Italia, 1965. Siamo negli anni del boom economico, di Aldo Moro al governo, di un giovane Pier Paolo Pasolini. L’Italia che Marta Savina ci mostra in Primadonna, suo lungometraggio d’esordio presentato ad Alice nella Città, però non è questa. Siamo in una Sicilia rurale, ritratta nella sua religiosità arcaica, nell’accordo tra mafia e chiesa, nell’insicurezza delle forze dell’ordine sottomesse alla criminalità organizzata.
Su questo sfondo quasi premoderno, vediamo la 21enne Lia (Claudia Gusmano), che passa le giornate a lavorare la terra con il padre (Fabrizio Ferracane). La sua vita cambia quando la sua tenacia incontra lo sguardo di Lorenzo Musicò (Dario Aita), figlio del boss del paese. Alla ragazza non serve molto per capire che con un uomo così non vuole avere nulla a che fare e, con il sostegno della famiglia, lo rifiuta: un gesto inammissibile per una casata orgogliosa e potente come quella del giovane, che decide ben presto di vendicarsi rapendo Lia e rinchiudendola in un casale dove la violenta. Minacciata e disonorata, sembra che di fronte alla ragazza ci sia un’unica soluzione possibile, il matrimonio riparatore. Ma Lia fa ciò che nessuno non ha mai fatto prima, ciò che le conferisce il titolo di primadonna: non si arrende di fronte alle minacce, rifiuta la proposta e trascina Lorenzo e i suoi complici in tribunale.
Marta Savina imposta un racconto lineare e cronologico, narrando in modo scandito le tappe principali di una storia che riprende una vicenda realmente accaduta: come del resto aveva già fatto nel cortometraggio di esordio Viola, Franca del 2017, in cui la protagonista era interpretata sempre da Claudia Gusmano. «Con Claudia è stato un colpo di fulmine. Ho capito che era perfetta per il ruolo non appena si è seduta davanti a me, prima ancora di cominciare il provino vero e proprio», aveva detto già allora la regista.
La conoscenza da parte della regista degli usi della regione e la presenza di un cast, tecnico ed artistico, in gran parte proveniente dalla Sicilia conferisce al film un realismo che non scade mai nello stereotipo macchiettistico del meridione ma che al contrario rende giustizia ai luoghi e agli eventi che racconta. Il paesaggio messinese di Galati Mamertino è ritratto con una fotografia delicata che sottolinea una purezza della natura che sembra intrinsecamente collegata con la genuinità della protagonista. La potenza del dialetto siciliano conferisce enfasi ai dialoghi fra i personaggi, come i genitori di Lia, interpretati da Manuela Ventura e Fabrizio Ferracane.
Il risultato finale è un ritratto sensibile e rispettoso di una vicenda di coraggio ineguagliabile, forse a oggi ancora poco conosciuta, che pare dirci: se negli anni ’60 una donna di umili origini è riuscita a sconfiggere la mentalità mafiosa, cosa ci impedisce oggi di lottare per difendere i nostri diritti?