Il cinema è il passato della realtà virtuale, parola di Michel Reilhac

Vive tra Parigi e Berlino e per oltre dieci anni è stato direttore esecutivo di Arte Cinema France, coproducendo circa 28 lungometraggi l’anno, tra cui: Blancanieves, Lebanon, 2046, Tom à la ferme, Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, Tomboy, Melancholia e Nymphomaniac (la lista si allungherebbe con nomi come Wim Wenders, i fratelli Dardenne, Aki Kaurismaki e Michael Haneke), non mancano gli italiani: sono passati da lui Il divo, Corpo celeste, Le chiavi di casa, Nuovomondo. Dal 2008 comincia a interessarsi a tutte le forme di narrazione ibrida che offrano al pubblico un’esperienza partecipativa e interattiva. Nel 2012 lascia Arte per dedicarsi esclusivamente ai suoi progetti personali; lo stesso anno Le Film Français lo elegge uomo dell’anno.

Oggi Michel Reilhac, independent transmedia storyteller e pionere delle nuove forme di narrazione, insegna e tiene workshop in occasione dei maggiori eventi internazionali; oltre ad essere a capo del Biennale College Cinema di Venezia. Scrive e dirige i suoi progetti alternando experience design, gaming e altre forme di interazione e ci spiega perché non ha dubbi che la realtà virtuale, sua nuova scommessa, rivoluzionerà completamente il nostro modo di intendere e vedere i film e perché questo non deve spaventarci.

Fabrique l’ha incontrato al BFI London Film Festival, nell’ambito di “Power to the Pixel”, l’evento collaterale al  dedicato ai new media e ai progetti crossmediali e interattivi.

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Michel Reilhac

La realtà virtuale è effettivamente il futuro del cinema?

Come fu per la TV, le videocassette, i DVD e, recentemente, Internet, la realtà virtuale non ucciderà il cinema, piuttosto andrà ad aggiungersi al panorama, già vasto, delle esperienze audiovisive. Il cinema, come lo conosciamo oggi, continuerà a esistere, nello stesso modo in cui i libri e la radio sono ancora (largamente) parte del nostro mondo, nonostante esso sia costantemente in evoluzione… il cinema rimarrà una piacevole forma vintage di intrattenimento. La realtà virtuale userà il linguaggio del cinema mentre ne sviluppa uno proprio (in questo c’è la vera continuità tra l’esperienza del film e quella della realtà virtuale) ma nel momento in cui il cinema inventerà la sua tipologia di futuro le due cose prenderanno strade diverse. Quindi direi che il cinema è certamente il passato della realtà virtuale ma quest’ultima non è il futuro del cinema.

 Come storyteller e artista, la realtà virtuale cosa ti permette più del cinema tradizionale?

La realtà virtuale crea un ambiente totale nel quale lo spettatore è libero di decidere dove focalizzare la sua attenzione, aggiunge una dimensione di interazione che è completamente assente nel cinema tradizionale, permettendo di ricreare un universo narrativo totale e quindi realizzare pienamente la dimensione esperienziale della storia che si vuole raccontare. Scrivendo storie da realizzare con la realtà virtuale mi sono accorto che le tre principali qualità che questa tecnologia aggiunge al racconto sono: l’immersione, la presenza e l’empatia. Chiaramente per il creatore e lo sviluppatore il lavoro è molto più difficile, perché questo tipo di impianto richiede la creazione di un intero mondo e non soltanto una finestra (quella dello schermo sul quale è proiettata l’immagine) su un ipotetico mondo. È un tipo di esperienza molto più completa, più reale e, in definitiva, più autentica.

Sembrerebbe paradossale definire più autentica” la realtà virtuale …

(Ride) Concettualmente forse sì, ma a livello realizzativo un film in realtà virtuale prevede un campo d’azione a 360° quindi è impossibile nascondere ogni eventuale trucco fuori dallo schermo e in questo, secondo me, c’è una dimensione etica di purezza che mi piace molto.

Quindi, a questo punto, come cambia la realizzazione di un film?

Cambia la dimensione spaziale nella quale concepisci la storia e, di conseguenza, sia la sua scrittura che la sua regia. Come ti dicevo è tutto a 360° e questo devi tenerlo costantemente a mente: i suoni, le immagini, le azioni, gli attori, le luci … la realtà virtuale diventa un mezzo emotivo nel quale ti ritrovi a essere un experience designer più che un narratore. A livello tecnico siamo ancora in una prima fase di sviluppo; la questione dei raccordi tra le varie camere che compongono l’inquadratura totale è ancora uno degli ostacoli principali; il prossimo vero passo sarà compiuto quando il rilevamento e la riproduzione dei movimenti nello spazio virtuale diventerà una cosa semplice da realizzare… da quel momento in poi, con due o tre anni la realtà virtuale diventerà un mezzo straordinariamente popolare.

Un altro dei principali nuovi oggetti di discussione è lo studio dell’osservatore e la sua posizione, e data la prospettiva soggettiva di un’esperienza come questa, è cosa con la quale dobbiamo assolutamente fare i conti. Ad esempio: che differenza fa, all’interno del mondo narrativo, avere o meno un corpo? Quanto potere decisionale è giusto che abbia sull’andamento della storia essendo coinvolto nella storia a un livello così profondo? Da regista, quanto è giusto che io dia allo spettatore (che non è più solo uno spettatore ma diventa a tutti gli effetti un fruitore)?

Tra le maggiori critiche mosse alla realtà virtuale c’è il suo essere totalmente isolante, eppure ho notato che immediatamente dopo aver terminato la visione le persone non vedono l’ora di parlarne e condividere le proprie reazioni. Sembrerebbe che, per assurdo, la realtà virtuale costruisca comunità attraverso l’isolamento, com’è possibile? Dov’è il trucco?

È esattamente come con i libri: nessuno si è mai lamentato che leggere un libro è un’esperienza solitaria. Gran parte del piacere della lettura sta proprio nel leggere da soli, completamente isolati nella bolla immaginaria del mondo raccontato dal libro, nel quale ti immergi completamente; però, appena finito di leggerlo, hai una gran voglia di condividere le tue opinioni ed emozioni con chi ha letto lo stesso libro.

La realtà virtuale è esattamente la stessa cosa: progressivamente scopriremo, e impareremo ad accettare, che la dimensione isolata dell’esperienza in realtà virtuale è ciò che la rende speciale, forte e decisamente personale. Ma, allo stesso tempo, la realtà virtuale diventerà un modo di abbattere le distanze, di incontrarsi, giocare, creare e discutere insieme in un luogo comune virtuale.

Questo è il motivo per cui Facebook ha comprato Oculus Rift per oltre 2 miliardi di dollari un anno e mezzo fa: perché la realtà virtuale è il futuro delle riunioni e degli incontri di gruppo.

La realtà virtuale sta progressivamente connettendo i film ai videogiochi?

Il mercato principale della realtà virtuale è sicuramente quello dei videogiochi. Quello sarà sicuramente il principale traino per spingere le persone a comprare attrezzature e contenuti di realtà virtuale quando, all’inizio del prossimo anno, aprirà il mercato. Alcune cose si trovano già in commercio ma principalmente sui mercati asiatici e negli Stati Uniti.

Il mondo del cinema fino adesso ha completamente ignorato l’industria dei videogiochi, considerandola una forma di intrattenimento di livello inferiore, e nel frattempo produttori e sceneggiatori di videogiochi si sono appropriati pienamente del linguaggio del cinema, facendo sì che quello dei videogiochi sia oggi già pienamente calibrato e stabile per le nuove forme di realtà virtuale.

I videogiochi somigliano sempre di più ai film e i giocatori richiedono sempre più una dimensione psicologica ed emotiva dei personaggi e delle storie che gli vengono offerte. I game designers non sono stati ad aspettare l’avvento della realtà virtuale per fare giochi che sono, sempre di più, dei “film giocabili” e questo processo è ancora in costante evoluzione. Mi preoccupa l’idea che un bel giorno l’industria cinematografica si risvegli trovandosi indifesa e debole, scoprendo di colpo cosa è successo mentre ignorava il mondo che gli scorreva intorno.

Le tecnologie per la realtà virtuale sono in costante miglioramento e sempre più storie vengono sviluppate in quella direzione; come narratore, produttore e ora pioniere di questo mondo, dove credi che la realtà virtuale stia conducendo l’intera questione narrativa?

Come ho detto la realtà virtuale sta trasformando sempre di più lo storytelling in un’esperienza completamente immersiva, dove le possibilità degli spettatori saranno sempre più ampie e sempre più profonde.

In questo senso, la realtà virtuale corre il rischio di diventare profondamente disconnettiva, creando un’incredibile dipendenza per quelle persone che, per qualsiasi motivo, hanno il desiderio di mettere distanza tra loro e il mondo reale. I ragazzini, che in quanto nativi digitali sono già tagliati fuori dal mondo reale attraverso un uso estremamente intensivo dei social network e del gioco online, saranno decisamente a rischio di disconnettersi ancora di più con i giochi in realtà virtuale.

Quello che succederà per certo, è che la realtà virtuale aumenterà di molto il gusto del pubblico per l’interazione con le storie e la popolarità dei giochi di ruolo.