Si possono dire tante cose sul cinema italiano, ma non che non stia cercando di darsi da fare. Sembra quasi obsoleto parlare ormai di costruzione o ricostruzione, nascita o rinascita. Come tutto ciò che riguarda l’arte, in particolare quella cinematografica, la morte è sempre vicina e un nuovo Messia si scorge all’orizzonte. È stato il caso di Lo chiamavano Jeeg Robot per il fantasy, genere poco esplorato in Italia, di Ammore e Malavita per il musical, de Il primo re per la ricostruzione (semi) storica della fondazione di Roma. L’impegno è tanto e i risultati fruttuosi, da maestranze che ricevono candidature agli Oscar come il Pinocchio di Garrone a narrazioni più classiche che risuonano all’interno di festival internazionali come per Marco Bellocchio e Alice Rohrwacher, fino all’esplorazione di generi teen e horror in stile Sulla stessa onda su Netflix e Non mi uccidere di Andrea De Sica (che, in questo caso, racchiude entrambi i filoni).
Ad aggiungersi a questa schiera di operazioni ammirevoli, di minore impatto forse perché succube di un periodo di ristrettezze distributive e probabilmente meno coinvolgente a causa di una fattura notevole ma una narrazione ingombrante, è Il mio corpo vi seppellirà di Giovanni La Parola (con Miriam Dalmazio, Antonia Truppo, Margareth Madè, Rita Abela). Produzione da applausi quella che ha visto collaborare Cinemaundici, Ascent Film, Apulia Film Commission assieme a Rai Cinema. Ragguardevole per messinscena e tendenza alla veridicità dei più efferati crimini, dove anche una testa che rotola ai piedi di un uomo o un cuore strappato direttamente dal petto non lasciano mai la sensazione di riproduzione posticcia, bensì di impressionante effetto.
È esattamente su questa aria da avida e opportunistica crudeltà che il film sceneggiato da Alessia Lepore assieme a La Parola avanza, avvolgendo indietro il nastro del tempo fino a condurre lo spettatore nella Penisola di un Vittorio Emanuele appena diventato re dell’intera Italia. Brigantaggio e sopravvivenza finiscono per coincidere in una Sicilia rurale e contadina, punteggiata dalle divise di uomini di (non) onore e donne che hanno scelto la libertà piuttosto che i soprusi, le ristrettezze, l’ingordigia e le prevaricazioni di uomini tronfi e sessualmente selvaggi. Un’unione che non necessariamente fa la forza per le protagoniste di una storia che non risparmia la propria dose di pallottole e squartamenti, rimanendo prigioniera di quella stessa intrepida voglia di osare, osare e ancora osare, che costringe l’opera a dover fare i conti proprio con se stessa.
L’ambizione de Il mio corpo vi seppellirà è tale da trasparire a ogni inquadratura, a ogni battuta degli interpreti, a ogni pistolettata o combattimento corpo a corpo che i personaggi si trovano a dover affrontare. Ma questa medesima, intrepida smania finisce per sovrastare qualsiasi altra componente del racconto in costume, che sembra voler più imitare con attenzione il western invece che incorporarlo e riproporlo realmente. I personaggi sono quindi sporchi, anche troppo accuratamente; i protagonisti sono costruiti su certe personalità del genere eppure troppo stilizzati da assomigliare a quelli visti in tante opere simili. Anche l’eccesso di sangue è troppo solerte, zelante, spinto alla spettacolarizzazione. Uno stile, quello che Giovanni La Parola vuole ricercare, quasi accademico e dunque semplicemente manieristico. Di cuore perché assistito in qualsiasi sua singola parte o risvolto e, anche solamente per questa ragione, lodevole per l’apporto produttivo investito e tramutato poi in film.
Il bisogno spasmodico di compiacere un cinema italiano privo al momento di un immaginario western contemporaneo si percepisce all’interno di una narrazione che cerca insieme di colpire attraverso un prototipo da cinema classico riscrivendolo però secondo i dettami della modernità. Desiderio predominante nei caratteri delle donne protagoniste, nel modo in cui l’opera le fa interagire tra loro e col mondo esterno, ma anche nell’assetto generale del racconto, dove una fluidità e una scrittura più trascinante anziché così analitica avrebbe trasmesso maggiore calore alla pellicola e, di conseguenza, allo spettatore.
Il mio corpo vi seppellirà soffre d’ansia da prestazione, ma supera la prova con un ottimo risultato. Ci mette tutta la fermezza essenziale, ma è lo slancio quello che manca. Un film da premiare anche e soprattutto donandogli una visione, il cui interesse rimane comunque circoscritto e limitato a quelle sue quasi due ore di esistenza.