Daniele Bigi, comasco doc, da oltre 12 anni lavora nei più importanti studi d’effetti speciali, tanto da essere diventato uno dei talenti d’eccellenza di questo settore. Anche se lui continua a essere il ragazzo di sempre. Dopo la laurea in Disegno Industriale conseguita al Politecnico di Milano, sono arrivate le prime collaborazioni ad Atlanta, Bangalore, proseguendo all’Ardman Animation di Bristol, fino all’approdo in Inghilterra, ormai la sua seconda casa. Dapprima alla Framestore, poi per sei anni nella prestigiosa Moving Picture Company, arrivando, da poco più di due anni, nell’olimpo del settore, la ILM, Industrial Light&Magic, fondata da George Lucas nel 1975, oggi passata alla Disney. Una carriera fulminante la sua, ricoprendo incarichi sempre più diversi, da look developer e lead lightner in lavori come Harry Potter e i doni della morte, X-Men, First Class, diventando in poco tempo CG Supervisor in Seventh Son, Prometheus, Guardiani della Galassia, così nella sua nuova avventura su progetti come Ant-Man e l’acclamato Doctor Strange. «Tutto è nato guardando pellicole come Jurassic Park e Terminator 2, in quel momento capii che volevo intraprendere questa strada».
Un percorso necessario e da tenere molto segreto: «Ci sono delle regole interne che dobbiamo rispettare riguardo ai contenuti che vediamo in anteprima. Ma al tempo stesso c’è grande apertura, possiamo vedere tutto o quasi di ciò che altri colleghi stanno portando avanti, periodicamente ILM organizza per proiezioni, c’è un ottimo rapporto. Il fatto che la compagnia sia passata alla Disney spesso ci mette nelle condizioni di poter dialogare con i colleghi del team tecnico di Pixar e accedere alle loro tecnologie, partecipando spesso ai meeting organizzati dagli sviluppatori».
Ed è proprio dall’ultimo progetto, quel Doctor Strange nominato all’Oscar per gli effetti speciali, che Bigi prosegue il suo racconto tecnico e affascinante: «È stata una delle esperienze maggiormente avvincenti, dove mi sono ritrovato anche realmente sul set. Negli studi di Long Cross a Londra si è lavorato a una scena di combattimento, la “Hong Kong Reverse Destruction sequence”. C’erano alcuni aspetti da seguire, rispondevo e consigliavo in termini di illuminazione, se il green screen doveva essere illuminato ad esempio in un certo modo, per evitare problemi nella fase di chroma key. Verificavo soprattutto come venissero posizionati i 4-5 lidar scan, macchine dotate di testa ruotante a 360°, capaci di colpire una superficie con dei laser, usate in diversi settori industriali per l’acquisizione di misure ad alta precisione. Nel nostro caso – continua Bigi – i laser si attivavano a intermittenza con intervalli di decimi di secondo, colpendo gli oggetti circostanti e registrando la distanza tra la testa del lidar e il punto colpito dal laser. Dopo diverse ore di acquisizione dati, il tutto viene salvato in una “nuvola di punti”, chiamata point clouds, che successivamente viene usata per creare un modello poligonale 3D. Questo lavoro è stato fondamentale per poter costruire l’estensione digitale del set in modo che combaciasse perfettamente con quello reale creato in studio».
A sentirlo parlare tutto sembra molto semplice, in realtà il settore in cui opera è ancora un mondo che spesso deve essere compreso, spiegato, e nulla sui termini può essere lasciato al caso. «È stato complesso, non solo abbiamo creato delle forze fittizie che spingessero i palazzi senza andare a coprire gli attori, ma ci siamo soffermati su ogni frammento caduto, chiedendo che fosse girata una library con quattro telecamere, posizionate da prospettive diverse. Nel nostro settore le “librerie” sono un insieme di micro scene, richieste per inserire degli extras (comparse) che, talvolta, consigliamo di girare indoor con il green screen: gruppi di persone che corrono, cadono, fanno finta di essere spaventati, ma anche fiamme, esplosioni, fumi. Clip che, in post produzione, usate in fase di compositing, diventano fondamentali per riprodurre e simulare in digitale».
Archiviato un lavoro complesso e ambizioso, la sua prossima sfida è già avviata e sarà focalizzata su Ready Player One, il nuovo atteso film di Steven Spielberg, sempre per ILM, tratto dal romanzo di Ernest Cline.
«Parliamo di una storia che si ispira al mondo dei videogame, in questo senso è stata già fatta una pre-visualizzazione, ora comincia il bello. È presto per dirlo, ma ci sono le basi per creare un punto di vista visivo nuovo. L’altra cosa interessante sarà il fatto che appassionerà pubblici e culture diverse, secondo me potrebbe rivelarsi un successo incredibile. Il lavoro creativo è davvero enorme, per ora stiamo solo animando, la cosa che mi ha colpito però è quanto lo stesso Spielberg riesca a darci in termini di feedback. Con lui abbiamo call periodiche, è incredibile. Fornisce note, dettagli, è attento a ogni aspetto. A differenza dei precedenti incarichi sarò Associated V-Effect Supervisor, un ruolo intermedio, in cui vengo coinvolto in aspetti tecnici, però seguo meeting legati anche ad argomenti più estetici ed espressivi».
Si parla del presente, con lo sguardo però rivolto a cosa il futuro del settore potrà ancora regalare. «Il fatto che in Rogue One sia resuscitato digitalmente un attore come Peter Cushing è già un segno tangibile di avanzamento, una maturità tecnologica che dimostra come ILM sia una delle migliori compagnie in circolazione. Dopo un progetto come questo ti rendi conto che c’è ancora molta strada, il problema sarà la qualità, la ricerca della perfezione. Il fatto di non conoscere però tutto è la molla per sperimentare e innovare».
Tuttavia un passo in avanti l’artista italiano lo anticipa già: «Si sta parlando di passare a una risoluzione a 4k, questo creerà problemi nei tempi di rendering. La tecnologia dei proiettori, TV, che quasi tutti oggi possono comprare, i sensori delle telecamere, è avanzata negli ultimi otto anni al punto che la scena di Doctor Strange è stata girata a 6k. Succederà presto, la larghezza dell’immagine arriverà circa a 4000 pixel, anche alcuni cinema ne sono dotati, dovremmo essere tutti pronti».