Al cinema l’ultimo film di Paolo Virzì, Notti magiche, si classifica al settimo posto del box office, mettendo al centro una storia di meta-cinema: un famoso produttore viene trovato morto nel Tevere la notte del 3 Luglio 1990 e i principali sospettati sono tre giovani aspiranti sceneggiatori. La figura dello sceneggiatore è centrale non solo nel nuovo film di Virzì, ma lo è nella sua carriera, dall’opera prima La bella vita, che segna l’inizio del lungo sodalizio artistico con il talentuoso sceneggiatore e amico Francesco Bruni, che lo accompagnerà nei suoi maggiori successi, da Ovosodo a Il capitale umano. Paolo Virzì è il regista morale del cinema italiano, racconta la società e i suoi drammi dolceamari con un tocco ironico e intelligente. Cantore della vita quotidiana, dalla mancanza di lavoro alla precarietà dei sentimenti e del futuro.
La bella vita, anche se prima si chiamava Dimenticare Piombino, dalla città toscana che fa da sfondo al film, racconta l’amore al tempo della crisi della classe operaia, un triangolo amoroso interpretato da Sabrina Ferilli, Massimo Ghini e Claudio Bigagli. Il film è girato con un budget molto ridotto, usando figuranti locali e scenografie di fortuna, ma ottiene un ottimo incasso. Presentato con successo nel 1994 alla Mostra del cinema di Venezia, il film viene premiato con il Ciak d’oro, il Nastro d’argento e il David di Donatello come miglior esordio.
Bruno (Claudio Bigagli) è un operaio metalmeccanico nelle acciaierie di Piombino e Mirella (Sabrina Ferilli) lavora come cassiera in un supermercato. Sono sposati da pochi anni e il loro matrimonio è in bilico: Bruno perde il lavoro a causa della crisi del metallurgico e Mirella prova una forte attrazione per Gerry Fumo (Massimo Ghini, con un piglio da Sceicco bianco felliniano) – nome d’arte di Gerardo Fumaroni – divo e presentatore di una piccola emittente televisiva locale. Bruno finisce in cassa integrazione, trascura la moglie e tenta con un lavoro in proprio, mentre Mirella cede alle avance di Gerry e tradisce il marito, anche se si rende conto molto presto che, la sua scappatoia verso una vita mondana, è solo un’illusione. Infelici e separati, i due si tengono in contatto con una corrispondenza epistolare, trovando una vicinanza nuova nella lontananza.
Bruno è la voce narrante della vicenda e ci permette di entrare subito in empatia con le sue sfortunate vicende, Virzì ama i suoi personaggi e ne mostra pregi e difetti senza giudicarli, li svela con una delicatezza affettuosa che scalda il cuore. La vicenda è godibile con una regia rudimentale fatta di scene ferme e primi piani e una sceneggiatura ironica e scorrevole, anche se ancora molto ancorata al modello classico della commedia italiana. La bella vita è una tragicommedia social-sentimentale, fatta di amori, scioperi, tradimenti e cassa integrazione, con un enorme debito verso Romanzo popolare di Mario Monicelli.
Si disfa la coppia e si disfano le certezze di quel tessuto sociale che perde i suoi punti fermi: il lavoro sicuro, la famiglia e la stabilità. Le cassiere, nei loro tristi spogliatoi, cantano Vaffanculo di Marco Masini, scena iconica che sottolinea l’aspetto popolare del film, presente nel titolo stesso della pellicola, perché a fare la bella vita forse è il cassaintegrato Bruno che non lavora ma percepisce lo stipendio o è Mirella – un po’ Madame Bovary di provincia – che tenta l’avventura mondana.
La verità è che la bella vita, quella priva di preoccupazioni, non appartiene alla generazione operaia degli anni ’90, in crisi d’identità. Crollano le certezze dei protagonisti che si ritrovano a cercare appigli un po’ a caso, con scarso successo, il mondo sta cambiando intorno a loro e non sono pronti, restano vittime di un cambiamento del quale non possono mantenere il passo.