Luciano Tovoli – presidente dell’AIC (Associazione Italiana Cinematografia) e creatore della federazione Europea degli Autori della Cinematografia IMAGO – è uno degli autori della cinematografia (guai a definirlo direttore della fotografia…) che ha fatto la storia del cinema italiano e non solo, lavorando a fianco di mastri come De Seta, Antonioni, Argento, Scola, Tarkovskij, Pialat e molti altri. E oggi il cinema?
[questionIcon] Lei è stato uno dei primi autori della cinematografia ad accostarsi al digitale. Quante cose sono cambiate rispetto a quando ha iniziato?
[answerIcon] Nel 1979 ho realizzato con Michelangelo Antonioni Il mistero di Oberwald, il primo film che ha impiegato l’elettronica [il film è stato girato in video per intervenire elettronicamente sul colore, e poi riversato in pellicola, ndr]. Io e Michelangelo volevamo capire se la pellicola fosse ancora il mezzo espressivo migliore o se potevamo usare una nuova tecnologia da poco disponibile, ovvero l’elettronica in bassa definizione, poiché le parole “alta definizione” o “digitale” non esistevano nemmeno. Il mistero di Oberwald ha anticipato tutto il cambiamento tecnologico che poi è dilagato trasformando il cinema. Però il messaggio che volevamo dare allora, ovvero la centralità della ricerca di un mezzo che desse nuove e maggiori possibilità espressive, è stato frainteso da tutto il sistema produttivo, col risultato che adesso si gira senza luce, di fretta, con macchine a mano piccolissime e leggere che si possono acquistare sotto casa. Prima si ragionava a lungo sull’inquadratura, c’era un’elaborazione che adesso manca totalmente. Oggi non si scrivono più storie da girare nei teatri di prosa, là dove c’è bisogno di ricostruire una scenografia, di illuminare. Un tempo era molto più complesso fare questo mestiere ma avevamo fiducia, era il cinema della fiducia, in noi stessi e negli altri, oggi è il cinema di notai assiepati dietro al monitor per controllare nell’immediato il lavoro dei collaboratori, senza più alcuna fiducia in loro.
[questionIcon] L’horror è stato un genere che forse più di altri le ha permesso di sperimentare. Come si è confrontato, ad esempio, con un autore come Dario Argento?
[answerIcon] In realtà non ho preso parte a molti film horror, ma sicuramente è un genere che si presta alla sperimentazione. Il primo horror a cui ho lavorato, Suspiria, richiedeva un certo tipo di ricerca, non mi sono posto il problema se fosse una storia romantica, dell’orrore o altro, Dario Argento aveva una visione precisa del film e io ho cercato di contribuire con la mia fantasia e creatività ‒ qualità, tengo a sottolineare, che le macchine non hanno. Il rapporto con Dario è stato splendido. Ma in generale, nella mia carriera, sono stato molto fortunato poiché ho avuto buonissimi rapporti con i registi, che mi hanno lasciato sempre completamente libero di fare quello che volevo.
[questionIcon] Colgo al volo il suo accenno a Suspiria: non posso non chiederle come ha reagito alla notizia del rifacimento di Guadagnino… Crede sia possibile realizzare un buon remake di un classico del cinema?
[answerIcon] Guadagnino è un grandissimo regista dotato di un’enorme sensibilità. Il fatto che abbia girato un remake è un omaggio a Suspiria, il tributo di un appassionato di cinema che si è legato alla settima arte proprio vedendo il film di Argento quando era un ragazzino; penso non ci sia modo migliore per rendere onore con sincerità e passione a un’opera che ti ha cambiato la vita. Il remake è sempre un omaggio a un film a cui ti ispiri, è un’operazione meritevole, con tutti i rischi che può comportare. Non ho un’opinione particolare a riguardo, ma se mi chiamassero per realizzare il remake di un bel film sarei felice.
[questionIcon] Ha girato molto anche all’estero. Come cambia il lavoro di un autore della cinematografia nel momento in cui si superano i confini nazionali?
[answerIcon] Il mio “estero” ha dei nomi ben precisi: Parigi, New York, Los Angeles. È vero, con i film italiani sono andato in giro in tutto il mondo, ma se ci riferiamo a produzioni che nascono oltre confine allora bisogna parlare della Francia e degli Stati Uniti. In ogni caso si tratta sempre di fare un film, quindi non cambia assolutamente niente. Forse l’unica cosa che varia è l’orario di lavoro, a Parigi si lavora sette ore e mezzo al giorno (eppure il cinema francese realizza 270 film all’anno interamente francesi con distribuzione certa nelle sale), da noi invece lavoriamo minimo dieci o dodici ore (con circa 150 film con incertissima distribuzione) mentre in America ne occorrono quindici o diciassette. Il resto è uguale ovunque, il rapporto con la troupe non cambia, ci sono meravigliosi macchinisti, elettricisti, operatori di macchine a Parigi così come si trovano a Roma o Los Angeles. Certo, diventa fondamentale parlare le lingue perché al di fuori dell’Italia nessuno fa degli sforzi per comprenderti. Io ero ferrato perché avevo studiato lingue all’Università di Pisa e questo mi ha avvantaggiato.
[questionIcon] Numerosissimi sono i grandi registi con cui ha collaborato: Antonioni, Scola, Ferreri, Zurlini, Schroeder, Veber, Tarkovskij. C’è un legame, o anche un film, che porta maggiormente nel cuore?
[answerIcon] Amo incondizionatamente almeno una decina dei miei film ed è difficile sceglierne uno anziché un altro. Ricordo con affetto i primi lavori che ho girato, erano spaghetti western di serie Z, il gradino più basso che si possa immaginare, ma è stata un’esperienza meravigliosa, di vita, di divertimento, di apprendimento professionale e di questo sono molto fiero. Un altro film di cui vado molto orgoglioso, la sorprenderò, è Fracchia contro Dracula, che ho voluto fare perché volevo lavorare con Paolo Villaggio e trascorrere quanti più mesi possibile con lui, che a mio parere è stato un vero genio rivoluzionario.
[questionIcon] Cosa pensa del mestiere di autore della cinematografia oggi? E cosa crede cambierà in futuro per coloro che fanno o vogliono fare questo lavoro?
[answerIcon] In futuro saremo dei “catturatori” di immagini: verremo inviati dai registi per procurare albe, tramonti, boschi, senza poter decidere, invieremo poi queste immagini a un qualche altro “referente” sopra di noi e da quelle verrà tratto un film. Intendo dire che le figure autoriali saranno sempre più marginalizzate se non poniamo un rimedio a questa deriva, bisogna che tutti gli autori si coalizzino nel tentativo di difendere la creatività. Il cinema è cambiato e cambierà tantissimo, magari un giorno non si chiamerà più neanche cinema; non so che rivoluzioni ci saranno da qui a cento anni o come si girerà, probabilmente le macchine da presa le lasceremo a casa, esisterà un device che ci permetterà di scattare foto o fare riprese direttamente con l’occhio, senza più bisogno di apparecchi o troupe. Chiudendo un occhio gireremo un film tradizionale, aprendoli entrambi faremo un film stereoscopico in 3D. Fino ad allora però c’è ancora spazio per i giovani che vogliono fare cinema, anche se sappiamo che è un’industria in crisi, senz’altro come quantità di lavoro da offrire. Ma ricordiamoci invece che la televisione, che qui in Italia impera, ha continuamente bisogno di personale e dunque soprattutto chi vuole iniziare non ha che da coglierne le opportunità.