notano: vuol dire che nessuno ti fa i complimenti perché non sa cosa hai fatto, e dunque il lavoro è venuto bene.
Com’è lavorare con Paolo Sorrentino?
È sempre una sfida, perché lui pretende molto da tutti, è costantemente alla ricerca della perfezione. Per capirci: all’inizio della Grande bellezza si vede la scena brevissima di un cane che viene tirato da un domestico. Non si poteva trascinare un cane vero perché sarebbe stato maltrattamento, e poi Paolo cercava l’effetto comico, quindi serviva lavorare in digitale. Su questa scena che dura circa 60 fotogrammi (due secondi scarsi) c’è stata una ricerca sul movimento pazzesca. Ci abbiamo lavorato tantissimo, finché non era esattamente come voleva lui.