È il 1965 quando I pugni in tasca, il film d’esordio di Marco Bellocchio, diventa un caso nazionale. A soli ventisei anni si ritrova al centro del dibattito dei grandi intellettuali dell’epoca come Calvino, Moravia e Pasolini. La critica ha eletto I pugni in tasca come il film-manifesto in grado di anticipare i fermenti del ‘68 e l’ha selezionato tra i cento film italiani da salvare.
Quella de I pugni in tasca è una vicenda di solitudine e follia: in una villa isolata sull’Appennino emiliano, quattro fratelli vivono con la madre cieca. Augusto è il maggiore, l’unico con un lavoro, Giulia è morbosamente innamorata di lui, Leone è affetto da ritardo mentale e Alessandro ha un carattere nevrotico e cupo. Sarà quest’ultimo a far esplodere i già precari equilibri familiari. I pugni in tasca è un film ossessivo e claustrofobico, ribalta il concetto tradizionale di amore familiare e affronta il tema dell’incesto tra fratello e sorella, facendo a pezzi il modello della famiglia borghese italiana.
L’opera prima di Bellocchio è acerba ma memorabile, anche grazie alle musiche di Ennio Morricone che ha composto una colonna sonora ispirata, dopo aver visto una copia muta del film. Silvano Agosti si occupò del montaggio in circa quaranta giorni, per poi passare un mese solo sull’ultima scena: infatti il protagonista “muore di montaggio”. Aggiustando il tiro in post-produzione, Bellocchio rimedia alla prudenza usata in sceneggiatura e uccide il protagonista, cambiando così il finale.
Bellocchio ha iniziato la sua carriera come attore, non a caso Ettore Scola l’ha definito «il più bel regista del cinema italiano», poi ha fatto l’aiuto regista e il produttore. È andato a Londra con la scusa di frequentare dei corsi di cinema, grazie a una piccola borsa di studio, e ha scritto il soggetto del film I pugni in tasca. Per mesi con l’amico Enzo Doria aveva cercato persone disposte a finanziare il progetto, ma senza successo: i produttori ritenevano la storia scadente e non vendibile. Il film venne poi realizzato con il contributo del fratello di Marco Bellocchio, Tonino, che finanziò l’opera con cinquanta milioni. Il film fu ultimato anche grazie alla collaborazione dei compagni di studi del giovane regista che, al Centro Sperimentale di Cinematografia, aveva studiato recitazione.
La prima idea di casting fu piuttosto singolare: Bellocchio prese in considerazione Raffaella Carrà e Gianni Morandi, tentando la via del personaggio popolare. Morandi lesse la sceneggiatura e accettò, ma la sua casa discografica si oppose affermando che il film gli avrebbe rovinato la carriera. Alla fine vennero scelti Paola Pitagora per il ruolo della cinica e fredda Giulia e Lou Castel, per quello di Alessandro. L’attore, scelto per la sua risata, riuscì a conferire al suo personaggio una sfumatura dolce e crudele. Sono noti vari episodi che dimostrano però quanto fosse difficile gestire Castel sul set, aveva spesso reazioni violente o assurde che costringevano la troupe e il regista a modificare intere scene e a moderare i contrasti tra lui e gli altri attori.
I pugni in tasca torna al cinema in versione restaurata grazie alla Cineteca di Bologna e distribuito su scala mondiale. Nella versione restaurata è stato aggiunto un frammento inedito: la scena del bacio tra fratello e sorella. Bellocchio all’epoca aveva deciso di tagliarla per non incorrere nella censura e nel sequestro della pellicola.
Quello di Marco Bellocchio è sicuramente uno degli esordi più importanti della storia del cinema italiano, la versione restaurata è un’ottima scusa per rivederlo sul grande schermo.