Nanni Moretti nasce nel 1953 e vive da sempre nel quartiere romano Monteverde Vecchio, comincia a fare cinema vendendo la sua collezione di francobolli in cambio di una cinepresa Super 8. Io sono un autarchico esce nel 1976 ed è il suo primo lungometraggio, Moretti lo gira tutto a Roma: impiega tre mesi e tre milioni e settecentomila lire, reclutando parenti e amici. In questa commedia appare per la prima volta il personaggio di Michele Apicella (il cognome è quello della madre di Moretti), il suo alter ego. Il ventitreenne regista romano realizza una prima prova un po’ grezza, con camera fissa e sequenze scarne, ma comunque convincente.
L’esordio di Nanni Moretti, sia come regista che come attore, avviene in un luogo di culto per tutti i cinefili romani degli anni ’70: il Filmstudio, a Trastevere. Moretti si presentava tutti i giorni al cineclub con le bobine sotto il braccio e, ogni sera, le smontava e se le riportava a casa. Presente a tutte le proiezioni, il giovane regista accoglieva gli spettatori con sorrisi e calorose strette di mano, fermandosi sempre ad ascoltare i commenti a caldo del pubblico. Mossa promozionale o meno, diede il via a un inarrestabile passaparola nell’ambiente culturale, portando alla ristampa della pellicola in 16 mm per la distribuzione nazionale. Il film arrivò così a Parigi e a Berlino, suscitando l’interesse di vari giornalisti e critici, compreso Alberto Moravia.
Moretti, con il suo film autoprodotto, fotografa la sua generazione e realizza così una pellicola indipendente destinata a diventare un cult. La storia è tutta nel rapporto tra Michele, la moglie Silvia e il figlio Andrea. I due coniugi sono in crisi: Silvia ha ventidue anni e si sente oppressa nel ruolo di moglie e madre, non si ricorda neanche perché si è sposata e per questo va via di casa. Mentre Michele, antipatico e asociale, gioca a fare l’uomo indipendente e fuori dagli schemi – ma con l’assegno mensile del padre – partecipando allo spettacolo di teatro sperimentale dell’amico Fabio.
Io sono un autarchico mette in scena personaggi pieni di aspettative e ideali ma destinati a fallire, incastrati in una società che si sta lentamente disgregando mentre cambia troppo in fretta. In questo film si intravedono già tanti temi che si svilupperanno poi nel cinema morettiano: lo smarrimento, il disincanto politico e la ricerca dell’autenticità del linguaggio, l’aspra critica alla superficialità dei sentimenti, ma anche la controcultura, il teatro e alcuni feticci come i dolci, la pallanuoto, le scarpe, la musica e i dialoghi al telefono.
Quando si parla di Io sono un autarchico, non si può evitare di citare un paio di polemiche. All’interno del film sono frequenti i riferimenti, non sempre positivi, al cinema italiano: in una famosa scena, Michele schernisce con la bava alla bocca Pasqualino Settebellezze e la cattedra di cinema assegnata in America alla regista Lina Wertmüller, cosa che creerà non poca acredine tra i due.
L’altra disputa riguarda il caso del “Rizzoli”: nel 1977 Io sono un autarchico fu candidato alla sesta edizione del Premio Angelo Rizzoli, riservato ai giovani autori italiani. La giuria del concorso era composta da varie personalità del cinema, tra le quali Alberto Sordi. I giurati avevano la facoltà di rinunciare al voto anonimo e motivare pubblicamente la propria preferenza, Sordi fu tra quelli che si rifiutarono di parlare in pubblico. Alla quarta votazione il film di Nanni Moretti era in vantaggio ma, in un momento di stallo, un giurato palese e uno anonimo modificarono il proprio voto: vinse così Un cuore semplice di Giorgio Ferrara. Si dice che il giovane Moretti gridò una parolaccia e andò via dalla premiazione, in lacrime. Alberto Sordi, nonostante le smentite, venne identificato come il giurato anonimo e la polemica raggiunse il suo culmine nella celebre battuta di Ecce Bombo:
Rossi e neri sono tutti uguali? Ma che, siamo in un film di Alberto Sordi? Sì, bravo, bravo… Te lo meriti Alberto Sordi!
Nanni Moretti comunque si rifece vincendo il Premio Angelo Rizzoli l’anno successivo proprio con Ecce Bombo, il suo secondo lungometraggio, che avrebbe dovuto chiamarsi Sono stanco delle uova al tegamino… ma questa è un’altra storia.