Max, il dolore serve?
Si Pier, almeno quanto la felicità
La Gabbia è un testo a due di teatro contemporaneo. Parla di alcune condizioni mentali che si presentano nel nostro inconscio quando proviamo a nascondere quello che siamo. Una metafora, quella dei due uomini la cui gabbia è la loro malattia mentale, i loro difetti. Un sonnambulo, lucido di giorno ma non di notte, ha ucciso la moglie nel sonno (motivo della sua detenzione nella cella), l’altro invece soffre di allucinazioni psicotiche e cambia versione dei fatti ogni volta che parla della sua vita privata, confonde una realtà per un altra (il motivo della sua detenzione resta ignoto). Un viaggio all’interno di una gabbia non solo fisica ma mentale, dalla quale sembra impossibile scappare, con dialoghi apparentemente insensati e quieti ma che vibrano di paure e trovano sempre un giro di volta nel senso di questi due personaggi. Loro sognano un futuro migliore. Noi con loro. Ambientato in una cella d’isolamento, per raccontare che spesso nei nostri difetti e nelle nostre paure restiamo fermi, questo testo parla di un futuro o un presente dove il mondo è distrutto da una catastrofe e dove, forse, la gente è quasi contenta di questo perché può ricominciare da zero.
Massimiliano Frateschi, attore e autore in questo testo, racconta: “Ciò che viene rappresentato in scena è una metafora del nostro inconscio. Tutte le volte che proviamo a nasconderci o tentiamo di non vedere, di evadere i nostri difetti, la nostra gabbia si rivolta contro di noi, schiacciandoci. I due uomini rappresentano la doppia faccia della nostra mente, così come molto spesso accade con i nostri pensieri o con le scelte diverse che dobbiamo affrontare. La loro malattia è il loro difetto tragico, cioè quella condizione fisica dalla quale non possono uscire, poiché uno è un sonnambulo e l’altro un allucinato dalla nascita. Questi difetti auto-sabotano di continuo la loro fuga dalla cella. Così come i nostri difetti tragici ci impediscono di andare avanti o di essere felici.”
“Inoltre una cella d’isolamento è nota per essere lo spazio di un solo individuo, e loro sono in due a viverla. Perché i nostri pensieri stanno stretti, nello stesso spazio. E’ un modo per raccontare una condizione che spesso sento e che credo sentano tutti. La gabbia nei miei difetti, nei miei troppi pensieri, nelle paure, nel mio passato, e anche nella paura del futuro, condizioni solite, che affrontiamo chiacchierando di musica e di viaggi nello spazio con amici. Per non pensare. Ambientata in un tempo qualunque e un luogo qualunque, questa “gabbia” potrebbe essere fisicamente in un campo di concentramento, come in un ufficio in cui lavoriamo, non importa, conta come ci si sente dentro. Di sicuro un luogo grigio e senza sfumature, dove il colore delle pareti si mischia con quello dei pensieri. Dove c’è così tanto silenzio da fare rumore. Dove l’orizzonte e il mondo fuori sono così lontani da sembrare una fantasia che provenire da dentro di noi. Che sogniamo.”
“Il loro mondo è distrutto da una catastrofe, cosa che forse di nascosto ognuno di noi desidera per appaiare gli equilibri di questa società dismessa, ma dove alla fine la luce della luna ci fa sognare quel futuro migliore, in cui tutto può ricominciare da zero. E proviamo a scappare. I nostri difetti che meschini continuano a tornare bloccandoci ancora e ancora, iniziano a farci mancare l’aria, anche se facciamo finta di non pensarci. E proviamo di nuovo a scappare. E poi capiamo che solo la morte ci può liberare dai nostri incubi e dalle nostre allucinazioni e dai nostri difetti. Forse. Ma forse nemmeno quella. Intanto vale la pena di riprovare a scappare. Max e Pier ci provano in una giornata senza più ne meno.”
Massimiliano Vado, il regista de La Gabbia, invece riassume così l’opera: “Misurarsi con l’impercettibile, sfidando la comprensione di diversi piani di lettura che si intrecciano con una realtà in cui si sfogano eventi apocalittici; colpe personali che si pagano con vie crucis verbali, conversazioni semplici che nascondono strati di abulia e insoddisfazione, eccessi di rabbia che nascondono verità molteplici. Nella gabbia di un carcere, si sommano questi ed altri elementi, spingendo chiunque ci capiti dentro a fare i conti, oltre che con il tempo che passa, anche con le colpe della propria coscienza. È una linea di destino che ci spinge al limite, ci mette alla prova, come attori e come regista, oltre che come persone, perché la sfida lanciata a se stessi ha bisogno del conforto di essere raccolta. Si osa passando per l’umano, ci si rinchiude, ostentando fragilità, ci si misura come uomini sapendo che il risultato non sarà mai scontato. In fondo non siamo qui solo per passare il tempo; in teatro alcuni minuti sembrano anni.”
La Gabbia, in scena dal 2 al 12 Maggio al Teatro Brancaccino e co-prodotto dalla INTHELFILM.