Chi ha scelto quel brano per quel film? Chi ha riscoperto quella canzone in quella serie? Sono i music supervisor a settare il tono di una sequenza, accompagnare i personaggi, risolvere gli snodi narrativi.
Prendiamo ad esempio la sigla d’apertura di Peaky Blinders. Ad accompagnare la famiglia di gangster degli anni ’20 nella fumosa Birmingham c’è la voce di Nick Cave: On a gathering storm comes a tall handsome man, in a dusty black coat with a red right hand, sembra scritto per l’occasione ma è un brano del 1994. Se la voce di Nick Cave e la scelta di brani moderni hanno dato identità alla serie creata da Steven Knight, Jen Malone ha studiato ogni canzone di Euphoria per farci sentire giovani e perduti con Mount Everest di Labrinth e You should see me in a crown di Billie Eilish. Mentre Nora Felder in Stranger Things ha lavorato incessantemente al suo revival anni ’80 con Should I Stay or Should I Go dei Clash e la virale Running Up That Hill di Kate Bush, nella colonna sonora di The Last of Us gli Wham cantano Wake me Up Before You Go-Go per avvertire i protagonisti che il pericolo è imminente. Tutte canzoni con un’innegabile tendenza verso gli anni ’80 e ’90 che, a seguito della messa in onda, hanno raggiunto ascolti record.
Un fenomeno che non riguarda solo le serie tv americane: quando Zero è uscita su Netflix Italia, era già chiaro che sarebbe stata una rivelazione a livello di soundtrack, dal brano dedicato di Mahmood alla presenza di Marracash, Emis Killa e Guè Pequeno. Oltre alla scena milanese, nella serie si possono sentire i Grizzly Bear, Lous and The Yakuza e FKA Twigs, una selezione a opera di Yakamoto Kotzuga (pseudonimo di Giacomo Mazzuccato). Si potrebbe fare un discorso simile per Strappare lungo i bordi di Zerocalcare con le musiche originali di Giancane (Giancarlo Barbati), autore anche del brano che fa da sigla: le scelte musicali vanno da Xdono di Tiziano Ferro a Libero dei Klaxon, gruppo punk italiano. Anche se cade – ma non è la sola a farlo – su due dei pezzi più inflazionati dalla serialità contemporanea: Wait degli M83 e The Funeral dei Band of Horses. Anche Marco De Angelis music supervisor di Baby ha lasciato il segno con la perfetta Wasting My Young Years dei London Grammar e Torna a casa dei Måneskin, ma è soprattutto Prisma, la serie ideata da Ludovico Bessegato e Alice Urciuolo a settare un nuovo standard. La coppia di music supervisor Silvia Siano e Federico Diliberto Paulsen hanno delineato la colonna sonora più fedele in assoluto alle emozioni dei personaggi. Il primo brano non originale è You’re So Cool di Jonathan Bree al quale segue The more I cry della svedese Alice Boman, entrambe scelte dal sapore vintage pur essendo brani contemporanei, poi Tenco e Califano e l’opportunità data ai trentenni di crogiolarsi in Sere nere di Tiziano Ferro, ma anche No one knows me like the piano di Sampha che ci fa sentire dentro le vite dei protagonisti. Un lavoro che evidenzia quanto è cambiato il peso di una colonna sonora non originale all’interno della produzione seriale contemporanea.
Non solo creare, ma anche scegliere un brano per una determinata scena non è affatto semplice: secondo la music supervisor di Grøenlandia Group, Eleonora Danese, «è importante sapere che non sempre la canzone più bella è quella più adatta. Fare music supervision non significa solo conoscere tantissima musica o avere buon gusto in materia, ma anche e soprattutto saper trovare il giusto incastro fra immagine e sonoro in contesti molto specifici». Ma la supervisione musicale non è un lavoro solitario, lo sottolinea bene Silvia Siano, music supervisor delle popolari serie-teen Prisma e Skam: «Le colonne sonore sono il frutto del confronto tra molte figure, cerco sempre di avere da chi segue la regia indicazioni generali sul tono musicale che si vuole ottenere. Chiedo di solito una playlist di reference da tenere presente e cerco di farmi indicare anche le motivazioni per le quali i vari brani vengono ritenuti interessanti, in modo da fare poi nel tempo proposte coerenti. Se cerco un brano per una scena o una sequenza specifica provo a indagare il ruolo che la traccia deve avere, i livelli del racconto che deve sottolineare, il modo in cui deve entrare in relazione con le immagini».
È quindi fondamentale bilanciare la creatività con le richieste dei produttori e dei registi: c’è chi parte dal brief e cerca di attenercisi il più possibile e chi crede che valga la pena rischiare e spingersi sempre un po’ oltre. Non è sempre facile, lo sa bene il music supervisor di Disney, Brian Vickers: «Come in ogni lavoro, ci sono sfide che si presentano spesso. Come supervisore musicale, tu sai cosa è nuovo, fresco, interessante e unico. Ma ci sono momenti in cui le persone con cui lavori non lo sanno. Inoltre, le cose spesso si muovono molto velocemente, quindi può essere stressante e impegnativo. Ma l’obiettivo è sempre dare il meglio e non perdersi nel processo». Una problematica che secondo Luca Thomas D’Agiout, compositore e produttore musicale, si amplifica nell’industria televisiva, in cui la flessibilità e la capacità di adattarsi possono rivelarsi un rischio: «La televisione è come una spugna, raccoglie e riutilizza voracemente tutta la cultura pop che la circonda e la alimenta. Trattandosi di un settore un po’ caotico il rischio è quello di cedere alla sensazione che la genericità possa rappresentare un vantaggio. Ma è esattamente l’opposto, acquisire e conservare una salda identità artistica sul lungo periodo è una mossa vincente, ti rende riconoscibile e associa il tuo nome a un prodotto musicale che davvero parla di te agli altri».
Una volta trovata la canzone giusta inizia il faticoso lavoro per ottenerne i diritti. A volte la parte difficile è rintracciare chi li detiene, altre è convincere chi li possiede a concederli. L’empatia, il senso musicale e le capacità di convincimento non bastano, il music supervisor deve avere a che fare col budget, negoziare le tariffe, fare ricerca sul copyright. È tutto un grande incastro, specifica Silvia Siano: «Se mi si chiede un’idea su chi affidare una colonna sonora originale faccio riferimento alla mia rete di contatti con compositori e compositrici di talento. Nella ricerca di musica di repertorio uso il mio archivio personale, frutto di anni di ascolti e ricerche. Molto preziose sono poi le proposte dei miei interlocutori nell’editoria e nella discografia, con i quali porto avanti uno scambio costante, in modo da essere sempre aggiornata sulle novità musicali. Il rapporto di collaborazione e fiducia reciproca con gli operatori dell’industria musicale è fondamentale per ottenere informazioni necessarie a valutare se una proposta è realistica o se è meglio non portarla avanti. Se un brano non è licenziabile perché troppo costoso, perché prevede il coinvolgimento di troppi interlocutori o per impedimenti di qualunque tipo, è bene evitare proprio di presentarlo, per non correre il rischio che ci si affezioni a un’idea irraggiungibile». È un lavoro affascinante, ma è molto più complesso di come appare, anche secondo Eleonora Danese: «È facile immaginare che anche i lavori che dall’esterno sembrano più divertenti di altri, come potrebbe essere questo, comprendano mansioni un po’ meno divertenti – ahinoi, non passiamo la giornata a fare playlist! Però, credo sia proprio il doversi costantemente dividere fra creatività e praticità a rendere questo lavoro così interessante. Bisogna fare un sacco di calcoli, tenere a mente una marea di informazioni e comunicare con quasi tutti i reparti della casa di produzione, dall’editoriale al montaggio». È fondamentale riuscire a bilanciare creatività e collaborazione, anche per Brian Vikers: «Non importa con chi lavori, l’obiettivo è sempre “raccontare una storia”. La musica dovrebbe aggiungere non togliere all’esperienza narrativa. E anche se ciò può significare che molti hanno opinioni diverse, quando una cosa è buona e funziona il lavoro è soddisfacente e mette tutti dalla stessa parte».
Su tutto questo pesano i cambiamenti del mercato musicale, che fa sempre più affidamento sulle entrate che vengono dai permessi di copyright e utilizzo. Secondo Luca de Gennaro, VP Talent & Music di Paramount Global, la figura del music supervisor è cambiata molto nel tempo: «Negli ultimi vent’anni i music supervisor sono diventati le figure professionali più efficaci per decretare il successo dei brani, sia nuovi che di catalogo, basta osservare i casi di Kate Bush e dei Cramps nel 2022, con canzoni vecchie di quarant’anni che sono ridiventate successi globali perché inserite in scene chiave di serie tv. Oggi, nell’era dello streaming, un music supervisor può e deve fare la differenza».
Le differenze con cui operano compositori e supervisori ne influenzano la visione d’insieme: i primi lavorano spesso sul momento, si concentrano sulla scena e le emozioni, mentre i supervisori hanno un’idea più completa degli archi narrativi, ma le loro visioni finiscono per convergere. La presenza di un music supervisor in ogni caso è, secondo D’Agiout, un valore aggiunto, perché «è una sorta di mediatore culturale in grado di cogliere le opportunità che derivano dalla musica e renderle più comprensibili a chi dovrà utilizzarle, editor, registi ed altre figure coinvolte. Ce ne vorrebbero tanti di più sul mercato, sono figure rare e preziose, in grado di alzare l’asticella del valore percepito di un’opera audiovisiva».
Eppure per l’industria dell’audiovisivo il supervisore musicale è ancora una figura ai margini, in corso d’evoluzione. O meglio, una figura di “raccordo”, come la definisce Silvia Siano: «Oggi siamo in pochi e veniamo da percorsi molto diversi. In futuro probabilmente il ruolo diventerà più istituzionalizzato, la formazione si uniformerà, l’integrazione nelle dinamiche produttive diventerà più naturale. C’è inoltre da considerare che le piattaforme di streaming oggi vengono in possesso dei diritti delle musiche originali delle loro produzioni, entrando quindi a pieno titolo nel mondo dell’editoria musicale e della discografia. Sicuramente questo comporterà ulteriori cambiamenti». L’argomento più spinoso resta il budget, come conferma Luca De Gennaro: «In questo lavoro l’unica regola è che non ci sono regole. I budget sono estremamente variabili, se sei bravo puoi riuscire ad avere brani storici a prezzi ragionevoli, ma puoi anche incontrare difficoltà enormi su operazioni che ti sembravano semplici. Poi quando vediamo film come Air – Il grande salto, con tutte quelle canzoni famosissime e perfettamente utilizzate che la music supervisor Andrea Von Foerster è riuscita a ottenere, la prima cosa che ci viene in mente è “pensa che budget aveva a disposizione, beata lei!”».
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