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Martina Sanzi e Mina Chiarelli sono le TREESTAKELIFE: due giovani compositrici che lavorano insieme destreggiandosi con abilità e intuito – al loro attivo già un lungometraggio – nel panorama della musica applicata alle immagini.
Già presenti da diversi anni sulla scena musicale indipendente, avete esordito con un Ep Let Children be Children Again (2009) e poco dopo avete realizzato l’album Roll Sound and… Action! (2012). Come siete passate a fare colonne sonore?
In effetti, inizialmente non era nei nostri intenti scrivere per il cinema. Provare a percorrere questa strada è stata una scelta dettata un po’ dalla passione per il cinema e un po’ forse dalla delusione nei confronti del mondo della musica indipendente. Abbiamo iniziato a sonorizzare dei video fatti da noi e, quando siamo venute a sapere di un laboratorio del Centro Sperimentale, abbiamo deciso di immergerci in un mondo che conoscevamo solo da lontano. È stato un laboratorio molto pratico, grazie al quale abbiamo avuto modo conoscere dei veri professionisti del settore come Paolo Buonvino, Nicola Piovani e Pasquale Catalano, e abbiamo anche lavorato su molti cortometraggi realizzati dagli studenti dell’accademia.
Fate una musica molto caratterizzata, con richiami al dream pop anni ’80: non avete il timore di trascurare la vostra personalità artistica assecondando le richieste che un regista vi può presentare?
Bella domanda! Effettivamente è il problema principale del fare questo lavoro: il compromesso è alla base. È anche vero però che se c’è fiducia tra il musicista e il regista puoi scoprire dei modi di scrivere a cui non avevi mai pensato. Cerchiamo di rimanere nel nostro stile ma anche di mantenere l’armonia con tutte le figure con cui lavoriamo. È una bella sfida. Ad esempio il lungometraggio My Saviour di Steven Murphy, in uscita questo autunno, è stato un lavoro nuovo per noi, perché oltre a essere il primo film che facevamo, è un action/thriller, un genere a cui non ci eravamo mai avvicinate, ma nonostante questo ci è stata data molta libertà nella realizzazione della colonna sonora. È stata l’occasione per capire che dovevamo aggiornare le nostre conoscenze in particolare nei confronti della tecnologia, di fondamentale importanza soprattutto di fronte a un budget ridotto.
Seguite delle regole particolari e avete ruoli definiti quando componete?
Di solito portiamo in studio delle idee, guardiamo il corto o il film e buttiamo giù delle proposte di base. Non c’è una regola ben precisa o dei ruoli tra noi due, cerchiamo di individuare dei punti musicali, il carattere che vogliamo dare alla composizione e partiamo dai timbri. Può essere il piano o la chitarra, spesso utilizziamo dei sinth e vari strumenti particolari come la kalimba, le melodiche e addirittura giocattoli. Cerchiamo di essere discrete nell’approccio alle immagini, lavoriamo quasi in sottrazione.
Avete riscontrato molte differenze tra il sistema musicale indipendente e quello cinematografico?
C’è una distanza abissale tra la scena romana indipendente musicale e quella cinematografica! Lavorando con il cinema abbiamo scoperto un mondo che, anche se con le sue difficoltà, ci ha dato molte più soddisfazioni rispetto alle attività live. Siamo state apprezzate semplicemente per la nostra musica e non per la costruzione di un “contorno”, necessario per avere successo con la musica dal vivo.
Quello del live è un sistema chiuso in particolare per le donne, a meno che non hai la fortuna di trovare qualcuno che crei un prodotto su di te oppure di essere un animale da palcoscenico, cosa che noi non siamo mai state. Oltretutto i nostri live erano molto complessi vista la vasta tecnica che utilizzavamo, eravamo in due ma sembravamo in dieci.
Quindi è un fatto anche di costume: siamo più abituati a vedere le donne che fanno le cantanti rispetto a quelle che suonano gli strumenti. Forse non è un caso che vi siano poche donne a fare musica per film.
Esatto, la donna che fa musica è quella che canta e al massimo si accompagna. Nonostante i cambiamenti sociali e l’emancipazione, la donna stessa si è “autorelegata” in questo ruolo, probabilmente per mancanza di fiducia, per senso inferiorità rispetto agli uomini. È qualcosa che riguarda sia come lei stessa si vede, sia come la vedono. Infatti «l’ambiente delle colonne sonore è prettamente maschile e maschilista, la figura della compositrice non viene molto considerata. Ci stiamo impegnando per rompere questo schema».
Tornerete a suonare dal vivo?
Ci piacerebbe che le cose procedessero in parallelo: da una parte vogliamo assolutamente continuare a fare colonne sonore, a breve dovremmo lavorare sul prossimo lungometraggio di Murphy, e allo stesso tempo stiamo scrivendo un nuovo album che vorremmo presentare in una forma live più minimalista, essenziale e vicina al pubblico.