Mettiamoci l’anima in pace, i Thegiornalisti (di cui abbiamo parlato anche qui) non torneranno quelli di Vol.1 e probabilmente neanche quelli di Fuori Campo. Tommaso Paradiso è un personaggio mondano e non più il filosofo da bar che aleggia malinconico nel quartiere. Ha cambiato faccia, è diverso in tutto, maledetto tempo, maledetto mostro. Mettiamoci l’anima in pace, i Thegiornalisti sono questi, assuefatti d’amore e di successo, vogliosi di raccontare una vita di coppia, cane e casa al mare, vogliosi di raccontare che è proprio bello così. E noi lo dobbiamo accettare, forse siamo noi quelli che non sono cresciuti, quelli che sono rimasti indietro. A caccia di un piccolo amore lontano.
Invece al PalaLottomatica l’amore è enorme ed ha le fattezze di una scritta LOVE che si gonfia sul fondo del palco, e giganteggia sulla band e sui capelli impomatati, sugli occhiali da sole e il magliettone nero. Loro sono i Thegiornalisti Volume 2, quelli che l’hanno trovato l’amore, in un tour tutto esaurito lungo l’Italia intera, nelle radio che ti mitragliano con ogni hit, di televisioni che si litigano il bel faccione barbuto di Tommy, ormai uno di casa anche per le signore e le teenager. E noi che eravamo i ragazzini che ascoltavano la musica indie di gruppetti sconosciuti e senza senso del ritmo, adesso siamo diventati gli attempati nostalgici.
E ci tocca accettarlo, ma lo accettiamo cantando a memoria anche «New York» e «Zero Stare Sereno», accontentandoci dei soli quattro pezzi in scaletta che non provengono dagli ultimi due album. Il palazzetto però è stracolmo e sembra non accorgersi che mancano «Mare Balotelli», «L’importanza del cielo» o per i fan più longevi «Autostrade Umane», «E allora viva!» e «E Menomale», pare non importi perché tutti cantano con convinzione, persino la discutibile «Riccione» è, al riscontro oggettivo, un successo di entusiasmo e di pubblico.
Tommaso ci sa fare, anche questo è innegabile, gira sul palco con navigata autorevolezza, rimbalza tra i componenti della band e tra gli strumenti, palleggia tra chitarra e piano, gioca col pubblico, chiacchiera, stuzzica, risponde e zittisce, fa il pieno di applauso e di calore. Ogni tanto sbircia il grande schermo alle sue spalle che partecipa attivamente allo show e ad ogni canzone, in un crescendo anni ’80 che ormai è nel DNA della band, compreso lo sdoganamento delle luci al neon, con insegne eighties che si avvicendano alle sue spalle e che per noi sono un pugno nell’occhio, che le odiamo ancora tanto, ma forse non abbastanza se ripensiamo commossi alla lampada abat-jour ed alla meravigliosa «Per Lei», altra grande assente di serata.
Ma se riuscissimo per un attimo a mettere da parte nostalgia e vecchiaie allora potremmo affermare che qualcosa di buono, in fondo, è rimasto, non siamo qui per negarlo. La capacità di colpire, il timbro sempre più marcato di una band che ha il suo stile e la sua impronta, i ritornelli, l’orecchiabilità, la familiarità, l’estate, il rumore delle onde, il ristorantino. Tommaso Paradiso è un icona pop, diventando un po’ la parodia di se stesso, quasi a prendersi in giro da solo quando canta di «una cena spaziale dopo una corsa totale» dove sembra citare la geniale pagina Facebook «Tommaso Paradigma», in un concentrato di sentimentalismi esasperati, nei quali però crede fortemente, parla con i personaggi delle serie tv e non si vergogna di mettere in musica l’appellativo love, da coppietta liceale, e gli va bene così, tra l’ingenuità di Verdone e l’impudenza di De Sica.
Che poi, comunque, in mezzo a tutto ciò, riesce anche ad inserirci la dedica d’amore più profonda e riuscita del nuovo millennio, perché non potrà esserci niente di più sentito e profondo di un «sei la Nazionale del 2006», ed essere paragonati alla più grande felicità che ha accomunato una generazione, dentro casa col vestito da sposa. I tempi delle questioni di letto e di sigarette fino alle sette sono finiti, anche quelli di «Promiscuità» che è ancora bello sentire come un diamante raro in qualunque scaletta, eravamo dieci adesso siamo migliaia, ma il gusto ci sembra lo stesso.
«L’ultimo giorno della terra» in versione live dà il suo meglio e anticipa la parte finale della scaletta con tutte le hit degli ultimi anni, prima di un’insolita chiusura morbida ed intimista, con il pianoforte di «Dr.House» a scandire i minuti conclusivi del concerto ed uno scrosciare di applausi convinti e meritati.
Mettiamoci l’anima in pace, i Thegiornalisti sono cambiati e forse è giusto così, perché se Tommaso Paradiso cantasse ancora che sotto al suo palazzo è tutto uguale, si autopredicasse di dare tempo al tempo, e suonasse filosofie di cieli e bar e amori rifiutati, beh forse sarebbe ancor più parodistico, sarebbe una menzogna protratta, un vino annacquato. Mettiamoci l’anima in pace, i Thegiornalisti sono questi e forse è meglio così.