Più volte paragonato a Ernest Hemingway per la sua tendenza al vagabondaggio professionale, il talento narrativo, la vivace vita privata e la passione per il pugilato, John Huston è stato un grande regista ma soprattutto un abile sceneggiatore, dedito al cinema e all’avventura.
Il mistero del falco (1941) è tratto dal romanzo hard-boiled di Dashiell Hammett Il falcone maltese ed era stato portato sul grande schermo già due volte, ma con scarso successo. Un noir di stampo classico solo in apparenza: in una plumbea San Francisco, il detective privato Sam Spade investiga sull’omicidio del socio, finendo per trovarsi coinvolto in una losca vicenda che ruota attorno alla scomparsa di una preziosa statuetta a forma di falco. In una trama intricata, tra i chiaroscuri opprimenti della fotografia di Arthur Edeson, si muovono i personaggi iconici del nuovo genere noir: il detective cinico e disilluso e la dark lady dal fascino letale.
John Huston, con quello che è considerato il padre di tutti i noir americani moderni, si è guadagnato anche una nomination agli Oscar per la miglior sceneggiatura non originale. Le sue straordinarie capacità nel dirigere gli attori e nel dare nuovo respiro a un genere già collaudato, gli permettono di fare de Il mistero del falco un vero e proprio cult movie. Un esordio brillante, realizzato con un budget di trecentomila dollari e sei settimane di lavorazione, girato in interni su set completi di soffitto – per una resa claustrofobica delle scene – e senza i soliti divi di Hollywood.
Quando Humphrey Bogart interpreta l’investigatore Sam Spade è ancora lontano dall’essere un mito del cinema, ma il suo fascino è già solido: antieroe dallo sguardo malinconico, in impermeabile e con la sigaretta sempre accesa, si muove con durezza tra bugie e tradimenti nascondendo sotto il trench i suoi segreti. La dark lady è invece interpretata da Mary Astor (Ruth Wonderly), l’assassina col volto angelico, fragile e disonesta. La stessa Mary Astor che diventerà un’icona dopo la scoperta dei suoi diari bollenti: sposata ad un medico che curava le dive di Hollywood, l’attrice teneva un diario con i dettagliati resoconti delle sue avventure extraconiugali. Come in un film nel film, l’illustratore Edward Sorel negli anni ’60 trova sotto il pavimento alcuni giornali di trent’anni prima, dedicati allo scandalo che aveva travolto l’attrice (i diari bollenti di Mary Astor è uno splendido libro illustrato edito in Italia da Adelphi).
Il McGuffin della storia è il falco d’oro, la statuetta diviene il pretesto per rivelare i lati oscuri dei diversi protagonisti, che si lasciano corrompere uno ad uno da una ricchezza effimera. La statuetta è l’oggetto del desiderio di tutti, ma si rivelerà un falso, esaminandola sul finale il detective Sam Spade pronuncerà la shakespeariana battuta finale: «È fatta del materiale di cui sono fatti i sogni». Il senso di tutto il film è racchiuso in quel finale: Bogart esamina il falcone per il quale tanti sono morti o si sono rovinati e alla fine non ha niente di prezioso, è senza valore. Non ci sono vincitori, dunque, così come non ci sono né buoni né cattivi.
Ne Il mistero del falco non è la vicenda ad essere rivoluzionaria, lo sono i personaggi, le scelte di sceneggiatura e di regia, rendono il film memorabile e magistralmente interpretato. Un noir fatto di inseguimenti, sparatorie e clamorosi colpi di scena; Huston crea le relazioni tra i personaggi e i loro fragili equilibri come un ragno tesse la tela, in modo da far emergere tutta l’oscurità che si portano dentro, mentre combattono il fascino del male e arrancano sulla strada della rettitudine. John Huston, appena trentaquattrenne, fa la storia del genere noir e lo reinventa così come lo conosciamo oggi. «Ora voglio fare un brindisi, se permettete. Lunga vita al crimine!» e lunga vita al cinema!