La voglia è quella di respirare ancora un po’ di fumo passivo, non tornare a casa, sbagliarsi apposta al bivio. Magari seguitare a girare in macchina, per continuare ad ascoltare le stesse canzoni che Franchino ci ha offerto dal vivo, pochi minuti prima, dal palco dell’Atlantico di Roma. L’occasione è l’unica data in città del tour invernale di Stanza Singola, il sorprendente disco d’esordio da solista di Franco126, che arriva a quasi due anni dalla conclusione del fortunato connubio artistico con Carl Brave. Le loro strade si sono separate e sembra passata un’eternità da quando li abbiamo conosciuti nell’angusto spazio degli ex Magazzini Generali, per il primissimo concerto dell’album Polaroid.
E sembrano distanti anche le strade che hanno intrapreso i ragazzi di Trastevere, Carl ha continuato su quella linea estiva e ondeggiante che li aveva accomunati in alcuni pezzi, assecondando la sua abbondante produzione creativa con un album e mezzo e numerosi featuring usciti uno di seguito all’altro; mentre Franchino si è costruito un percorso tutto suo, ad un altro ritmo, utilizzando un altro tono, un registro sonoro, vocale ed emozionale che si fa scientemente carico di un’eredità romana, di una scuola cantautoriale che in lui trova naturalmente la sua prosecuzione.
Non c’è l’intenzione di lanciarsi in improvvidi paragoni con mostri sacri del passato, è solo una sensazione comune che si percepisce nell’aria, ed un’impronta che il nostro ha scelto di fare propria, a suo rischio e pericolo. Aleggia sulle teste di questo palazzetto quella malinconia calda e vitale che è stata il marchio di fabbrica della canzone romana e che ha trovato in Califano il suo più grande esponente. Una tristezza leggera che si confonde con un sorriso costante. Un senso di sospensione nel tempo che solo una città come Roma sa darti. Franchino ce l’ha dentro di sé e ce lo regala tramite uno stile che è inconfondibilmente suo, difficilmente inquadrabile nelle nuove etichette musicali, tra l’indie e la trap, tra nostalgia e progresso.
Se l’accento è marcato e la tradizione è tracciata, Roma però sparisce dalle canzoni del nuovo album, Franchino si svuota dei vecchi legami per non citare se stesso, racconta la sua vita e i suoi pensieri al di fuori del luogo fisico, l’unico accenno concreto lo ritroviamo nella toccante Ieri l’altro dove maestosa ci appare la scalinata di Viale Glorioso, con i suoi 126 gradini che danno il nome alla Crew, in una canzone che richiama i rapporti di vecchi amici che crescono, le differenze che la vita ti impone e che il successo ti accentua, quel compromesso interno che sei costretto ad accettare proprio a causa di tutti quei passi compiuti insieme, per poi ritrovarsi a chiedersi tra le strofe di nuove tracce se si ricordano ancora quei giorni passati in strada.
L’ambiente dell’Atlantico di Roma è più caldo, più intimo, di quello dei grandi palazzetti, e sempre più a misura di Franco126 che arreda il palco come una stanza d’albergo anni ’70, con la carta da parati ed il divanetto in stile, trasportandoci dentro la copertina del suo album, dentro forse la canzone più bella, quella stanza singola condivisa con Tommaso Paradiso, il vulcanico cantante dei Thegiornalisti, che si presenta a sorpresa sul palco per cantare la sua parte. Le strofe ci ricordano quelle dei suoi primi album, come un lungo flashback che ci fa scordare gli entusiasmi di Love e ci riporta alle sconfitte amorose di Vol.1, in una malinconia donata in prestito alla title track ed a tutti i presenti che cantano emozionati.
Franchino non è un animale da palcoscenico, non intrattiene con battute fulminanti o aneddoti sorprendenti, è minimale, riservato, quasi timido, nonostante la capacità di cantare le sue emozioni davanti a migliaia di persone, però lascia che siano le canzoni a parlare, le note sulle quali non ha difficolta a coordinarci parole, a diventare prolisso, ecumenico.
Insieme a tutte le canzoni dell’album, troviamo un paio di memorie relative a polaroid come Sempre in due e le tre bire di Noccioline, Gemitaiz fa la sua comparsa per Senza di me, poi Franco delizia cuore e mente omaggiando Califano, sue sempiterna ispirazione; il grande classico La mia libertà fa il paio con Io nun piango, inno alla solitudine di un’altra epoca, cantata dietro occhiali scuri ed il coro di centinaia di ragazzi più o meno giovani. Già prima del concerto Franco aveva scelto di instradare la serata sulle note di quelle che sono le sue passioni e le sue ispirazioni, mandando in diffusione la voce di Baglioni, Mia Martini, Sergio Caputo, Renato Zero ed altri artisti visti come mete irraggiungibili.
Il pubblico poi si sfoga con i suoi nuovi classici, dall’effervescenza di Brioschi, di sogni negli occhi e ricordi scarabocchi, fino alla prelibatezza al sapore di pioggia notturna chiamata Frigo Bar che chiude lo spettacolo di quella che Tommaso Paradiso definisce “la migliore penna che c’è in questo momento”, un concerto necessariamente breve, per il quale Franchino si scusa, promettendo di regalarci tanti altri pezzi. Un viaggio al di sopra della realtà, sopra la vita quotidiana, in un mondo di fantasia e di mille pensieri. Non ci aspettavamo un finale da film americano, ci va benissimo anche questo finale dolceamaro, condito da una lunga coda di applausi.
Le fotografie sono una gentile concessione di Beatrice Chima.