Un paio di Adidas Gazzelle annunciano gambe lunghe e scoperte, accavallate su uno sgabello senza pretese, una chitarra avvolta tra dita e capelli scuri, una maglia candida e occhiali da vista poggiati sul naso che cerchiano occhi che si chiudono in continuazione, lasciando la voce vibrare nel contorno blu di questo locale incastonato nel pieno centro di Roma.
La famosa piccola e sconosciuta Mèsa, qualche chiacchiera spigliata tra una canzone e l’altra, davanti al pubblico sparpagliato a brandelli in giro, tra il bancone luminoso che si stende alla sinistra del minuto palco e l’ingresso a tende alla sua destra, dove maldestra qualche testa si affaccia. Pian piano che una canzone segue l’altra, le persone cominciamo a volgere i volti, ad interrompere le chiacchiere distratte di una domenica sera tiepida, a tralasciare cocktail che sfidano l’autunno che non vuole arrivare. Uno dopo l’altro tutti si rivolgono a quella ragazza sola, tra gli altri strumenti fermi e nudi intorno a lei, nel buio di un contorno che non c’è, lontani dal bagliore che nasce solo su di lei, sulla sua voce, sulla sua dolce maniera di essere il solo centro della scena.
La sua esibizione è una pietra preziosa all’interno di un format chiamato Border Live, che di settimana in settimana associa musica dal vivo, artisti nuovi e vecchi, sconosciuti o meno, in un flusso di suoni, canzoni, esibizioni a contatto con il pubblico stesso, nell’ambiente confidenziale dello Sheket, tra specchi, synth pop, sonorità 80s, maniglie dorate e teatralità.
Mèsa si ritrova lì, a metà serata, come in una confessione leggera a poche amiche fidate, a raccontarsi attraverso le sue canzoni, figlie di un album talmente ben riuscito che le si cuce addosso anche così, armata di una sola chitarra, a spogliare le sue stesse creature di tutti i mantelli e le strutture musicali fatte di strumenti, arpeggi e distorsioni sonore, mentali, emozionali. Adesso sono tutte negli sforzi minuti delle sue dita a ringhiare sulle corde, a misurarsi negli occhi così vicini, di un pubblico che si intimidisce quasi più di lei stessa.
Ogni parola si rincorre veloce, la sua voce sembra un gomitolo che si srotola, nell’economia del tempo che passa con le lancette ferme, Mèsa si racconta ripetendo i versi che ha già masticato nella sua testa, nelle registrazioni di Touché, nei concerti, nei live, nei piccoli club e sui grandi palchi dove l’abbiamo ammirata destreggiarsi con la stessa leggerezza di stasera, come in quell’ingombrante stadio di mezza estate, a Latina, ad anticipare la performance di Frah Quintale, nella grande notte di Calcutta.
Canzoni alle quali già vogliamo bene si annunciano e si susseguono, come A chi fatta in apertura, seguita da La metamorfosi dell’aria, La colpa, Il mare tra il dire e il fare fino alla splendida Oceano Letto che chiude l’album così come chiude la sua esibizione di stasera, con un grazie, una carezza all’asta del microfono a scostarlo dal viso e lo scendere dal piccolo palco con il capo chino di timidezza, la sola risposta che conosce, agli applausi delle testa affacciate sulla porta, dei ragazzi al bancone, del pubblico seduto sulle scalette che portano alla sala ristorante, dei pochi tavolini, delle persone in piedi, dello sguardo del barman che tiene il ritmo del suo shaker mentre la vede nascondersi su uno sgabello, vicino ai componenti della sua band, stasera superflui, con un sorriso contagioso, e questa voglia che resta come un ritornello nella mia testa.
La serata prosegue con altra musica, altri live, altri cocktail, altro traffico di Largo Argentina, altri gabbiani che frugano tra l’immondizia, Mèsa (qui il suo profilo Facebook) torna a vestire i panni di Federica Messa, una volta riposta la chitarra, si allontana, lasciandoci in dono la grazia di una musica che tocca sempre i tasti giusti, tra le sonorità americane e le melodie suggestive di una lingua che conosce, con la quale sa giocare, nel conforto di un Italiano avvolgente. Solo un’altra piccola grande scoperta di Bomba Dischi, in un’altra serata dallo stampo nostrano per non sentirci più estranei a casa nostra.
E se ci avanzerà del tempo, tra una tesi e un aperitivo, linkeremo una canzone in linea col nostro stato emotivo.