Come abbiamo creato i VFX di “Jungle Book”

Il film di Jon Favreau ha segnato un nuovo punto di arrivo nel cinema internazionale sotto il profilo degli effetti visivi: Gianluca Dentici e Korinne Cammarano, che hanno lavorato al film nello staff londinese della società leader dei VFX MPC, ci spiegano come e perché.

Quali sono stati i tempi di lavorazione e quante le persone impiegate?

Gianluca e Korinne: Jungle Book è stato certamente il progetto filmico più grande che MPC abbia mai realizzato sino ad ora, sia in termini di tempo che di artisti coinvolti, il film ha infatti impiegato circa due anni per venire alla luce, dal concepimento fino al termine della post produzione. In totale sono stati coinvolti circa 800 artisti tra le sedi di Londra e quella di Bangalore in India per un totale di quasi un anno di post produzione. Come molti sapranno, il film ha richiesto tutto questo tempo perché l’ambientazione nella giungla e gli animali sono stati interamente realizzati in CG e l’unico attore vero è Neel Sethi, che interpreta Mowgli, anche se in qualche caso è stata utilizzata anche una controfigura digitale. Le riprese reali del film si sono svolte a Los Angeles all’interno di un teatro blue screen di modeste dimensioni, dove sono state ricreate piccole porzioni di scenografia per aiutare l’attore a interagire con alcuni elementi fisici e l’impiego di sagome e praticabili dipinti di blu, poi sostituiti dalle immagini in CG.

Il film è davvero di un realismo finora mai visto nonostante i personaggi siano… animali parlanti!

G. K. Il metro di misura a cui tutti sino a ora ci riferivamo quando si parlava di un film realizzato interamente in CG era ovviamente Avatar, ma in Jungle Book lo sforzo è stato di gran lunga superiore per due motivi: anzitutto l’ambientazione doveva avere un sapore realistico, quindi differente rispetto a quella fantastica di Avatar, e poi per la presenza di animali reali che tutti ben conosciamo, invece delle creature immaginarie Ridley Scott.

Spiegateci il più possibile nel dettaglio le tecniche impiegate per raggiungere questo effetto.

G. K. Durante le riprese il regista Favreau insieme al supervisore degli effetti visivi Rob Legato (premio Oscar per Titanic) avevano a disposizione un sistema Simulcam della società 3rd Floor, che si è occupata della gran parte della previsualizzazione del film: questo permetteva di visualizzare contemporaneamente la scena live e il set in CG (seppur in bassa qualità). Il regista aveva quindi la possibilità di muovere la macchina da presa in piena libertà nello spazio del set visualizzando sul monitor un’idea del tutto fedele di quella che sarebbe stata l’inquadratura finale.

Per l’interazione con gli animali della foresta, l’attore è stato aiutato da alcuni performers della Jim Henson’s Creature Shop, che hanno impiegato piccoli puppet anch’essi dipinti di blu per recitare insieme al piccolo Neel Sethi. Questi stessi performers hanno anche indossato delle tute blu per altre scene del film, come ad esempio quella in cui le scimmie rapiscono Mowgli. In realtà sul set i performers simulavano i movimenti delle scimmie sollevando il piccolo attore e facendolo volteggiare. Le scimmie sono state realizzate dalla società WETA Digital, famosa per Avatar, Lord of the Rings e ovviamente il Pianeta delle scimmie.

Nel frattempo a MPC si preparava un grandissimo lavoro di animazione dei personaggi e di costruzione delle ambientazioni. Per darvi qualche numero, sono 54 le specie animali animate, considerando ovviamente anche quelle di secondaria importanza, mentre le ambientazioni digitali sono 284 con 500 differenti tipologie di piante. Il lavoro di ricerca si è basato su circa 100.000 reference fotografiche che sono state scattate in 40 location indiane, infatti il ruolo della sede indiana di MPC ha avuto un ruolo fondamentale per la riuscita del film. Sono state fotografate rocce, sassi, alberi, piante, foglie.

Una volta approvate le pre-composizioni mostrare al regista, il lavoro prosegue poi in altri reparti come quello del texturing, che si occupa di inserire le superfici e i colori della pelle dei personaggi, così come l’aspetto degli environment, e successivamente il reparto di lighting rifinisce l’illuminazione finale, genera i riflessi e le ombre.

L’ultima fase è quella del compositing, reparto dove io e Korinne abbiamo lavorato, ed è quello dove le scene prendono vita; l’attore viene scorporato dalla ripresa in blue screen e inserito nel contesto interamente digitale. La difficoltà di questa fase sta proprio nell’amalgamare in maniera realistica i due elementi. A seguire tutte le fasi di lavorazione del film e specialmente quella di finalizzazione in compositing c’era con noi Adam Valdez, VFX supervisor di MPC.

Per alcune scene di particolare complessità il supervisore ha preferito utilizzare un digital double, ovvero un Mowgli virtuale che è stato scannerizzato utilizzando il Lightstage della University of Southern California, sistema inventato da Paul Debevec. Grazie a questo sistema è stata ottenuta una qualità della pelle fedele all’attore reale e un dettaglio elevatissimo. In qualche caso nemmeno il colorist del film riusciva a capire se l’attore fosse virtuale o reale.

MPC ha generato un totale di 1984 TB di dati per circa 240 milioni di ore di rendering.

Quali i software impiegati?

G. K. I software impiegati sono stati ovviamente tanti considerando i vari reparti coinvolti, ma in generale Maya per la modellazione e animazione dei personaggi e ambienti, Zbrush e Mudbox anche per lo sculpting delle ambientazioni, Katana per il lighting, Renderman per il rendering e Nuke per il compositing. Ovviamente sono stati sviluppati molti tool in tutti i reparti e molte procedure di lavoro, in quanto la pipeline doveva essere condivisa e impiegata da tantissimi artisti, come abbiamo detto anche in sedi distanti. Bisogna ricordare inoltre che Jungle Book è un film nativo in 3D stereoscopico: questo ha significato per tutti i reparti la gestione di due flussi di dati, uno per il canale destro e uno per quello sinistro, e ciò si traduce in doppi tempi di calcolo e un incremento della sofisticazione generale di tutti i processi. Le scene infatti dovevano essere controllate anche dai supervisori della stereografia affinché non risultassero fastidiose agli occhi dello spettatore o errate nella loro collocazione nello spazio tridimensionale.

Potete commentare i momenti del film più significativi dal punto di vista dei VFX?

G. K. Mowgli sulla pancia di Baloo nel fiume è forse tra le scene più complesse. È stata ricostruita in esterni una piscina dove è stata posizionata una sagoma blu semovente di Baloo su cui l’attore era seduto. Per far sì che l’attore reale avesse delle reazioni in base ai movimenti dell’orso, la Legacy Effects ha inserito nella sagoma un sistema idraulico motion control in grado di muoversi con gli stessi movimenti che erano stati attribuiti a Baloo in fase di pre-animazione. Nella fase di post produzione, per ragioni tecniche, le gambe di Mowgli sono state sostituite da quelle in CG, quindi all’interno di alcune inquadrature, di cui tra l’altro io [Gianluca], mi sono anche occupato, l’attore è per metà vero e per metà virtuale.

Di quali scene vi siete occupati in particolare all’interno della lavorazione?

Korinne: Ho lavorato principalmente nella sequenza finale del film, cioè quella del combattimento tra gli animali nella giungla in fiamme. La lavorazione è stata particolarmente complessa perché l’intera scena è molto concitata e l’animazione degli animali che combattono molto rapida, quindi enfatizzare i momenti cruciali in quasi assenza di luce ha richiesto un lavoro di bilanciamento molto accurato.

Gianluca: Per quanto mi riguarda mi sento di citare la sequenza del raduno dei lupi durante la pioggia. Ovviamente la resa del pelo bagnato degli animali ha richiesto un grande impegno sia da parte del reparto di FX che del nostro di compositing, con il trattamento separato di ogni singolo elemento che è stato possibile solo grazie all’impiego di una metodologia chiamata Deep Compositing. Ho anche lavorato alla sequenza della tigre nella grotta durante il ricordo di Mowgli bambino, qui abbiamo inserito la bruciatura digitale della tigre Shere Khan.

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Com’è organizzata una megaproduzione Disney? Da profani ci si immagina vari team al lavoro sparsi per il mondo, molto verticalismo… È così?

G. K. È esattamente così, ed in generale è il funzionamento di tutte le grandi compagnie che lavorano nel settore dell’entertainment. Il supervisore agli effetti del film è colui che fa da ponte tra la produzione e le società che partecipano alla realizzazione degli effetti, garantendo cosi la continuità visiva e lo scambio di comunicazione per tutta la durata del progetto. Si tratta di una figura al di sopra delle parti, il quale, non appartenendo alla società di effetti visivi, cerca di ottenere il miglior risultato visivo per soddisfare il cliente. Jungle Book, insomma, segna una tappa davvero importante dal punto di vista produttivo e da quello del risultato visivo raggiunto, sforzi premiati da ottimi incassi al box office. Ci auguriamo che vengano riconosciuti anche dall’Academy americana.

(Ringraziamo Jonny Vale di MPC)