Regista fiorentina, classe 1986, Marta Savina girovaga tra l’Italia, Londra e Los Angeles, insegue le sue storie fatte di donne e minoranze confinate ai margini. Il suo corto, Viola, Franca, ha debuttato al Tribeca Film Festival, vinto due Emmy ai 38° College Television Awards e in Italia è stato nominato ai David di Donatello. Il mondo si accorge di lei e ricorda Franca Viola, la prima donna italiana che nel 1965 disse no, ribellandosi al matrimonio riparatore, portando il parlamento italiano a interrogarsi e a modificare la legge sullo stupro.
Come sei diventata regista?
Sono stata violinista per moltissimi anni, poi intorno ai ventuno ho capito che detestavo suonare il violino e quindi ho preso armi e bagagli e sono partita per Londra. Ho fatto varie cose, tra cui l’università, ma soprattutto mi sono confrontata con l’esigenza di raccontare storie, che per me è come respirare. Poi però ho cominciato a lavorare in pubblicità, gestivo campagne per brand come Nissan o Kellogg’s, e ho iniziato a sentire la mancanza del racconto narrativo.
E sei partita di nuovo.
Sì, come mio solito quando entro in crisi, ho ripreso tutto e sono scappata a Los Angeles [ride, ndr]! Mi hanno preso per un master di quattro anni in regia alla UCLA, finora gli anni più belli della mia vita. Amo LA, mi ha dato la possibilità di lavorare con persone che mai mi sarei sognata di affiancare a inizio carriera, come James Franco e Francis Ford Coppola.
Mi raccontavi che James Franco l’hai incontrato alla UCLA, aveva i diritti su alcune storie brevi di Faulkner, ne voleva fare una sorta di antologia per la televisione e tu hai scelto Elly.
Sì, Elly è una storia ambientata negli anni ’30, in Mississippi, nel sud razzista degli Stati Uniti. Con James abbiamo parlato a lungo della storia e dei personaggi. Lui ha un raffinato approccio da attore per risolvere gli snodi della trama: prende ogni personaggio, si immedesima e tira fuori una battuta di dialogo con stupefacente naturalezza. Dirigerlo poi è stato un piacere infinito: è un attore estremamente generoso, arriva con tantissime idee e quindi il tuo mestiere diventa giocarci insieme.
Con Francis Ford Coppola invece hai lavorato a Distant Vision, un progetto molto innovativo.
Coppola è un artista che mi è stato di grande ispirazione perché, dopo aver vinto tutti i riconoscimenti possibili e immaginabili, non si è seduto sugli allori ma continua a spingere il mezzo cinematografico oltre i confini. Ha creato un ibrido che chiama live-cinema: un mix di televisione, teatro e cinema e ha scritto una sceneggiatura che ha voluto mettere in scena in un teatro di posa con qualcosa come trenta telecamere, come in uno studio televisivo. I set erano tutti modulari, quindi c’era un grandissimo lavoro di coreografia e movimento. Un’esperienza incredibile.
Come hai incontrato la storia di Franca Viola?
Ero in libreria e ho preso in mano Cattive ragazze di Assia Petricelli e Sergio Riccardi, una raccolta di fumetti su donne che hanno segnato la Storia, ma che sono ancora in gran parte sconosciute. L’ho aperto e mi sono imbattuta nella vicenda straordinaria di Franca Viola.
Viola, Franca diventerà un lungometraggio. Cosa puoi dirci di questo progetto? Lo girerai in Italia?
Quando ho scritto e girato il film, mi sono subito resa conto che l’intreccio poteva riempire benissimo 100 minuti, ma in quel momento io avevo la possibilità di farci un corto e non mi sentivo pronta a sostenere un lungometraggio. È una storia estremamente italiana, alcuni studios americani si sono mostrati interessati perché è un argomento molto caldo, ma per me questo è un film che va assolutamente girato qui. Sarà una co-produzione fra Italia e Francia.
Quest’epoca è più attenta alle tematiche del femminismo e del consenso, grazie anche al lavoro del movimento #metoo in America e di #quellavoltache in Italia. Ti sei mai sentita discriminata sul lavoro?
Mi sono sentita sempre e comunque discriminata. La vivo in modo molto polemico, ma credo che sia davvero il momento di parlarne. Prima di tutto siamo noi donne che dobbiamo sostenerci a vicenda, essere indulgenti l’una con l’altra, difenderci e capire che stiamo tutte dalla stessa parte. Mi sono sentita discriminata eccome, ad esempio, quando sono arrivata in Italia per girare e ho ricevuto una telefonata da Massimo Ferrero (“Er Viperetta”), che non conoscevo ‒ sono dieci anni che vivo fuori dall’Italia. Questa persona si presenta come il “re delle debuttanti”, mi dice di aver sentito che tutti mi stanno corteggiando per questo film ma che lui non ne ha bisogno perché, letteralmente, sa che io “sono lì tutta eccitata e che mi sto masturbando”. Questa storia la racconto sempre a tutti con nomi e cognomi perché si deve sapere, siamo state zitte a subire cose del genere per molto tempo, ma adesso basta. Non è facile parlare perché le conseguenze ci sono, ma chi se la sente deve farlo, anche dieci anni dopo.