In concorso a Cannes con il suo ultimo lavoro Blakklansman, Spike Lee è considerato uno dei più celebri registi afroamericani: nei suoi film ha trattato importanti temi politici e sociali come il razzismo, le relazioni interrazziali, la discriminazione e l’integrazione.
Nonostante sia nato in Georgia da un padre jazzista e da una madre insegnante, Shelton Jackson Lee è stato il cantore di New York. Nel 2015 ha ricevuto l’Oscar alla carriera e di recente, insieme alla moglie (ovvero la produttrice Tonya Lewis), ha realizzato per Netflix la serie-tv She’s Gotta Have It tratta dal suo omonimo film d’esordio del 1986, conosciuto in Italia con il titolo Lola Darling. Spike Lee produce, dirige, monta e persino recita in She’s Gotta Have It.
Il film racconta di una ragazza afroamericana, un’artista indipendente che vive in un minuscolo appartamento di Brooklyn, e delle relazioni che ha con i suoi tre amanti. La prima scena del film è tutta per Nola Darling (Tracy Camilla Johns – Lola nella versione italiana), che seduta sul suo letto si rivolge alla telecamera: «Vorrei farvi sapere che l’unica ragione per cui sto facendo questo è perché la gente pensa di conoscermi».
Nola rivendica con decisione la propria libertà, rifiuta le etichette e vive con disinvoltura la sua sessualità. La scelta di una protagonista afroamericana era quasi una novità assoluta per l’epoca, probabilmente l’unico precedente era Whoopi Goldberg nel film Il colore viola diretto da Steven Spielberg.
Il film fu girato in dodici giorni nel corso di una lunga e calda estate, con un budget limitato al quale contribuirono diversi amici, compresa la nonna di Spike Lee con ben quattromila dollari. Per ridurre ancora di più i costi, il regista ha offerto alcuni ruoli a conoscenti e parenti: la sorella ha interpretato la migliore amica di Nola e il padre ha recitato la parte della figura paterna di Nola, oltre ad aver composto la colonna sonora del film.
She’s Gotta Have It non ottenne un gran successo di critica ma racimolò qualche premio in USA e in Europa e un incasso di sette milioni di dollari. Inoltre, il personaggio interpretato da Spike Lee, Mars Blackmon, divenne una vera e propria icona afroamericana: il regista lo interpretò anche nelle pubblicità che diresse per le Air Jordan, le Nike di Michael Jordan, da cui è tratta l’iconica frase it’s gotta be da shoes (deve essere merito delle scarpe).
Provocatorio e onirico, Spike Lee si contraddistingue soprattutto nell’uso cromatico: She’s Gotta Have It è girato in bianco e nero, tranne un’unica scena a colori. La sua firma però resta il double dolly, presente in quasi ogni suo film: il dolly è la cinepresa messa su dei binari, l’uso alla Spike Lee consiste nel mettere sui binari sia la cinepresa che l’attore, per farlo spostare in un modo fluido e innaturale.
Tutto in She’s Gotta Have It dimostra l’originalità e la sensibilità del giovane regista: si dice infatti che Spike Lee avesse scritto la sceneggiatura del suo film d’esordio dopo aver consultato moltissime donne, soprattutto riguardo a questioni relative alla sessualità. Si pensa che sia stato questo a decretare il suo successo tra gli afroamericani, soprattutto tra le spettatrici.
Raramente nel cinema si sono mostrate donne così al di fuori dagli stereotipi e, ancora più raramente, un uomo ha deciso di raccontarle e soprattutto di ascoltarle. Spike Lee l’ha sempre fatto con coraggio e senza sovrastrutture, portando sul grande schermo quella parte di America che non trovava spazio al cinema.
Su questo film, Spike Lee ha dichiarato: «per prima cosa mi venne in mente il titolo: She’s Gotta Have It. La gente si sarebbe chiesta: che cosa deve avere lei? E per scoprirlo sarebbe andata al cinema». Per scoprire cosa deve avere Nola, ora basta recuperare il film d’esordio di Spike Lee o fare un giro su Netflix, perché non contano le piattaforme, contano le storie e quella di Nola è una cosa che you gotta have it, trust me.