Il 21 marzo si è svolta la 62esima edizione dei David di Donatello, Steven Spielberg è stato l’ospite più atteso: durante la serata, Monica Bellucci gli ha consegnato la statuetta alla carriera.
Il suo discorso di ringraziamento è diventato subito virale, moltissime le belle parole spese nei riguardi del cinema italiano: dall’ammirazione per i maestri come Pasolini, Fellini e Antonioni ai colleghi di origine italiana come Tarantino, Scorsese e Minelli che, in un’epoca fatta di accoglienza e meno barriere, hanno permesso al cinema italiano e a quello americano di fondersi.
L’aneddoto più magico resta l’incontro con Fellini: nel 1971, a inizio carriera, il grande regista l’aveva cercato per complimentarsi per Duel, il suo esordio, proiettato la sera prima alla presentazione romana del film. Fellini e il regista americano, ancora sconosciuto, passeggiarono per Roma e Spielberg vide la città attraverso gli occhi del suo mito. Soprattutto, non dimenticò mai il suo consiglio: è importante intrattenere il pubblico, ma è ancora più importante intrattenere sé stessi. Per conquistare il pubblico bisogna essere il pubblico, consiglio seguito alla lettera e mai dimenticato. Da 45 anni, una fotografia di quel giorno a Roma è appesa alla parete del suo ufficio.
Spielberg comincia a fare cinema da giovanissimo, con la cinepresa regalatagli dal padre. Il suo primo cortometraggio, Amblin (1969), attirò l’attenzione della Universal che gli offrì un contratto per la tv. Ventunenne in un settore dominato da autori e registi ultracinquantenni, Spielberg diresse alcuni episodi di vari telefilm. Alla fine degli anni ’60 la Universal cercava però di produrre lungometraggi per la televisione associandosi all’emittente ABC, con l’obiettivo di abbattere i costi ma soddisfare comunque il grande pubblico ancora innamorato del cinema.
In queste circostanze, gli viene commissionato il suo primo film per la televisione, da girare in dieci giorni con un budget di 450.000 dollari. La segretaria di Spielberg, Nona Tyson, esorta il regista appena ventiquattrenne ad adattare un racconto del grande scrittore Richard Matheson, pubblicato su Playboy e basato su un episodio autobiografico. Il film ha una lavorazione rapidissima: girato in appena tredici giorni, con la colonna sonora composta in una settimana e ben cinque editor al montaggio, per rispettare i tempi strettissimi.
Duel è la storia surreale e adrenalinica di un uomo che si trova coinvolto in un duello nel deserto. Come in un tipico road-movie, ci sono le classiche immagini del paesaggio desertico degli Stati Uniti: le strade sbiadite, i bar, i dirupi, le stazioni di benzina e le cabine telefoniche dall’aria malconcia. Ad attraversare il deserto è David Mann (Dennis Weaver), un uomo comune perfettamente calato nello stile di vita dei sobborghi californiani: vive con la moglie casalinga e i due figli, mangia nei fast-food, non ha uno scopo e il suo ruolo di padre e marito è in crisi. David, con un’auto rossa qualunque, si allontana sempre di più dal mondo civilizzato e va incontro a un pericolo inaspettato.
L’antagonista è l’autocisterna: mossa da un’inspiegabile volontà di distruzione, tenta di mandare David fuori strada. Il film non mostra mai il conducente, ma solo il Peterbilt 281 del 1955. Spielberg lo scelse fra tanti perché frontalmente dava l’idea di un volto, e il motore rombava tanto da sembrare un ruggito. In questo scontro, David incarna l’uomo medio che si ritrova in una situazione incredibile e non è preparato ad affrontarla: un meccanismo narrativo che diventerà un vero e proprio leitmotiv nel cinema spielberghiano.
Duel non è un film perfetto, è quasi del tutto privo di dialoghi e presenta tanti piccoli errori, anche perché il giovane Spielberg non riguardava mai i giornalieri. Ad esempio, in una scena, è possibile intravederlo riflesso sul vetro della cabina telefonica mentre legge il copione.
Nonostante il ritmo frenetico, la giovane età del regista e qualche imprecisione, il film ebbe un enorme successo e una distribuzione internazionale. Spielberg, anni dopo, ammise: «Se non avessi avuto la possibilità di girare Duel, la mia carriera sarebbe stata molto diversa» e, forse, non avrebbe mai passeggiato per Roma con Fellini.
Con questo articolo Fabrique inizia una serie di approfondimenti sugli esordi di autori divenuti maestri del cinema italiano e mondiale. L’appuntamento è ogni venerdì su sito e social. Non perdetevi la prossima uscita!