29 anteprime, incontri con i protagonisti del cinema e molti appuntamenti aperti al pubblico e alle scuole. È il programma della 22esima edizione degli Incontri del Cinema d’Essai, promossa dalla FICE (Federazione Italiana Cinema d’Essai) a Mantova da oggi al 6 ottobre. Per l’occasione Fabrique ha dialogato con Domenico Dinoia, presidente FICE, sullo stato di salute del cinema d’autore, sulle piattaforme e sulla curiosità dei ragazzi.
Domenico, qual è il bilancio che traccerebbe per quest’anno?
È evidente che siamo tuttora in una fase in cui i problemi creati dalla pandemia non si sono risolti: i numeri sulle presenze nei cinema non sono ancora soddisfacenti, per tutti i tipi di film. Il dato si ferma a -60% rispetto al 2019, l’ultimo anno senza chiusure per i cinema, che peraltro era stato un anno con ottimi risultati per il cinema italiano. Ma siamo all’indomani della Mostra del cinema di Venezia, in cui si è registrata una folta presenza di titoli italiani: alcuni sono già sono usciti in sala (Il signore delle formiche, L’immensità, Ti mangio il cuore e Siccità) e grazie a loro il cinema italiano sta recuperando un po’. Ci auguriamo naturalmente che gli altri titoli che usciranno nei prossimi mesi diano un’ulteriore spinta al nostro cinema. A Mantova presenteremo molte anteprime e alla sala dedicheremo un convegno dal titolo Non c’è cinema senza sala, proprio per riaffermare la nostra visione – e spero non solamente nostra – che il cinema è solo quello che va in sala. Sappiamo bene che c’è molta invadenza da parte di altri sistemi di produzione che invece incentrano la loro promozione proprio sullo slogan “vi portiamo il cinema a casa”…
A proposito del convitato di pietra di ogni ragionamento sulle difficoltà della sala oggi: le piattaforme. A che punto è il dialogo con loro?
Che le piattaforme abbiamo avuto una fortissima accelerazione in questi ultimi anni, anche grazie alle chiusure durante la pandemia, non c’è ombra di dubbio. Così come non c’è dubbio che il loro arrivo abbia portato grandi investimenti anche nella produzione e quindi nuova linfa nel sistema produttivo italiano e non solo. La difficoltà di confronto fra sale e piattaforme nasce però da un punto nevralgico: le piattaforme continuano a non voler seguire la strada di una normale produzione e distribuzione, riconoscendo cioè un’esclusività alla sala per un certo periodo, e quindi è chiaro che con noi non si può aprire nessun dialogo. Se un film va a un festival, magari vince anche dei premi, ma gli viene negata la possibilità di essere visto da un pubblico cinematografico, che confronto ci può essere? E nemmeno si può pensare che funzioni lo stratagemma di un’uscita spot in sala come semplice vetrina, perché così salta tutto un equilibrio consolidato basato sul fatto che un film con un buon successo in sala aveva anche un buon successo nei successivi sfruttamenti (TV, home video): così si crea alla fine un danno a tutti, in primis agli autori che vorrebbero il loro film in sala perché è per la sala che l’hanno pensato e perché sanno bene che una vera attenzione al loro lavoro nasce solo nel confronto con il pubblico.
Quale potrebbe allora essere, secondo gli esercenti d’essai, una soluzione per sanare questo vulnus e riportare il pubblico in sala?
Gli elementi da considerare sono due: tutte le ricerche confermano che con la pandemia le persone si sono disabituate a uscire di casa e a stare assieme, una disabitudine favorita anche dai lunghi periodi di confinamento, in cui i cinema erano effettivamente chiusi. L’altro elemento che ha causato una disaffezione alla sala è il sapere che un film lo puoi vedere a casa dopo pochi giorni: e anche se questo in realtà si verifica in pochi casi (ovvero quando sono le stesse piattaforme a produrre i film), lo spettatore è portato a pensarlo e quindi non va più al cinema. Noi siamo quindi convinti che ci voglia un congruo tempo fra l’uscita in sala e il passaggio in piattaforma: quanto tempo? Se ne discute da molto, anche in sede parlamentare: l’obiettivo condiviso da molti addetti ai lavori è arrivare ai 180 giorni della Francia, altri sono disposti anche a considerare 90 giorni. Quello che conta è dare un segnale forte e non accontentarsi solo dei discorsi retorici sulla bellezza dell’esperienza in sala che poi non portano a nulla, perché nel frattempo le sale rischiano di chiudere. E non dimentichiamo poi il tema della distribuzione: nel nostro Paese assistiamo a un’overdose di film italiani che escono tutti insieme in un periodo di tempo limitato, mentre invece sarebbe necessario adottare strategie di più ampio respiro. Bisognerebbe inoltre prevedere una programmazione più lunga: talvolta gli spettatori non fanno nemmeno in tempo ad andare a vedere un film che è già stato tolto, un fenomeno che nel caso dei film commerciali è ancora più accentuato. Per ovviare a questo nelle sale d’essai, ad esempio, si sta affermando la buona pratica di programmare film diversi a orari diversi, consentendo al film di avere una vita più lunga: ma occorre che da parte delle distribuzioni si permetta alle sale una vera multiprogrammazione e agli esercenti di aver libero accesso ai film.
Dal canto suo, invece, che cosa può fare il cinema d’essai per andare più incontro a un pubblico che sta cambiando?
Partiamo intanto dal fatto che le sale d’essai in Italia sono tante, 500, e gli schermi sono anche di più, poiché molte sono multisala. Sono tutte situate nei centri cittadini, sia nelle piccole che nelle grandi città, e vengono frequentate da un pubblico in genere anagraficamente e culturalmente più maturo, che negli anni si è fidelizzato grazie anche a cineforum e incontri con gli autori. In linea del resto con le preferenze del pubblico, che oggi apprezza molto l’evento, ovvero qualcosa di unico, e quando il film è accompagnato dal regista o dagli interpreti anche i più giovani spesso vengono a vederlo. Inoltre negli ultimi anni le sale d’essai si sono ammodernate con poltrone più comode e proiettori più avanzati, grazie anche a incentivi pubblici; presentano spesso una programmazione in lingua originale e un’ampia articolazione dei prezzi che permette a molti di andare al cinema senza spendere più di 6 euro. Cosa si potrebbe fare di più? Diciamo che i risultati meno esaltanti del cinema d’autore, e di quello italiano in particolare, oggi derivano anche proprio dalla distribuzione delle sale a cui accennavo: se i cinema d’essai stanno in centro, i grandi multiplex sono in periferia. E dato che dopo la pandemia sono stati soprattutto i ragazzi a tornare in sala, perché hanno meno paura e più voglia di stare assieme, tendono a frequentare le multisale per vedere i blockbuster americani.
A proposito di giovani e ragazzi: come spiegherebbe agli adolescenti cos’è un film d’essai e perché dovrebbero andare a vederlo invece di accontentarsi degli action o dei supereroi hollywoodiani?
Direi loro che vedere sempre lo stesso tipo di film è come andare sempre nello stesso ristorante e mangiare sempre le stesse cose: qualche volta è meglio cambiare cucina, assaggiare cibi diversi e provare un nuovo gusto che, chissà, forse potrebbe piacere loro anche di più di quelli a cui sono abituati. Cercherei insomma di stimolare la loro curiosità, la loro voglia di diversità, visto che, come hanno già dimostrato tornando per primi al cinema, sono quelli che hanno meno paura. Le iniziative rivolte alle scuole potranno essere molto utili per riallacciare un rapporto con il mondo dei più giovani e far conoscere loro film e cinematografie che difficilmente vedrebbero altrimenti.