I replicanti, i cartelloni pubblicitari digitali, i rifugi spaziali, le videochiamate dalle cabine telefoniche e i comandi vocali alle macchine: questo è il 2019 secondo Blade Runner, capolavoro di Ridley Scott del 1982. Se sui cartelloni ci siamo e Alexa e Google Home sono entrati nelle nostre case, i robot con capacità emotive non sono ancora in mezzo a noi, le videochiamate possiamo farle comodamente dal cellulare, i danni climatici (per ora) non ci hanno costretto a rifugiarci su altri pianeti e – per fortuna – non vanno più di moda i trench e le spalline.
Il regista britannico ha realizzato nel corso della sua carriera film di vario genere e dal successo altalenante, da Alien a il già citato Blade Runner, dal road-movie Thelma & Louise al peplum moderno Il Gladiatore, passando per adattamenti e commedie.
Ridley Scott ha iniziato a lavorare negli anni Sessanta come scenografo per la famosa serie tv di fantascienza Doctor Who, per poi passare alla regia televisiva per la BBC, mentre nei primi anni Settanta ha fondato la Ridley Scott Associates, una società molto prolifica in campo pubblicitario, celebre il suo spot per il lancio dell’Apple Macintosh intitolato 1984 come il capolavoro di George Orwell.
Nel 1977 Scott ha quarant’anni e ha ottenuto i finanziamenti per dirigere la sua opera prima, I duellanti (The Duelists) tratto da The Duel il racconto di Joseph Conrad, a sua volta ispirato da una storia vera, un cult che sarà preso a modello di riferimento da generazioni di cineasti.
Il film, ambientato in età napoleonica, è incentrato sull’interminabile duello, nato per futili motivi, tra due ufficiali di cavalleria: Gabriel Féraud (Harvey Keitel) di umili origini e fedelissimo a Napoleone e l’aristocratico Armand d’Hubert (Keith Carradine). l duellanti non lo sapevano quando hanno scelto un motivo per odiarsi, il vero nemico era nello specchio, nel doppio, la parte di loro stessi che nell’altro non potevano fare a meno di voler estirpare. Il loro è un duello lungo vent’anni, considerato uno dei migliori della storia del cinema, anche se neppure durante l’ultimo scontro i due riescono a uccidersi. D’Hubert infatti non preme il grilletto, sceglie di graziare Féraud dichiarandolo virtualmente morto, ponendo fine alla contesa.
Come il racconto, il film si chiude con un’immagine: Gabriel Féraud, visto di spalle, osserva il sole tramontare sul paesaggio, impossibile non paragonare quest’immagine al quadro di Joseph Sandmann che ritrae Napoleone su uno scoglio di Sant’Elena, mentre contempla l’orizzonte.
Le ambientazioni del film sono caratterizzate da un forte senso estetico e realistico, magistrali le abilità attoriali e i duelli realizzati con vere sciabole da sei chili l’una e la cura dei particolari colti dalla cinepresa di Ridley Scott tra banchetti, amori e duelli. Il regista britannico gira veri e propri tableux vivants, muove la macchina da presa incorniciando i personaggi con un’abilità molto matura per un esordiente. I duellanti si rivela un esercizio di virtuosismo raro, soprattutto per un film con soli 900.000 dollari di budget, anche un po’ sfortunato, se si pensa che è stato girato quasi tutto in esterni in soli cinquantotto giorni di riprese, cinquantasei dei quali funestati dalla pioggia.
La pellicola conquista all’istante gran parte della critica e del pubblico, vince un premio per la migliore opera prima al Festival di Cannes e un David di Donatello come miglior film straniero. I duellanti diventa in pochissimo tempo oggetto di culto e viene spesso paragonato al Barry Lyndon di Stanley Kubrick, una somiglianza puramente estetica. L’opera prima di Ridley Scott, che sia considerata fuori dalle righe nel genere cappa e spada o ben fatta in quello degli affreschi storici, è di sicuro una delle migliori trasposizioni letterarie della storia del cinema, un trattato sull’odio e sulla natura umana dove l’uomo razionale e quello selvaggio coesistono per sempre.