È una calda e tetra mattina d’inizio estate. Citofoniamo, segue una bella voce profonda che ci indica di salire al primo piano. Molte immagini, parafrasando un famoso film della nostra Icona, «ci penetrano nella mente come una lama», mentre saliamo la rampa di antiche scale che termina davanti a una porta. Il “Maestro del brivido” ci accoglie calorosamente nella sua casa, sfoglia alcuni numeri di Fabrique in modo attento e meticoloso, li poggia accanto a sé sulla scrivania.
Come e quando nasce il cinema di Dario Argento?
Moltissimi anni fa. Non puoi stabilire un momento preciso, non è che si viene folgorati come San Paolo, a un certo punto nella tua vita incontri il cinema e comincia a fermentare dentro di te. Il mio ad esempio nasce già quando ero un bambino, poi da giovane ho iniziato il lungo percorso che mi ha portato fin qui. L’ho vissuto prima da spettatore, poi come giornalista, come critico cinematografico, come sceneggiatore e infine regista. Tutto il percorso che si compie è in realtà lo sviluppo di una personalità che si va infine a esprimere nel cinema vero e proprio.
Che consiglio darebbe a chi oggi vuole fare cinema?
Oggi è indubbiamente più difficile fare cinema rispetto a quando ero giovane, per diverse ragioni e innanzitutto per questioni finanziarie, perché non ci sono più distributori. La strada è sempre la stessa: studiare, frequentare scuole di cinema – quelle mediocri è meglio evitarle perché non servono a niente, solo a far guadagnare quelli che le organizzano, altre però sono interessanti, come quelle legate al pubblico. Magari fare anche qualche stage durante la lavorazione di qualche film così da poter vedere come funziona il cinema in concreto e non solo in teoria. Bisogna frequentarlo, il cinema. Ripeto, però, oggi debuttare non è affatto facile. Ho visto anche molte opere prime di genere lo scorso anno al Courmayeur Noir Film Festival, film pieni di inventiva, con storie molto forti, però nessuno è riuscito a trovare un distributore italiano.
Forse perché in Italia si privilegiano la commedia e il dramma, anziché tentare altre strade come avveniva in passato.
Esatto. Hanno paura che il film non abbia successo. Poi, come accennavo, è vero anche che in Italia non ci sono quasi più distributori, e quei pochi che restano, soprattutto per questioni economiche, tendono a puntare su film decisamente più “piccoli”. Questo è il problema più grave, nessuno più osa.
Per valicare questi ostacoli in molti si sono buttati sulle webserie.
Però non ci si guadagna nulla. Chi ti dà soldi per fare questo tipo di prodotto? Senza poi contare che sono comunque dei film piccoli, che vengono seguiti in gran parte dagli affezionati del web, privi di alcuna diffusione, nazionale o internazionale che sia.
Quindi lei esclude di intraprendere un giorno un progetto dedicato alle webserie?
No, in realtà non lo escludo… Però al momento non ci penso.
In passato ha già accolto giovani sotto la sua “ala protettrice”. Oggi sarebbe ugualmente disposto a fare la stessa cosa con qualche altro giovane cineasta?
Dovrei conoscerlo. Tutti quelli che ho prodotto, Lamberto Bava, Michele Soavi, Sergio Stivaletti, li conoscevo molto bene perché avevano lavorato con me, erano stati miei assistenti per lungo tempo, quindi avevo una consuetudine con loro che da tempo non ho con altri. Non ho più contatti così frequenti con i giovani registi.
Perché oggi, secondo lei, i produttori non hanno il coraggio di investire in un cinema diverso, come il suo?
A parte il fatto che opere come le mie sono più costose (prevedono un certo tipo di effetti speciali), spesso i film di genere per non apparire rozzi hanno bisogno di una “veste” che li arricchisca, li renda più interessanti, e questa sorta di abito da far indossare al film è molto costoso. Mentre la commedia è tecnicamente più “semplice”.
Parliamo del “nuovo Argento”. Molti si dicono fedeli all’“Argento classico” e meno a quello degli anni Duemila. Perché secondo lei?
Francamente non lo so, non l’ho mai capito: credo di aver fatto dei film interessanti, ad esempio Il cartaio e Non ho sonno. Forse le persone sono rimaste affezionate a un certo tipo di mio cinema e quindi aspettano sempre che io lo rifaccia, ma non posso perché devo progredire, devo guardare avanti, sperimentare.
La sperimentazione tecnica: ha sempre avuto un occhio di riguardo per questo aspetto.
Io sono nato come sperimentatore, perché sapevo che il cinema è sperimentazione e progresso, bisogna continuamente superare se stessi. Sono andato sempre avanti, dai miei primi film fino a titoli come Profondo rosso, Suspiria, Inferno, La sindrome di Stendhal. Le mie opere sono sempre state delle sperimentazioni, seguendo anche l’insegnamento dei grandi maestri come Sergio Leone e Alfred Hitchcock, che nella loro vita, anche da anziani, hanno sempre sperimentato, inventato. È un modo che è nella mia personalità.
Parliamo allora del suo ultimo film, Dracula 3D. In quanto a tecnica cinematografica c’è sicuramente molto da dire.
Per cominciare c’è appunto l’uso del 3D, che adesso sembra non avere più molta diffusione, però era un aspetto che a me interessava e mi sono deciso a impiegarlo dopo aver partecipato a un convegno negli Stati Uniti su un titolo di Hitchcock, Dial M For Murder (Delitto perfetto), che ignoravo fosse stato filmato originariamente in 3D. Rispetto a Hitchcock, ho voluto provare a girare in un ambiente più ampio, allargandomi, evitando gli espedienti più appariscenti come ad esempio gli oggetti che fuoriescono dallo schermo. Ho preferito incentrarmi sui piani visivi, ogni piano doveva avere una sua visibilità: ad esempio le foreste, ho scoperto che luoghi simili sono i migliori per il 3D perché appunto alberi e cespugli consentono di avere una grande profondità di campo e conferiscono alla storia una visione più ampia.
È possibile che la sua attenzione per la tecnica sia il motivo per cui gli spettatori (non comprendendo appieno questo aspetto) preferiscono i suoi film del passato?
Sinceramente no, credo che il cinema in generale abbia subìto un cambio di rotta. Il boom degli effetti speciali made in USA, ad esempio, ha finito a lungo andare per creare una sorta di sconcerto nel pubblico. Questo tipo di effetti, a volte esagerati, tendono a rendere i film troppo artificiosi, cioè sviliscono la materia poiché si percepisce che sono falsi, quindi in realtà si finisce spesso per vedere film di plastica.
E poi, mi corregga se sbaglio, rispetto a prima la gente oggi difficilmente si spaventa.
Esattamente! L’artificiosità di questo cinema ha determinato anche un’assuefazione del pubblico alla paura.
Profondo rosso ha compiuto 40 anni, e la versione restaurata uscita per l’occasione è stata un grande successo. Come si è sentito?
Mah, non è che penso molto all’anniversario. Ho fatto il film, quello che è stato è stato. La cosa positiva è che finalmente l’ho visto [non guarda mai i suoi film, ndr] nella versione restaurata in varie città e posso dire che non è affatto male.
A breve (2017) toccherà anche a Suspiria.
Proprio come Profondo rosso, anche Suspiria è un film che ho fatto, punto. Lascio godere il momento agli altri.
Suspiria diverrà una serie televisiva. Sarà coinvolto nel progetto?
Faccio una piccola precisazione, in realtà la serie televisiva non è propriamente su Suspiria, ma sul Suspiria De Profundis, il libro di Thomas De Quincey da cui ho tratto la Trilogia delle madri, e avrà proprio Thomas De Quincey come protagonista. È quello che diventerà una serie televisiva e sì, io sarò coinvolto nel progetto.
Altri progetti?
Da tempo ho in programma The Sandman, purtroppo le varie produzioni coinvolte non riescono ancora ad trovare un accordo, ma se si supera questo ostacolo forse riesco finalmente a coronare anche questo… incubo.