Fabrique inaugura una nuova rubrica per scoprire i segreti delle tecniche, le attrezzature e le passioni di chi cerca lo scatto perfetto su un set cinematografico, il fotografo di scena. Per aprire la rubrica non potevamo che intervistare Francesca Fago, amica di lunga data di Fabrique, che ha scattato la copertina numero 0 della nostra rivista ed è oggi un’affermata fotografa di scena.Francesca è un’outsider nel panorama del cinema italiano, ha un suo stile personalissimo che le permette di ottenere delle foto con una cifra molto autoriale. Il suo “dietro le quinte” ha un sapore magico e antico, ma con la grinta e l’energia della sua generazione.
Ricordi il tuo primo film?
Certo, un’esperienza indimenticabile, Caravaggio di Angelo Longoni. Ero lì come assistente accanto a due grandi maestri di fotografia e di luce, Piero Marsili (a cui devo molto) e Vittorio Storaro, che possiamo dire sia il maestro di tutti… Avevo molta paura ma lavorare accanto a Piero Marsili mi ha permesso di osservare da vicino i suoi movimenti e “appostamenti”. Poi il primo film ufficialmente è stato Le stelle inquiete di Emanuela Piovano, regista molto brava che ha creduto in me.
La tua prima macchina fotografica?
Una Minolta X300 analogica. Sono molto legata alla pellicola ancora oggi, e cerco di continuare a scattare così quando posso. Ricordo perfettamente che me la regalò mio padre per i miei 16 anni. L’ho usata per parecchi anni. Mi è servita per iniziare a sbagliare. La pellicola non perdona ma è da quegli errori che s’impara di più. Poi col tempo sono passata al digitale. Ho ereditato una serie bellissima di ottiche Nikon da un altro fotografo di scena, Emanuele Prandi. Era un caro amico di famiglia e mi sembrava giusto proseguire il suo cammino, dunque da lì mi sono battezzata come Nikonista con la splendida D2Xs. Quando mi sono specializzata nel lavoro sul set ho sentito l’esigenza di un modello più leggero e maneggevole, così sono passata alla Nikon D800.
Quale macchina fotografica usi ora?
Pensavo non l’avrei mai fatto, ma l’anno scorso ho fatto un grande passaggio, mi sono convertita alla Fuji con la XT3 e mi trovo davvero bene. È molto leggera e resistente, ha una curva sensitometrica che mi permettere di esplorare molto sia nelle ombre che nelle alte luci e questo mi fa comodo in molte situazioni sul set. Per non parlare del fatto che è una mirrorless e l’assenza di rumore mi permette di scattare liberamente senza disturbare la recitazione degli attori.
Obbiettivi?
Io lavoro con un 16/55mm e un 50/140mm (Fuji), ma il mio grande amore è stato il Nikon 85mm f1.8, aveva uno sfuocato sui ritratti che mi faceva impazzire di gioia.
Quando scatti sul set, in generale usi priorità di otturatore, di diaframma oppure setti tutto in manuale?
Da sempre scatto solo interamente in manuale, un direttore della fotografia una volta mi ha detto “Quando scatti devi soffrire!”. Detto così sembra una frase sadica, ma ciò che intendeva è che avere timore che qualcosa vada storto aiuta a mantenere alta la concentrazione e l’energia creativa. Di quel monito io ho fatto il mio mantra, e mi sono imposta questa regola. Ora non solo non soffro più ma ho imparato ad avere totale controllo del mezzo. Questo penso fosse il vero insegnamento che si celava dietro le sue parole…
Fotografia naturalistica: preferisci ottenerla solo con luce naturale o con diverse luci artificiali?
“Non mi piace aspettare, ma non si possono dare ordini al sole”. Mi viene in mente questa citazione che ho letto pochi giorni fa in un’intervista a Josef Koudelka, uno dei miei fotografi preferiti in assoluto. E mi sembra sia appropriata alla domanda, personalmente penso che per la fotografia naturalistica ci sia solo una possibilità: affidarsi alla luce del Sole e sapere aspettare il momento più adatto. Sul set l’obbiettivo del fotografo di scena è quello di restituire in una sola immagine l’atmosfera di un film. Come fosse una forma di riassunto: mentre una scena nel cinema è raccontata da più tagli e inquadrature (totale, campo, controcampo etc.) il fotografo deve raccontare il tutto in un unico scatto. Per questo anche in questo caso mi sembra opportuno partire dalla luce che illumina quella scena. Nella mia formazione inoltre c’è tanto reportage, uso ancora oggi quell’approccio di osservatore silenzioso che cattura un momento della realtà. Anche se in questo caso la realtà raccontata è una realtà di finzione…
Quando scatti fuori dal set, in particolare per i “posati”, preferisci luce continua o flash?
Personalmente non amo il flash. Dunque uso quasi sempre la luce continua. Non mi piace essere condizionata dall’intermittenza del flash; la luce continua lascia più spazio alla spontaneità, mi permette di cogliere attimi imprevisti.
Usi qualche filtro ottico? Oppure preferisci applicarlo di più in post-produzione? Curi tu la post-produzione delle tue foto?
Qualche volta, quando serve, uso un filtro polarizzatore. Mi aiuta a correggere i difetti che si possono creare in situazioni di luce molto intensa. Per il resto lavoro tutto durante la post- produzione, che curo personalmente. In questa fase del lavoro è fondamentale la collaborazione con il direttore della fotografia. Con lui capisco che tipo di color avrà il film e cerco di avvicinarmi il più possibile. Purtroppo però questo lavoro di “squadra” non è sempre scontato. Anzi accade che il fotografo sia un po’ abbandonato a se stesso, quando invece una collaborazione del genere risulta sempre vincente perché le immagini del fotografo sono quelle che promuovono il film e dovrebbero esserne parte integrante come lo sono le immagini della macchina da presa.
Il primo vero e importante rimprovero che hai ricevuto durante un lavoro ma che ti ha insegnato qualcosa di fondamentale sul tuo mestiere.
Mi viene da dire che sono stata fortunata oppure sfortunata, perché non ricordo un rimprovero così importante da diventare un insegnamento. Errori tantissimi, dai quali ho imparato sempre qualcosa. Sembra un aspetto minore ma ad esempio è importantissimo il rapporto con gli uffici stampa che dal momento in cui finiscono le riprese sono un referente importante e questo non te lo insegna nessuno… In generale l’esperienza sul set e tutto quello che comporta – aspettare, sapersi muovere, chiedere scusa, ringraziare, stare al proprio posto, prendere gomitate, non calpestare i cavi – è il vero grande insegnamento e direi che serve anche nella vita, non solo nel lavoro.
Chi come noi fa cinema, spesso non pensa ad altro e non ha il tempo di godersi altro! Ma dimmi tre cose che addirittura preferisci allo stare sul set.
Ahimè, sono figlia di una costumista e di uno scenografo e nipote di un critico cinematografico, da questo mondo non riesco proprio ad uscire! Con mio nonno Morando andavo sempre al cinema e quando tornavamo a casa dopo cena, guardavamo un altro film o leggevamo le sue recensioni e anche oggi è un bel modo per rilassarmi. Però amo ascoltare musica, dormire, bere buon vino e cucinare. Potrei morire di ostriche e patatine fritte. Ho una passione per le orchidee e se potessi andrei in giro per Roma a cavallo. Di questi tempi il migliore guilty pleasure è viaggiare e vedere liberamente gli amici e mi manca davvero tantissimo.
Il tuo collega che “odi” di più perché è troppo bravo?
Odio solo il fatto che nel mio mestiere raramente si possa lavorare insieme perché mi piacerebbe molto farlo, e le volte che mi è capitato è stata una grande ricchezza. Un maestro per me è Angelo Turetta, che oltre ad essere stato davvero un mio insegnante allo IED, è un grandissimo fotografo e una persona che stimo tantissimo. Ma ho solo colleghi bravissimi per fortuna! Il concorso Cliciak di Cesena, organizzato dal grande Antonio Maraldi è una realtà preziosa che permette ai fotografi d’incontrarsi e conoscersi.
PS: Perché nel nostro mestiere siamo più abituati a competere che a sostenerci e dimostrarci stima?
Fin da bambina ero terrorizzata all’idea di fare le gare, perché odiavo la competizione! Sono convinta che da soli siamo molto più fragili e limitati. Pensare di essere migliori di altri è una presunzione inutile. Per giunta lo sanno tutti che fine fanno quelli che vogliono arrivare prima a scapito degli altri. Lo insegnano le favole antiche come la lepre e la tartaruga… Nei mestieri creativi poi, questa cosa vale ancora di più, la competizione impoverisce la creatività. Al contrario, non c’è cosa più bella e importante dell’imparare, e s’impara dagli altri. Ognuno di noi ha delle qualità specifiche da insegnare e sono convinta che sostenendoci a vicenda ci si può solo arricchire e si arriva davvero lontano. Mai come in questo periodo abbiamo compreso che dipendiamo profondamente gli uni dagli altri, dovremmo farlo diventare una legge, nessuno si salva da solo (per citare un libro e un film). Credo davvero che la parola chiave sia ‘insieme’.