Raccontare con il suono

Un’azienda che esiste e cresce da oltre quarant’anni, da teatro di posa, a studio di registrazione, doppiaggio e una sala di proiezione di altissima qualità. Marzia dal Fabbro racconta tradizione e innovazione di Sound Art 23, una realtà produttiva al passo coi tempi.

Marzia, Sound Art 23 è stata al passo con la rivoluzione digitale: non solo siete sopravvissuti, ma vi siete consolidati.

Il segreto è conoscere bene il lavoro, e credo che questi anni di esistenza sul mercato siano la nostra forza. Si tratta di un’esperienza che io ho ereditato e che mi ricorda che ci sono dei processi. Dopodiché le macchine, la tecnologia e le innovazioni ti permettono di migliorare quei processi al massimo. La tecnologia da sola non serve, perché magari rischi di fare sette passaggi in più! Per capirci: con il digitale si è più veloci, è vero, ma si rischia anche di fare peggio. Perché la cinematografia italiana ha una storia costruita su tante maestranze, che non va persa. Ad esempio, nel doppiaggio, il fonico vecchio stile si preoccupava molto della posizione del microfono: la distanza, l’angolo, la posizione creano un certo tipo di suono. E a seconda di come è creato, quel suono potrà essere lavorato con questo “mostro” [ indica la consolle Avid S6 accanto] in modo più o meno efficace. Ecco, i vecchi tecnici usavano di più l’orecchio, i nuovi tendono a guardare le ondine del Pro Tools. Ma non posso incidere o missare solo guardando un’onda, devo rapportarmi con quello che vedo sullo schermo, con la fisicità dell’immagine. Questo è veramente un concetto importante per noi, far capire come la profondità di un suono possa emozionare a seconda di quello che creiamo. Quindi missare guardando il film è essenziale.

Nel vostro organico lavorano diverse generazioni di tecnici: questa collaborazione è vincente?

È chiaro che il tecnico più agée ha meno dimestichezza con la tecnologia ultimissima, impara ma non ha la mentalità da computer che hanno i ragazzi. Però il fonico giovane ha veramente molto da imparare proprio sulla creazione del suono nel cinema, sulla possibilità di restituire quella verità, quell’elemento che poi ti emoziona. Le persone, soprattutto i giovani registi, spesso sottovalutano tutto questo.

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Parliamo un po’ della vostra nuova sala proiezione.

Siamo al centro di Roma e abbiamo la fortuna di avere una sala grande: qui abbiamo affiancato le nuove tecnologie, come l’S3 dell’Avid, accanto alla consolle prodotta dalla storica casa inglese AMS-Neve. E quindi parliamo di tecnologia nuova affiancata a una vera consolle digitale, dove passa il suono e non un remote del Pro Tools. Ho scoperto che è una scelta sostenuta anche da molti studi di Londra: noi siamo arrivati a questa soluzione ragionando, abbiamo voluto tenere questa macchina perché mantiene un suono bellissimo. Però abbiamo voluto anche facilitare dei processic, permettere che più persone lavorino contemporaneamente… e allora abbiamo inserito la nuova tecnologia, anziché utilizzare solo dei controller.

Voi puntate molto sul suono: non è una scelta scontata.

No, non è per niente scontata. Puntiamo sul suono perché è la nostra storia, la nostra esperienza e quindi è qualcosa che conosciamo e amiamo, in cui sappiamo di poter fare la differenza… su un film, su un prodotto televisivo ma anche su un cartone animato, su cortometraggi di autori giovanissimi. È uno strumento in più per il regista, è qualcosa che può usare anche per offrire delle dimensioni che magari non è riuscito a creare sul set. Chiaramente per far questo deve essere supportato da un team di persone che possano dargli il suggerimento giusto. “Perché non spostiamo questo effetto sul surround destro e l’altro sul centrale, creando magari uno spiazzamento?”; così anche il suono diventa parte della narrativa.

Impiegare insieme tecnologie tradizionali e ultimissime garantisce un diverso valore?

Senza dubbio la naturalezza del suono. Perché il suono digitale a volte è troppo perfetto da non essere quasi più reale, e in effetti spesso si tende proprio a sporcarlo… è anche un po’ la storia di pellicola e digitale. I filtri della Neve non è che sporchino il suono, ma gli danno naturalmente un valore diverso. Gli inglesi lo definiscono il suono Neve, oppure il suono SSL: sono consolle che creano un suono personale: ti danno naturalezza, morbidezza e verità.

Sul set ormai la figura del fonico di presa diretta è più limitata. Quanto incide sul lavoro di post produzione?

È un problema enorme: bisognerebbe invece puntare sulla formazione dei fonici e dare loro più tempo sul set, perché è tempo che poi si risparmia in post produzione. Premesso che in post devi comunque ricostruire sempre degli effetti e dei rumori, avere suoni e dialoghi già incisi nel loro ambiente originale poi torna sia a livello artistico che di costi, mentre forse si crede che sia più facile il contrario. Prendere il rumore dalle libraries richiede un tempo lungo e si tratta comunque di rumori standard. Avere più materiale da missare invece è un’altra cosa. Anche il resto dell’Europa si lamenta di questo problema, che si verifica perfino su produzioni grandi e soprattutto televisive, dove appunto sul set si lavora in maniera ancora più veloce. E quando alla fine senti che il suono è povero, è terribile.

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Voi vi occupate davvero di tutto, dal videogioco al film, dalla fiction al cinema: come cambiano le dinamiche di lavorazione all’interno dei diversi prodotti audiovisivi?

 Come dicevamo, per il suono del cinema è molto importante quello che ti arriva dal set, e così anche per la televisione. Un cartone animato è un’operazione completamente diversa, anche più creativa, specialmente per quanto riguarda il lavoro dei doppiatori sulle voci dei personaggi… ci vuole una buona dose di fantasia. Nel videogioco è un discorso ancora più esasperato: la registrazione del dialogo è molto asettica, si lavora su frasi spesso scollegate dalle immagini.

Il boom dello streaming, di Netflix e via discorrendo: con il web cambia la modalità di fruizione soprattutto nel caso della serialità internazionale. È l’era della visione veloce e simultanea, del sottotitolo. Che futuro vedi per il doppiaggio?

 Credo che il doppiaggio ci sarà sempre perché comunque è un servizio in più. Soprattutto per alcuni prodotti da consumo bulimico, come i reality televisivi. Ma i cultori delle serie, che preferiscono guardarle sottotitolate, stanno aumentando sempre di più perché credo che la qualità del doppiaggio si sia un po’ abbassata. Un vero peccato, perchè il doppiaggio è davvero un mestiere artigianale in cui noi eravamo e siamo ancora tra i più bravi.