Rossella Inglese dà ai suoi corti dei nomi femminili e ci lascia spiare le sue muse dai tratti delicati e dagli occhi magnetici nascoste dietro i vetri come le eroine di Sofia Coppola. Le mostra mentre scoprono il sesso e il proprio corpo, incuranti di un mondo che spesso le giudica per questo.
Rossella Inglese, classe 1989, da Battipaglia si è fatta notare alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Sic@Sic, entrando poi in contatto con la Wave Cinema che ha prodotto il suo ultimo corto, vincitore del premio Emidio Greco al Festival del Cinema Europeo 2018.
Ti occupi di sceneggiatura, montaggio e regia, lavori sui tuoi progetti a 360°. Come hai iniziato?
Il mio percorso professionale si sintetizza in tre cortometraggi: Vanilla, Sara e Denise, una trilogia sulla sessualità femminile con tre protagoniste. Ho iniziato studiando sceneggiatura a Roma, ma per fortuna ho cambiato idea e ho deciso di studiare regia al SAE Institute di Milano, dove ho anche imparato a montare.
Cosa ti ha fatto cambiare idea?
Mi sono ritrovata a scrivere di cose piuttosto intime, accorgendomi così di avere temi molto urgenti: volevo parlare della donna e della sua sessualità. Ho iniziato con un primo lavoro molto personale, ma mi ha affiancata un regista con una visione diversa dalla mia, anche dal punto di vista estetico, e dirigeva gli attori in un modo che non mi piaceva. Ho vissuto altre esperienze simili e mi sono accorta di avere anche una visione registica molto forte, quindi ho deciso di passare alla regia.
Hai fondato una casa di produzione, giusto?
Sì, la Fedra Film è una piccola produzione fondata da me e dal direttore della fotografia, Andrea Benjamin Manenti, nel 2012, con lo scopo di finanziare i nostri cortometraggi. In tutti i miei corti cerco di dare un contenuto narrativo anche alla fotografia e ai movimenti di camera, quindi c’è stata sempre questa collaborazione tra noi due e andrà avanti anche per la mia opera prima.
Poi ci sono Sara e Denise, non è un caso che entrambi i corti portino dei nomi femminili, mettono entrambi al centro delle adolescenti alla scoperta di se stesse e della propria sessualità. Come scegli quali storie raccontare?
Racconto ciò di cui sento l’urgenza: in Sara il punto focale è il passaggio dall’infanzia all’adolescenza di una bambina, orfana di madre, che fa fatica a comprendere i cambiamenti del proprio corpo. In Vanilla, invece, cercavo di capire il conflitto tra inconscio e io, tramite la storia di una ragazza giovane che ha una relazione consenziente con il proprio padre e si ritrova a scontrarsi con quello che prova, con la società che la circonda. In Denise ho affrontato il rapporto che c’è tra la propria identità e la propria immagine online. Questo è il corto un po’ più sperimentale, io e Andrea [Manenti, ndr] abbiamo cercato di fare un uso diverso della macchina da presa, che diventa così un personaggio della storia. In Denise mi sono chiesta come vive un adolescente di oggi, continuamente esposto sui social e quindi a un pubblico in conflitto tra l’identità e l’immagine che deve dare di se stesso agli altri.
Hai lavorato sempre con attori non professionisti.
Lavorare con attori non professionisti è stata una scelta: quando facevo i casting mi sono ritrovata a scoprire che gli attori che avevano già avuto delle esperienze non mi piacevano. A Milano è stato un po’ più faticoso, mentre mi sono trovata benissimo a Roma. Per l’ultimo corto, avrò visto centocinquanta ragazzi e mi hanno catturato quelli con meno esperienza: istintivi, liberi, con un’espressività molto forte, perfetti. Ad esempio, la protagonista di Denise è Gaya Carbini, una ragazza bravissima, sembra una professionista. Per me la direzione degli attori è importante, conosco alcuni registi che non fanno grandi prove. Io invece sono una che deve provare per mesi, far capire bene i personaggi, parlarne con gli attori.
Stai scrivendo la tua opera prima, ritroveremo i tuoi temi chiave o sarà qualcosa di completamente diverso?
Mi piace un cinema che lascia spazio più a uno sviluppo narrativo interiore che esteriore, che è molto sui personaggi e sulla loro interiorità, sulle relazioni uomo-donna. La mia opera prima verterà sugli stessi temi della trilogia di Vanilla, Sara e Denise, ma in questo caso la protagonista è più grande, ha vent’anni, ho chiuso con l’adolescenza. Abbiamo soggetto e trattamento e stiamo lavorando sulla sceneggiatura. Mi sento pronta per un lungometraggio, in Denise ho fatto veramente fatica, avevo scelto dei temi e una storia poco adatti a un corto e mi sono resa conto di avere bisogno di raccontare tutto con più ampiezza e respiro.
Le fotografie rappresentano la giovane e promettente Gaya Carbini nei panni di Denise, nell’omonimo corto che ha vinto il premio Young for Young al Visioni Italiane di Bologna e che è in concorso a Venezia a I love GAI – Giovani Autori.