Gabriel è la storia di Agatha, una donna di settant’anni da poco vedova, che ha come unico stimolo la presenza della focosa giovane coppia che le abita accanto. A eccitarla è in particolar modo Gabriel, il seducente vicino di casa, per il quale sente una grandissima attrazione. In un momento di estrema solitudine la donna cerca su Internet un qualcosa che possa appagare le sue fantasie erotiche e scopre una pagina di robotica sessuale dove acquista un robot che decide di chiamare “Gabriel”. Inizia così per Agatha un percorso verso un mondo intrigante e sconosciuto.
Una sceneggiatura a due mani
Pierfrancesco Artini, classe 1988, cresce a Padova ma lascia presto l’Italia per trasferirsi prima a Londra, dove frequenta una scuola di cinema, e successivamente a Madrid. Giovane e talentuoso, nel suo percorso artistico incontra Claudio Masenza, sceneggiatore, direttore artistico, critico e regista di fama internazionale. Da questa collaborazione nasce Gabriel, cortometraggio girato in spagnolo a Madrid, da dove lo sentiamo via skype, “triangolando” con Masenza che ci risponde da Roma.
Pierfrancesco, come è nata l’idea di Gabriel?
Da un articolo che parlava della creazione nel 2019, da parte della compagnia americana Realbotix, di un robot sessuale chiamato “Harry”. La cosa che più mi ha sorpreso è che il robot era nato solo con sembianze femminili e quindi pensato principalmente per l’appagamento sessuale degli uomini. Solo di recente è stato prodotto il primo prototipo maschile rivolto alle donne. Con questo cortometraggio ho voluto mostrare come in realtà la pulsione sessuale sia un bisogno fisiologico che appartiene ad entrambi i sessi, in ugual modo e soprattutto a qualsiasi età.
Da anni vivi a Madrid, che rapporti hai con il cinema italiano?
L’Italia l’ho lasciata ormai da dieci anni, dopo il liceo mi sono spostato a Londra per studiare cinema. Mi sono trasferito a Madrid quando mi è stata data la possibilità di aprire uno studio fotografico dove ancora oggi lavoro, AR.TE studio. La fotografia è sempre stata un punto saldo della mia vita e poter far convivere questo mondo con quello del cinema per me è la realizzazione di un sogno. Rispetto al cinema italiano invece nutro un rapporto di grandissimo rispetto e costante ammirazione e mi riferisco a registi quali Matteo Garrone, Ferzan Ozpetek, Pietro Marcello e Gabriele Mainetti.
Progetti per il futuro?
Al momento ho in cantiere due sceneggiature che ho scritto durante la quarantena e che adesso stanno prendendo forma. Nonostante le ovvie preoccupazioni per la tragedia globale che abbiamo vissuto con il Covid, la clausura obbligata è stata per me qualcosa di molto formativo e produttivo.
La sceneggiatura di Gabriel è stata scritta con Claudio Masenza: come nasce la vostra collaborazione?
Io e Claudio siamo amici da molti anni e il tutto è nato da un comune amore per il cinema. Non scherzo se ti dico che Claudio è la persona con la più grande cultura cinematografica che abbia mai conosciuto. È capace di dire con nonchalance: “No, questo è già stato fatto nel ’45! Questo lo si è visto nell’82!” Impressionante! Per me Claudio è un grandissimo modello di riferimento, una fonte di ispirazione costante, un’enciclopedia vivente dotata inoltre di un’immensa simpatia. Abbiamo scritto diverse cose assieme e questa è la prima che abbiamo visto realizzata.
Claudio, come hai conosciuto Pierfrancesco?
Attraverso Instagram, dove ci siamo reciprocamente commentati dei post e io mi sono subito reso conto del suo talento. Diciamo che poi la vera collaborazione artistica è avvenuta nel tempo. La storia di Gabriel mi è sembrata fin dall’inizio innovativa e per questo ho collaborato volentieri con Pierfrancesco alla scrittura. La forza di Gabriel sta nel riuscire a trattare la sessualità di una donna anziana, argomento visto da sempre come una sorta di perversione anomala e grottesca. Mi piaceva l’idea di trattare questa tematica come ciò che penso sia nella realtà: una normalità.
Da colonna portante del cinema quale sei, cosa pensi del nuovo cinema emergente italiano?
Allora, innanzitutto una cosa che ho imparato è che se sei un over-70 e lavori in questo mondo da mezzo secolo diventi automaticamente una “colonna portante del cinema italiano” e a tratti anche un mito! [ridiamo ndr]. Ho iniziato a vedere i film da piccolissimo, quando ancora non esisteva la televisione ed io, essendo un bambino particolarmente furbo, finivo i compiti presto e trascorrevo i pomeriggi al cinema. Quindi diciamo che per me oggi è impossibile vedere i film delle nuove generazioni senza fare un collegamento con film che ho già visto. Di fondo non posso che considerare il nuovo cinema un omaggio al vecchio. Mi è capitato comunque di rimanere folgorato da film come Mademoiselle [2016, diretto da Park Chan-wook ndr] che credo sia visivamente di una bellezza struggente e disarmante.
Faccio questa domanda alla fine di tutte le mie interviste: se dopo di me poteste scegliere una persona per voi molto importante con cui prendere un caffè, chi scegliereste?
P.A. Senza alcun dubbio Alfred Hitchcock. Provo una grande ammirazione verso di lui fin da quando avevo 14 anni perché i miei genitori mi facevano vedere tutti i suoi film. Hitchcock è stato non solo un grandissimo regista ma anche un grande innovatore di tecniche cinematografiche e sarei proprio curioso di ascoltarlo o anche solo di stargli accanto…
C.M. Dopo di te prenderei molto volentieri un caffè con Bernardo Bertolucci, uno degli amici più importanti della mia vita che ancora oggi mi manca tantissimo. Dopo un anno e mezzo dalla sua scomparsa, mi viene ancora spontaneo desiderare di telefonargli per proporgli la visione di un film raro che ho visto online. Vorrei che questo fosse un piccolo regalo indirizzato a lui, un modo per ripetergli che mi manca e che gli voglio un bene immenso.