La pioggia inonda l’inquadratura iniziale de La svolta, primo lungometraggio di Riccardo Antonaroli che vede come protagonisti Brando Pacitto e un bravissimo Andrea Lattanzi. Una pioggia che però non riesce a lavare via lo sporco e i peccati di una città in cui tutti sembrano aspettare l’occasione giusta, quella che permetta di svoltare. O quella che fa l’uomo ladro.
Jack l’occasione la trova in una squallida sala giochi, quando ruba una borsa piena di soldi. Per Ludovico invece, un ragazzo timido e appassionato di fumetti, l’occasione si presenta proprio quando Jack, per nascondersi dai criminali a cui ha sottratto il denaro, gli piomba in casa. Una casa i cui muri sono costellati di poster, tra i quali ce n’è uno che spicca particolarmente: quello de Il sorpasso di Dino Risi.
Non è una fortuita coincidenza, dal momento che l’esordio di Antonaroli, presentato fuori concorso alla trentanovesima edizione del Torino Film Festival, si rifà interamente alla pellicola degli anni ’60, a partire proprio dal rapporto che i due protagonisti instaurano, centro intorno al quale si sviluppa la storia. Jack diventerà infatti un vero e proprio mentore per Ludovico, aiutandolo a crescere e a scrollarsi di dosso quelle ansie che gli impediscono di prendere in mano la sua vita, così come accadeva nel film di Risi.
Antonaroli dalla commedia all’italiana impara anche la commistione di toni: ne La svolta riescono ad alternarsi con naturalezza scene dalle sfumature più leggere a momenti di tensione. Tutta la narrazione, a ben guardare, vuole giocare su questo contrasto, creando un tessuto di violenza e ilarità, il cui risultato è un buddy-movie riuscito per quanto a tratti ingenuo. Il regista sembra essere particolarmente interessato all’amicizia maschile, sentimento che all’interno della narrazione diventa quasi un metro di giudizio tramite il quale capire chi assolvere e chi no. Diverse declinazioni di rapporti amicali si trovano infatti anche all’interno del gruppo degli antagonisti, i personaggi riusciti meglio a livello di scrittura.
Perché paradossalmente è proprio nei protagonisti e nel loro rapporto che si riscontra anche la debolezza maggiore della pellicola: in favore della coppia si è infatti sacrificato il singolo e i personaggi sono spesso stati ridotti alla loro dimensione di stereotipi. L’impressione generale è che, come spesso capita negli esordi, ci si sia appoggiati troppo ai film citati, negando a La svolta l’occasione di camminare sulle proprie gambe.
Ciononostante il film di Riccardo Antonaroli resta un’opera prima di un certo interesse, che riesce a inserirsi in un filone molto frequentato negli ultimi anni – quello dei film in periferia – senza risultare ridondante e anzi arrivando ad aggiungere al discorso quella dolcezza che spesso manca.