L’omeostasi è una tendenza naturale alla stabilità e all’equilibro. Ed è proprio l’equilibrio a incrinarsi fino al punto di rompersi nel nuovo cortometraggio di Paolo Mannarino, un equilibrio precario alla base della quotidianità di una coppia che dovrà confrontarsi e indagarsi, dopo aver saputo di aspettare un figlio. Il giovane regista tenta di sondare l’intimità dei protagonisti, che caotica si contrappone alla simmetria delle inquadrature scelte per incorniciare la fragilità dei rapporti umani. La volontà è quella di avvicinarsi, il più possibile, per osservare, scoprire e, magari, ricominciare.
Da dove nasce l’idea per il corto?
La mia idea era quella di raccontare le dinamiche più intime di una coppia, entrare in casa loro durante un giorno all’apparenza normale che si trasforma completamente, diventando scenario di una litigata violenta, sintomo di una crisi più profonda. Volevo osservare quella coppia da vicino come un semplice spettatore, elaborare insieme ai protagonisti il loro dramma, derivante dall’aspettare un figlio e prima ancora dal dover affrontare la vita insieme mettendosi a nudo. Semplicemente, volevo raccontare la crisi di una coppia.
Omeostasi – Trailer from Paolo Mannarino on Vimeo.
La crisi di coppia è un tema molto rappresentato al cinema, spesso anche da grandi autori, non era quindi facile inserirsi nel discorso. Quali sono stati i tuoi riferimenti?
Direi Terrence Malick, con i suoi silenzi, i suoi take sospesi e quell’intimità nel raccontare con la macchina da presa senza dover spiegare troppo. Però mentre giravo non ho pensato tanto a dei riferimenti specifici, perché quello che abbiamo cercato di fare con gli attori [Margherita Laterza e Edoardo Purgatori ndr] e e con il direttore della fotografia è stato farci guidare dalle sensazioni. Abbiamo cambiato le battute, abbiamo cercato di illuminare il meno possibile, provando per tre giorni nella casa dove è ambientato il corto. Tant’è che dovevamo girare circa in cinque giorni e invece ne abbiamo impiegati due, perché c’è stato un lavoro che ci ha permesso di essere sia pronti che spontanei durante le riprese.
Perché hai scelto di girare in 4:3?
Inizialmente ho girato in 2:35, ma poi durante il montaggio mi sono reso conto che era troppo poco intimo, quindi ho cambiato tutto. Ho scelto il 4:3 perché mi restituiva contemporaneamente una sensazione di claustrofobia e di intimità. Inoltre rendeva Omeostasi sospeso nel tempo, come se fosse una vecchia fotografia. È stato il mio primo corto in 4:3, escludendo qualche videoclip che avevo girato tempo fa.
La vera protagonista di Omeostasi sembra essere l’acqua. Cosa simboleggia?
C’è un continuo richiamo all’acqua, al mare, al surf e ognuno ci vede quello che vuole, però per me simboleggiava la placenta in cui è immerso il feto che forse dovrà nascere. È quindi il simbolo di quella vita che si sta generando, ma al contempo l’acqua è ciò che dà vita al dramma tra lui e lei. Un dramma che deriva dal rifiuto, dalla fuga di fronte alla cosa più importante per loro: capirsi e cercare di entrare nei rispettivi pensieri e universi. C’è infatti anche un richiamo all’universo nel corto.
Oltre a vari cortometraggi hai girato molti videoclip. Come comunicano questi due aspetti del tuo lavoro?
I videoclip sono stati un’ottima formazione, sia da un punto di vista tecnico che di scrittura. Mi hanno permesso di fare tanta esperienza, ma nell’ultimo anno e mezzo ho deciso di fermarmi, perché mi portavano via tanto tempo senza darmi appieno la possibilità di esprimermi come volevo. Ho quindi deciso di dedicarmi a un percorso più intimo e personale, scrivendo cose che fossero interamente mie.
Che progetti hai per il futuro?
Ho finito di scrivere un lungometraggio e ho in porto una miniserie di quattro puntate. Riguardo al film posso anticiparti che, in poche parole, si tratta di una storia d’amore in un contesto ostile.